Ordinanza di demolizione e sequestro penale: delle due, l’una?
Nell’edilizia, il diritto amministrativo e quello penale intrecciano spesso le loro strade.
Tra i casi più frequenti vi è certamente l’adozione di provvedimenti repressivo-sanzionatori di abusi edilizi posti in essere da un’Amministrazione comunale (ordinanza di demolizione) e dall’Autorità giudiziaria penale (sequestro).
Una recente pronuncia del TAR Salerno (sez. I, 14.10.2022 n. 2670) è tornata sul tema del rapporto tra i due ordini sanzionatori, evidenziando quanto (e come) l’uno possa inficiare l’altro.
I. L’antefatto della decisione
Il ricorrente è stato destinatario di un’ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi, per aver realizzato un immobile in totale assenza di titoli abilitativi, senza aver richiesto (peraltro) l’autorizzazione paesaggistica alla competente Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
Ma l’attività sanzionatoria non si è conclusa qui.
Ed infatti, ai sensi del Testo Unico dell’Edilizia, tale attività edilizia abusiva integra anche una fattispecie di reato (art. 44 D.P.R. 380/2001, come vedremo): di conseguenza, la Procura della Repubblica territorialmente competente, ricevuta notizia dell’illecito, ha immediatamente disposto il sequestro dell’immobile.
La contemporanea adozione dei due provvedimenti (uno amministrativo, l’altro penale) ha spinto il ricorrente ad invocare innanzi alla sezione distaccata del TAR Campania la nullità dell’ordinanza di demolizione, proprio alla luce della convalida del sequestro penale.
Ma il Giudice Amministrativo ha respinto il motivo di ricorso.
II. La normativa di riferimento
L’abuso edilizio di cui si discorre rappresenta uno dei tipici esempi di “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”, sanzionato a norma dell’art. 31 D.P.R. 380/2001.
Ai sensi della citata norma, in particolare
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.
Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.
Poste tali sanzioni amministrative, come già accennato il Testo Unico dell’Edilizia prevede che realizzare abusi edilizi di particolare gravità e rilevanza integri anche una fattispecie di reato, tipizzata dall’art. 44 D.P.R. 380/2001, rubricato proprio “Sanzioni penali”:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:
(…)
b) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione.
È proprio in virtù dell’invocato art. 44, co. 1, lett. b) che è stata avviata l’azione penale e, nell’ambito di questa, disposto il sequestro dell’immobile abusivo.
Orbene, secondo il ricorrente l’ordinanza di demolizione adottata sarebbe radicalmente nulla, poiché il sequestro penale ha determinato un materiale spossessamento dell’immobile stesso, con la conseguenza che il responsabile dell’abuso si trova nella concreta impossibilità di eseguire l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi.
Ma questa tesi non ha persuaso il Giudice Amministrativo il quale, soprattutto alla luce dei chiari precedenti giurisprudenziali sul punto specifico, ha respinto il gravame.
III. La decisione del TAR
Il Tribunale, infatti, ha ribadito il pacifico principio in virtù del quale
Il sequestro di un immobile abusivo ad opera dell’autorità giudiziaria penale non determina l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione che lo attinge, bensì soltanto una “sua inefficacia temporanea” in reazione all’eventuale differimento del termine fissato per la rimessa in pristino, decorrente dalla data del dissequestro, che sarà onere dell’interessato richiedere tempestivamente allo scopo di ottenere l’autorizzazione a provvedere direttamente alla demolizione e al ripristino dei luoghi.
In buona sostanza, l’adozione di entrambi i provvedimenti è atto dovuto da parte delle rispettive Autorità (sempreché, ovviamente, ricorrano tutti i presupposti di legge), senza che l’attività – o inattività – di una infici l’altra.
Pertanto, la pendenza di un sequestro penale su un immobile ha, come unico effetto sul provvedimento amministrativo sanzionatorio, quello di renderlo temporaneamente inefficace, ossia ineseguibile da parte del responsabile dell’abuso, che non potrà ripristinare lo stato dei luoghi a causa del materiale spossessamento del bene.
Ne deriva, dunque, che l’Amministrazione non potrà adottare gli ulteriori provvedimenti sanzionatori (ossia, ad esempio, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale) fintantoché il responsabile dell’abuso non abbia volontariamente inadempiuto all’ordinanza di demolizione.
E proprio il comportamento del destinatario del provvedimento sanzionatorio è oggetto di apposita valutazione da parte del TAR: la mera pendenza di un sequestro non può giustificare una sua totale inerzia, dovendo per contro impegnarsi a chiedere tempestivamente il dissequestro (nell’apposita sede del giudizio penale) dell’immobile, così da poter provvedere spontaneamente alla rimozione degli abusi.
IV. Riflessioni conclusive
Tali principi, come detto, sono pacifici in giurisprudenza; tant’è che nel medesimo senso si sono più volte espressi sia diversi TTAARR (cfr. TAR Palermo, sez. I, 18.5.2022, n. 1629; TAR Roma, sez. II-bis, 10.1.2022 n. 176), sia il Consiglio di Stato (sez. II, 15.11.2021, n. 7563; sez. VI, 7.7.2020, n. 4354).
La sentenza in rassegna, comunque, si caratterizza per la particolare chiarezza espositiva, ed offre l’occasione per ritornare su un tema sempre “caldo”: molto spesso, infatti, si cerca di creare una commistione tra il procedimento amministrativo e quello penale, così da sfruttare nell’uno eventuali accertamenti positivi dell’altro.
Ma tale commistione non è assolutamente possibile.
Ed infatti,
il giudizio penale e quello amministrativo della competente P.A. sono relativi all’esercizio di poteri reciprocamente autonomi, e ciò implica che, salvi gli effetti del giudicato, l’Ufficio comunale – nell’esercizio delle proprie prerogative di accertamento e sanzione dell’abuso edilizio – può certamente avvalersi delle risultanze di fatto emerse durante le indagini preliminari, laddove gliene risultino estremi e contenuti, ma non è esonerato dalla responsabilità di una ponderata ed appropriata valutazione autonoma dei fatti e delle loro qualificazioni giuridiche.
Insomma, non “delle due, una”, ma “delle due, entrambe”!