Il “nuovo” art. 2-bis del DPR 380/2001 alla luce del DL sblocca-cantieri: un primo commento.

Il decreto legge n. 32/2019 in vigore da oggi ha introdotto, tramite l’art. 5, alcune modifiche all’art. 2-bis (“Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati)” del DPR n. 380/2001.

Questo, nel dettaglio il risultato delle modifiche apportate (barrate le parti abrogate, in grassetto  quelle aggiunte):

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere introducono, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare nonché disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.

1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo..

Il “vecchio” comma 1

La norma – come noto – fu introdotta dalla L. 98/2013 e aveva, come unica funzione, quella di recepire la giurisprudenza amministrativa e, soprattutto, costituzionale circa il “tradizionale” principio di inderogabilità delle disposizioni del DM 1444/68 (relativo ai limiti di altezza, distanze, densità e standard).

Riteneva infatti la Corte Costituzionale (sent. 16.6.2005, n. 232) che

l’ordinamento statale consente deroghe alle distanze minime con normative locali, purché però siffatte deroghe siano previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio. Tali principi si ricavano dall’art. 873 cod. civ. e dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, …

L’art. 2-bis del TUEd, come anticipato, ripete in maniera pressoché pedissequa tale principio sancito dalla Corte Costituzionale.

Il punto nodale del co. 1 dell’art. 2-bis (sul punto non modificato dal DL 32/2019) è il limite a tali deroghe che, infatti, devono essere disposte “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali“.

Nonostante tale chiaro limite (indicato prima dalla Corte Costituzionale e poi direttamente dalla norma in esame) numerose sono le leggi regionali che hanno cercato di bypassare tale confine alla potestà di deroga, introducendo spesso deroghe al DM 1444/68 (specialmente in punto di distanze) non nell’ambito di “strumenti urbanistici”  ma con riferimento ad interventi puntuali (norme su recupero dei sottotetti, “piani-casa” e relativi ampliamenti e demo-ricostruzioni, etc.).

La Corte Costituzionale si è così dovuta più e più volte occupare di norme regionali eccedenti il limite in questione, pervenendo sempre all’annullamento di disposizioni regionali che ammettono deroghe “puntuali” e non “in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”. Di recente abbiamo segnalato la rimessione alla Consulta di una norma prevista nel Piano Casa della Regione Veneto.Analoga questione pende anche con riferimento alla L.R. 12/2005 della Regione Lombardia (Cons. Stato, Sez. I,22.1.2018, n. 199). Per un quadro aggiornato del tema è interessante il documento redatto dall’ANCE

Le modifiche introdotte dallo sblocca cantieri al co. 1

Come anticipato, sul punto il DL 32/2019 nulla innova, rimanendo, infatti, previsto che tali “deroghe” devono essere previste “nell’ambito di strumenti urbanistici“.

Le modifiche introdotte al co. 1 paiono avere, invece, più una funzione “promozionale” e di “invito” agli Enti Locali con potestà legislativa (Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano), giacché si passa dal riconoscimento della “facoltà” di introdurre tali deroghe (con la “possibilità” di introdurre le stesse) ad una sorta di  “obbligo”: tali Enti Locali “introducono” le norme derogatorie in questione.

L’ “obbligo” è però zoppo e resta, a ben vedere, una mera facoltà, non essendo prevista alcuna disciplina surrogatoria di fonte statale o altri meccanismi “coercitivi” o “incentivanti”.

Il nuovo co, 1 bis

Si chiarisce che “le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio“.

La disposizione, anche in questo caso, ha scarso impatto “concreto”, limitandosi ad indicare ai legislatori regionali che le norme di “deroga” che verranno introdotte dovranno costituire un “orientamento” per i Comuni nella definizione dei parametri oggi rigidamente prescritti dal DM 1444/68.

Sembra, però, che – dal punto di vista urbanistico – qualcosa in effetti la norma voglia dire: le leggi regionali non dovranno essere redatte sulla falsa-riga del DM 1444/68 (con parametri quantitativi “fissi”, zona per zona), ma rappresentare un “orientamento” per i Comuni ai quali attribuire, “in concreto” la definizione dei “limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati”. (In tal senso un modello, antesignano, è quanto previsto dall’art. 9 della L.R. 12/2005 della Regione Lombardia).

Ciò, peraltro, con specifico (esclusivo?) riferimento agli “ambiti urbani consolidati del proprio territorio”: intende, forse, il Legislatore statale che tali deroghe al DM non potranno essere previste nelle zone di espansione, per le quali, comunque, continuerebberp a trovare applicazione i limiti sanciti dal DM 1444?

E’ questa una ipotesi interpretativa che potrebbe trovare conforto nel co. 1 dell’art. 5 del DL 32/2019, laddove si chiarisce che le modifiche apportate all’art. 2-bis TUEd hanno come finalità quella di

concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suolo e a favorire la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, a incentivare la razionalizzazione di detto patrimonio edilizio,nonché a promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti, nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione, ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio esistente, anche con interventi di demolizione e ricostruzione

Il co. 1-ter: una novità immediata ed operativa

L’ultima disposizione introdotta dal DL 32/2019 nel corpo dell’art. 2-bis TUEd pare, invece, di immediata applicazione.

Si prevede, infatti, che la c.d. demoricostruzione  “è comunque consentita nel rispetto delle distanze preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo“.

Apparentemente la norma pare solo mettere nero su bianco quanto ormai sostanzialmente pacifico nella giurisprudenza del Giudice Amministrativo, secondo il quale – costituendo la demoricostruzione una ipotesi di ristrutturazione edilizia (ex art. 3, co. 1, lett. d, TUEd), sussiste una sorta di “diritto quesito”, in sede di ri-edificazione, al mantenimento delle distanze preesistenti.

Secondo il  Cons. Stato nella nota (e poi pressoché unanimemente seguita) sent. 4337/2017

– se la ricostruzione avviene nel rispetto della precedente sagoma e area di sedime, potranno essere mantenute le “preesistenti” distanze (anche inferiori a quelle ex art. 9 del DM 1444);

– se, invece, la ricostruzione prevede il mutamento di tali parametri, questa dovrà osservare – come una nuova edificazione vera e propria – la disciplina delle distanze.

La nuova disposizione sembra porsi in discontinuità con tale arresto giurisprudenziale, visto che si prevede espressamente che è sufficiente mantenere la preesistente area di sedime e volume, ma non la sagoma.

Per cogliere la portata di tale innovazione è sufficiente ricordare, “definizioni uniformi” (approvate in Conferenza Stato – Regioni) alla mano, la definizione dei parametri edilizio-urbanistici in questione:

– Sedime: Impronta a terra dell’edificio o del fabbricato, corrispondente alla localizzazione dello stesso sull’area di pertinenza;

– Sagoma: Conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.

– Volume totale: Volume della costruzione costituito dalla somma della superficie totale di ciascun piano per la relativa altezza lorda

Se veramente il co. 1-ter verrà interpretato come qui ipotizzato, con la possibilità di modificare la sagoma (ferme restando sedime e volume totale) mantenendo il “diritto alle preesistenti distanze”, la disposizione potrà costituire effettivamente un buono strumento per rendere più agevoli gli interventi di demolizione e ricostruzione (ossia la tipologia edilizia che, per definizione, meglio incarna il concetto di rigenerazione e recupero dell’esistente).