SCIA “in sanatoria” ex art. 37 TUEd e silenzio: che confusione!
“SCIA in sanatoria: che confusione! Sarà perchè saniamo?”
Torniamo ancora una volta su un tema apparentemente innocuo ma foriero di non pochi equivoci operativi, ossia il meccanismo abilitante della c.d. SCIA in sanatoria (ossia in accertamento di conformità).
Lo spunto è offerto dalla recente sentenza TAR Lazio, Sez. II-quater, 9.4.2020, n. 3851 segnalata e commentata da Carlo Pagliai sul suo blog e il problema è ben noto: data un’opera abusiva rientrante nel regime della SCIA semplice (ossia ex art. 22 TUEd e, quindi, non ex art. 23 TUEd), una volta presentata la SCIA in sanatoria come si perviene alla regolarizzazione dell’intervento?
E’ qui che regna – come abbiamo segnalato in altro contributo – la più totale confusione con il fronteggiarsi di ben tre soluzioni:
a) silenzio diniego, secondo il modello dell’art. 36;
b) silenzio-inadempimento (ossia un silenzio privo di valenza provvedimentale);
c) formazione del “titolo” al decorso del termine, come nella SCIA ordinaria ex art. 19 L. n. 241/90.
1. L’art. 37 D.P.R. 380/01: non si parla di “SCIA in sanatoria“
Alle radici della questione vi è l’art. 37 del TUEd il cui comma 4 così dispone:
Ove l’intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possono ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma, non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio.
La disposizione statale, quindi, non precisa espressamente se per ottenere la sanatoria occorra un provvedimento espresso o meno, diversamente dall’art. 36 che invece espressamente prevede la necessità del provvedimento espresso, fatta salva la possibilità del silenzio-diniego.
2. La “SCIA in sanatoria” nella legislazione regionale e, soprattutto, nel Decreto “SCIA 2”.
Si è così affermata, inizialmente nella prassi, poi in talune norme regionali (ad es. L.R. Toscana 65/2014, art. 209; L.R. Emilia-Romagna 23/2004, art. 17)) e, infine, nel D.lgs. 222/2016 (c.d. Decreto SCIA 2), la “SCIA in sanatoria”: ivi, in particolare, nella Tabella A, sezione edilizia, p.to 41, si menziona espressamente la “SCIA in sanatoria” con riferimento all’art. 37, co. 4, del TUEd.
E, sempre al p.to 41 si prevede espressamente che il relativo “regime amministrativo” è quello – appunto – della SCIA. Il che dovrebbe lasciar intendere che l’effetto abilitante (sanante) si produca con il semplice deposito della segnalazione certificata, senza necessità di provvedimenti espressi del Comune.
3. Il perdurante oscillamento della giurisprudenza e la questione della quantificazione della “somma … stabilita dal responsabile del procedimento“.
Tuttavia, nonostante tale intervento normativo perdura il contrasto giurisprudenziale.
Nel primo orientamento, secondo il quale occorre un provvedimento espresso, pena il determinarsi di un inadempimento da parte della P.A. – si segnala ad esempio, oltre TAR Lazio 3851/2020, anche TAR Puglia, Lecce, 9.3.2020, n. 317 , secondo cui l’art. 37 del D.P.R. 380/2001 non solo non contempla una fattispecie di silenzio significativo (come il rigetto ex art. 36 del medesimo D.P.R.) ma, anzi, presuppone una conclusione espressa del procedimento, atteso che la norma prevede la necessaria quantificazione della sanzione pecuniaria da parte del responsabile del procedimento. Tale orientamento giurisprudenziale, peraltro, pare non “fare i conti” con le indicazioni provenienti dal p.to 41 della Tabella A- Sez. edilizia del decreto SCIA 2.
Negli stessi termini – come vedremo esaminando la normativa regionale di riferimento – si è espressa anche la Regione Lazio sia nel parere prot. 4748 del 7.3.2011 sia nel più recente parere prot. 0705439 del 9.11.2018, dove, in buona sostanza, si afferma che il meccanismo sanante non sarebbe quello della SCIA ma una vera e propria istanza che presuppone una risposta espressa della P.A. Tanto, nell’ottica del parere regionale in parola, deriverebbe anche dal fatto che gli artt. 22 (SCIA “semplice”) e 23 (SCIA alternativa al permesso di costruire) del D.P.R. 380/2001 non contemplerebbero in alcun modo la fattispecie della sanatoria. Ad avviso della Regione Lazio, peraltro, sarebbe non dirimente quanto espressamente previsto dal p.to 41 della Tabella A – Sezione edilizia del d.gls. n. 222/2016.
