I principi ambientali di equità sociale e di autosufficienza nella gestione dei rifiuti.

Con una recente sentenza, il Consiglio di Stato è intervenuto per dirimere una controversia (promossa a mezzo due distinti ricorsi) concernente le determinazioni ambientali assunte da una regione relative all’adeguamento del piano provinciale dei rifiuti.

Abbiamo affrontato, in precedenza, la tematica del principio di precauzione nei procedimenti di valutazione di compatibilità ambientale a questo link.

Nel caso qui in esamina, la ricorrente, premette il Consiglio di Stato, è un’impresa attiva nel settore del trattamento e smaltimento dei rifiuti, che deduce con un articolato ragionamento l’illegittimità del piano provinciale dei rifiuti adottato dall’Ente regionale sotto diversi profili, tutti idonei ad ingenerare una vera e propria preclusione nell’esercizio dell’attività aziendale.

Nell’esaminare il caso di specie, alla luce delle contestazioni avanzate dalla società, il Consiglio di Stato giunge a definire e circoscrivere l’ambito applicativo di due distinti principi ambientali che trovano nel documento di piano predisposto a livello provinciale una loro autonoma collocazione.

Il primo, quello cd. di “equità sociale” che, genericamente, si pone come strumento di garanzia di equilibrio e che, nello specifico, in relazione agli aspetti ambientali, si attua con il dovere di non gravare il medesimo territorio con l’insediamento di più impianti, di smaltimento e/o trattamento dei rifiuti.

Il secondo, connesso al primo, di “autosufficienza“, posto alla base della normativa di settore insieme a quello di “prossimità“, secondo il quale occorre permettere che lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti (urbani indifferenziati) avvenga in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.

Venendo alla decisione assunta dal Consiglio di Stato, entrambi i motivi di appello proposti dalla società sono considerati infondati; le motivazioni di seguito riportate appaiono ricognitive della definizione dei principi ambientali applicabili al caso di specie.

Quanto al primo, il Consiglio di Stato afferma che “… il Piano provinciale per cui è causa prevedeva già il criterio di “equità sociale” … per decidere dove localizzare gli impianti. Come anche qui ritenuto dal Giudice di I grado, non si può affermare che il criterio in sé sia illogico, ovvero violi principi costituzionali, in particolare il principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost … La stessa parte … riconosce da un lato che questo principio trova un limite nel contrasto con la “utilità sociale”, e dall’altro lato è del tutto notorio che gli impianti di trattamento rifiuti sono fonte di disagio e di peggioramento delle condizioni ambientali delle zone nelle quali essi si localizzano. La scelta di non gravare ulteriormente un’area … là dove … esiste già più di un impianto di questo tipo appare quindi non certo illogica, e quindi non sindacabile in questa sede, trattandosi comunque di scelta discrezionale“.

Quanto al secondo principio, precisa il Giudice di secondo grado che “… È infondato anche il terzo motivo di appello, centrato sulla presunta violazione del principio di autosufficienza. Il principio in questione, come va ricordato per chiarezza, all’epoca dei fatti era previsto anzitutto dall’allora vigente direttiva 2006/12/CE del Parlamento e del Consiglio del 5 aprile 2006, che lo prevede al <<considerando>> n.8, per cui <<Occorre che la Comunità stessa nel suo insieme sia in grado di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei suoi rifiuti ed è auspicabile che ciascuno Stato membro singolarmente tenda a questo obiettivo>>. Il principio però … è riferito agli Stati membri, e non agli enti locali minori nei quali essi eventualmente si articolino. Non dispongono in modo diverso neppure le norme nazionali, che riferiscono il principio di autosufficienza ai Comuni, ma limitatamente ai rifiuti urbani, e non ai rifiuti liquidi industriali … In questo senso è il d. lgs. 3 aprile 2006 n.152 all’art. 182 bis comma 1 lettera a), per cui <<Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati … al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali…>> Nello stesso senso anche l’art. 182 comma 3, per cui <<È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti…>> …“.

(Cons. St. Sez. V, 12.4.2021, n. 2991)