Demolizione e ricostruzione in “area vincolata”: dalla conversione del D.L. 17/2022 (“Energia”) una prima apertura.
Del “nodo” della ristrutturazione edilizia tramite demolizione e ricostruzione (anche detta “demoricostruzione” o “sostituzione edilizia”) in area interessata da vincolo (o tutela) paesaggistico areale abbiamo spesso parlato, in termini critici.
Di recente, con un contributo su Lavoripubblici.it si è avuto modo di commentare una interessante apertura della giurisprudenza, così come in precedenza avevamo evocato un intervento del legislatore, vista la sostanziale irragionevolezza dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01 laddove, in area interessata da tutela paesaggistica, impone che la demolizione e ricostruzione per rimanere ristrutturazione edilizia deve essere “fedelissima”.
Ebbene, è notizia di queste ore, che in sede di conversione del D.L. 17/2022 “misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali”), in particolare nel testo attualmente al voto di fiducia della Camera , è stata inserita una modifica che va (timidamente) nella direzione da noi (e da molti) auspicata. Esaminiamo, quindi, questa prima apertura.
L’art. 28, co. 5-bis del Decreto Legge 17/2022
In particolare, all’art. 28 del D.L. è stato introdotto il comma 5-bis che modificherà (grassetto sottolineato nel testo sotto riportato) la “seconda parte” dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01 come segue:
Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici ricadenti in aree tutelate ai sensi dell’articolo 142 del medesimo decreto legislativo, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria;
La modifica incide inoltre anche sull’art. 10, co. 1, lett. c) del D.P.R. 380/01 (quindi sul regime abilitativo) prevedendo che sono soggetti a permesso di costruire o SCIA alternativa anche “gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici ricadenti in aree tutelate ai sensi dell’articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, ricadenti nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria”.
Una prima valutazione a caldo della modifica in itinere.
L’intervento normativo va nella direzione – che abbiamo spesso auspicato – di superare i limiti stringenti che impediscono di qualificare come ristrutturazione edilizia qualsivoglia demolizione e ricostruzione in area tutelata paesaggisticamente in presenza di modifiche dei parametri edilizi (sagoma, prospetti, sedime, volume e caratteristiche tipologiche).
Tale apprezzabile ratio ispiratrice è, tuttavia, perseguita con un rinvio ai soli edifici ricadenti nelle aree tutelate ex art. 142 del d.lgs. 42/2004, ossia alle “aree tutelate per legge” (fasce costiere, lacuali, fluviali, aree montane, zone di interesse archeologico, etc.).
La scelta selettiva del Legislatore, per converso, conferma (a questo punto tramite una disposizione espressa, sia pur “per sottrazione”) che per gli edifici ricadenti nelle aree interessate da vincoli provvedimentali ex art. 136 d.lgs. 42/2004 la demoricostruzione sarà qualificabile come ristrutturazione edilizia esclusivamente laddove sia “fedelissima”.
A nostro avviso, il risultato, è una scelta che mantiene un certo tasso di irragionevolezza e che, comunque, finisce per rallentare i processi di rigenerazione urbana, riqualificazione e cleaning del territorio in presenza di vincoli che, spesso, sono prettamente “areali”, che, cioé non hanno di mira espressamente la tutela dei fabbricati che ricadono nel territorio tutelato.
Infatti, i vincoli provvedimentali ex art. 136 del d.lgs. 42/2004 spesso hanno ad oggetto aree senza che con essi l’Ente impositore del vincolo abbia inteso proteggere i fabbricati ivi ricadenti. Fabbricati che, anzi, spesso sono stati condonati in quelle aree o prima dell’apposizione del vincolo o nonostante la presenza del vincolo (specie con il primo condono edilizio).
A nostro avviso, allora, meglio sarebbe stato o superare direttamente e in ogni caso l’obbligo di ricostruzione fedelissima o, proprio volendo mantenere un riferimento all’art. 136 del d.lgs. 42/2004, circoscrivere l’ambito di operatività di tale limite adoperando la medesima soluzione individuata dal D.P.R. 31/2017 (ossia rinviando all’art. “136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici (…)”).
Ed infatti, se ragioniamo sul banale esempio di un’area interessata da vincolo ex art. 136, co. 1, lett. d), d.lgs. 42/2004 (“bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”) quale senso ha imporre che, nel contesto del “panorama da tutelare”, sia possibile demolire un fabbricato chiaramente incongruo solo riedificandolo “tale e quale”?
Sullo sfondo, torniamo a dirlo, il Legislatore “dell’edilizia” sembra scordare che il Legislatore “dei beni culturali e paesaggistici” sottoponga, comunque, questi interventi al giudizio di compatibilità della Soprintendenza ex art. 146 del d.lgs. 42/2004.
In definitiva, pur accogliendo con favore l’intervento legislativo in itinere, non può non osservarsi come lo stesso reiteri (sia pur circoscrivendolo) un vizio ed un equivoco di fondo (e, a nostro avviso, un possibile vizio di costituzionalità).
Insomma, come spesso accade, può chiosarsi rilevando che “tanto tuonò che piovve“.