Incostituzionale l’art. 2-bis D.P.R. 380/01 sugli standard urbanistici? I dubbi del Consiglio di stato sulla “delega in bianco” alle Regioni.
Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza collegiale 17.3.2022, n. 1949, sottopone alla Corte costituzionale un dubbio “esistenziale” sulla legittimità costituzionale dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/01 nella parte in cui consente alle Regioni di derogare gli standard urbanistici di cui al D.M. 1444/68 (la questione, quindi, come precisa l’ordinanza non riguarda in questo caso il diverso tema delle distanze).
Vediamo – in estrema sintesi – la questione sollevata dal Consiglio di Stato.
I. Il quadro normativo di riferimento
Come è noto la L. 1150/1942, così come modificata dalla L. 765/1967, demanda, tramite l’art. 41-quinquies, ad un Decreto Ministeriale la individuazione, tra l’altro, dei “rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti“. Si tratta appunto dei cosiddetti standard urbanistici inderogabili.
Questi sono poi stati individuati dal D.M. 1444/1968, in particolare agli artt. 3, 4 e 5.
A valle di una lunga e faticosa elaborazione giurisprudenziale (prima del giudice amministrativo e, poi, della Corte costituzionale) il Legislatore ha introdotto (e più volte modificato) l’art. 2-bis del D.P.R. 380/01, a mente del quale (nella versione oggi vigente del comma 1) si prevede che:
“Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
Tale disposizione costituisce quindi la fonte della potestà (legislativa e regolamentare) delle Regioni (nonché delle province autonome) in punto di deroga agli standard di cui al D.M. 1444/68.
II. Cenni essenziali sulla vicenda contenziosa che ha condotto all’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale.
Il giudizio da cui ha preso le mosse l’ordinanza del Consiglio di Stato vede l’impugnativa di uno strumento urbanistico da parte di un operatore economico, in ragione del notevole sovradimensionamento delle aree a standard.
Trovandoci, nella fattispecie, nel territorio della Regione Lombardia, veniva in rilievo l’art. 103, co. 1-bis, L.R. 12/2005 in base al quale “Ai fini dell’adeguamento, (…), degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (…)”.
In particolare ed in sintesi, il meccanismo normativo operante in Lombardia sul punto vede, da un lato tale norma di “disapplicazione” del D.M. 1444/68 e, dall’altro, la fissazione di uno standard minimo per le aree residenziali, con rinvio, per le altre destinazioni, alla pianificazione comunale.
III. Il dubbio circa la legittimità costituzionale dell’art. 2-bis D.P.R. 380/01
Nello scrutinare la complessa vicenda il Consiglio di Stato ha evidenziato la possibile illegittimità costituzionale dell’art. 2-bis il quale – ad attento ed approfondito esame – finisce per conferire alle Regioni (come nel caso dell’art. 103, co. 1-bis L.R. Lombardia 12/2005) una sorta di “delega in bianco” come tale, sempre ad avviso del Consiglio di Stato, illegittima perché:
a) neutralizza la portata cogente dell’art. 41-quinquies L. Urbanistica (e, quindi, del D.M. 1444/68):
b) produce una sostanziale liberalizzazione (e deregulation), con un vuoto di disciplina “quadro” da parte dello Stato (il Governo del territorio è materia di competenza concorrente, allo stato competono i principi fondamentali);
c) deregulation che, in ultima istanza, produrrebbe una interferenza con la competenza statale ex art. 117, co. 1, lett. m) ed s) Costituzione che affida allo Stato in esclusiva la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire sull’intero territorio nazionale nonché in punto di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali;
d) la cui mancata (cogente) previsione della quota minima di infrastrutture e aree per servizi – di cui al D.M. 1444/68 – costituisce un “livello essenziale” delle prestazioni, in violazione anche dell’art. 3 Costituzione.
Come conseguenza della (eventuale) illegittimità dell’art. 2-bis del D.P.R. 380/01 si avrebbe, ovviamente, la “caduta” anche della disposizione della L.R. Lombardia, la quale, infatti, trova fondamento nel potere derogatorio “illimitato” . Ove venisse meno la norma attributiva del potere legislativo derogatorio, ne conseguirebbe l’illegittimità della norma regionale.
IV. Osservazioni “a caldo” e prospettive future.
Così riassunta e “semplificata” la questione, è chiaro che dall’esito del giudizio di legittimità costituzionale rimesso dal Consiglio di Stato alla Consulta discenderanno conseguenze non solo per la Regione Lombardia (potrebbe, infatti, venir meno un rilevante segmento della pianificazione territoriale) ma anche per tutte le altre Regioni che, avvalendosi della “delega” ex art. 2-bis D.P.R. 380/01, abbiano posto in essere discipline derogatorie che vedrebbero cadere il necessario presupposto di legalità costituzionale.
Sullo sfondo resta il tema della complessiva riforma della Legislazione urbanistica, allo stato rimesso alla Commissione nominata dal MIMS con il decreto 441/2021 dove, infatti, si legge che occorre porre in essere “una riforma organica dei principi della normativa in materia di pianificazione del territorio e standard urbanistici, nonché di riordino e modifica delle disposizioni del Testo unico dell’edilizia, mediante l’elaborazione di uno o più schemi di provvedimento sui quali aprire un dibattito pubblico e raccogliere contributi di riflessione e proposte in vista del riordino complessivo del settore”.