La tesi secondo la quale la SCIA in sanatoria non richiederebbe un provvedimento espresso – essendo, appunto, un SCIA – trova concorde altra parte della giurisprudenza, come TAR Lazio, Sez. II-bis 9.1.2018, n. 156, TAR Puglia, Lecce, 8.2.2018, n. 180 e TAR Campania, Napoli 9.12.2019, n. 5789, oltre che la più risalente decisione Cons. Stato n. 1534/2014. Si segnala, sul punto, inoltre anche la posizione della Regione Emilia-Romagna nel parere prot. PG/2017/02565333 del 3.4.2017 che, sia pur con riferimento alla relativa normativa regionale, evidenzia come la SCIA in sanatoria segue la disciplina generale della SCIA, con consolidamento della regolarizzazione tramite il decorso del termine di legge
Resta il tema che, ai fini della concreta applicabilità della soluzione in questione – a nostro avviso teoricamente preferibile ed oggi “ratificata” dal D.lgs. n. 222/2016 – occorre considerare il tema del versamento della sanzione al quale l’effetto sanante è subordinato.
La norma afferma infatti che è possibile “ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma (…) stabilita dal responsabile del procedimento (…)”: non a caso, l’opposto orientamento valorizza, per negare l’effetto abilitativo della SCIA in assenza di provvedimento espresso, proprio la necessità che la P.A. determini la somma.
Tale questione, peraltro, nella prassi è di frequente superata giacché, come si dirà, mentre la norma nazionale fa riferimento ad una determinazione dell’importo rimesso alla valutazione dell’Agenzia del territorio, in relazione all’aumento del valore dell’immobile, le norme regionali e gli atti regolamentari comunali prevedono il più delle volte dei sistemi parametrici per la esatta determinazione dell’importo che, quindi, può essere tendenzialmente “autoliquidato” dal soggetto che presenta la SCIA.
Evidentemente, laddove ciò non sia possibile sembra potersi dubitare dell’efficacia sanante della mera presentazione della SCIA in sanatoria.
4. Le legislazioni regionali e dubbi di legittimità costituzionale
Come accennato, alcune Regioni espressamente parlano di SCIA in sanatoria, ricollegando alla presentazione della stessa il meccanismo abilitante “tipico” della SCIA. In tal caso non si pone un problema di coordinamento con le indicazioni derivanti dal d.lgs. 222/2016 e, in particolare, dal p.to 41 della Tabella A – Sez. edilizia (che, in quanto “ricognitiva”, ha quantomeno un valore di interpretazione autentica del D.P.R 380/2001).
Altre Regioni, invece, pur parlando di SCIA in sanatoria, adottano formule normative atte a lasciare insuperato il dubbio circa il “meccanismo sanante”.
E’ questo il caso della Regione Lazio, dove l’art. 22 della L.R. 15/2008, pur riferendosi testualmente al co. 1 alla SCIA in sanatoria, dispone poi al co. 4 che “sulla richiesta del titolo abilitativo in sanatoria il comune si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento della stessa, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata“.
Si è già detto di come tale norma sia interpretata dalla Regione Lazio stessa (secondo la quale occorre un provvedimento espresso, in assenza del quale si versa in ipotesi di silenzio-inadempimento) nonché del contrasto giurisprudenziale in seno al TAR Lazio.
In tale contesto, oltre ad auspicarsi, ancora una volta, un intervento legislativo atto a dirimere questa (ed altre) ambiguità del D.P.R. 380/2001, si sottopone anche una riflessione ulteriore, con il dubbio di legittimità costituzionale o “efficacia” perdurante di norme regionali che neghino il valore di SCIA a tutti gli effetti alla SCIA in sanatoria (citando Carlo Pagliai: “una SCIA che non SCIA“).
Infatti, potrebbe ritenersi che l’assimilazione della SCIA in sanatoria al permesso di costruire in sanatoria a quanto al “regime amministrativo” (ossia prescrivendo la necessità di un provvedimento espresso su una SCIA), sia violativa dei principi generali dettati dalla normativa statale e, in particolare, dall’art. 19 della L. 241/90 e dagli artt. 22 e 37 del D.P.R. n. 380/2001, anche in riferimento quindi all’art. 117, co. 2, della Costituzione.
Al riguardo, occorre evidenziare come l’art. 5 del D.Leg.vo 222/2016 imponga alle Regioni il rispetto dei “livelli di semplificazione e le garanzie assicurate dal presente decreto”, con l’ulteriore previsione, di cui all’art. 6, co. 2, che “le regioni e gli enti locali si adeguano alle disposizioni del presente decreto entro il 30 giugno 2017“.
Insomma, l’irrigidimento del regime della SCIA in sanatoria, impedendo l’abilitazione “tacita”, potrebbe essere considerato come una violazione, di tali disposizioni.