Tassa di soggiorno: ok dal Consiglio di Stato per classificazione ISTAT

Tassa di soggiorno: ok dal Consiglio di Stato per classificazione ISTAT di cui all’art. 182 della L. 17 luglio 2020, n. 77.

Con una recente sentenza del Consiglio di Stato ha ritenuto ammissibile l’utilizzo della classificazione ISTAT di cui all’art. 182 della L. 17 luglio 2020, n. 77 per l’aggiornamento dei comuni turistici o di città d’arte assoggettabili all’imposta di soggiorno.

Torniamo ad occuparci di tassa di soggiorno. In un precedente articolo abbiamo parlato della responsabilità erariale sul gestore della struttura ricettiva per mancato versamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno. Con il presente contributo analizzeremo invece i criteri che possono essere utilizzati dagli enti regionali competenti per l’aggiornamento dell’elenco dei comuni turistici e delle città d’arte, ai fini dell’applicazione della tassa di soggiorno.

Ma procediamo con ordine.

Un ente regionale, con delibera di giunta, approvava l’aggiornamento dell’elenco dei comuni turistici e delle città d’arte ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, inerente l’istituzione della tassa di soggiorno.

Per l’aggiornamento di tale elenco, venivano utilizzati i criteri della categoria turistica prevalente e della densità turistica, secondo la classificazione compiuta dall’ISTAT per le finalità di cui all’art. 182 della L. 17 luglio 2020, n. 77.

In particolare, l’ISTAT, sulla base delle informazioni disponibili, aveva classificato i comuni italiani secondo due criteri:

La “categoria turistica prevalente”, cioè la vocazione turistica potenziale del comune individuata prevalentemente sulla base di criteri geografici (vicinanza al mare, altitudine, ecc.) e antropici (grandi Comuni urbani).

La “densità turistica”, espressa da un set consistente di indicatori statistici definiti per misurare la dotazione di infrastrutture ricettive, la presenza di flussi turistici e l’incidenza a livello locale di attività produttive e livelli occupazionali in settori di attività economica tourism oriented, cioè riferiti in modo specifico al settore turistico e/o culturale. Tutti gli indicatori statistici sono stati sottoposti a procedure di sintesi per favorirne la lettura e l’analisi, e descritti in termini di quintili.

Secondo la ricostruzione effettuata dall’ISTAT, nell’ambito della categoria turistica prevalente venivano ricompresi, oltre ai comuni a spiccata rilevanza turistica in relazione alle caratteristiche di natura geografica o antropica per la presenza di laghi, mare, montagne, beni culturali, terme o grandi città, anche i “comuni dotati di esercizi ricettivi e/o con flussi turistici, ma che non presentano alcuna delle caratteristiche corrispondenti alle categorie precedenti”.

L’ISTAT, infatti, qualificava come comuni non turistici solo quelli “dove non sono presenti strutture ricettive e/o dove i flussi turistici risultano assenti”.

Tale classificazione veniva fatta propria dall’ente regionale, il quale, pur rilevando che la stessa fosse stata disposta per finalità diverse, la riteneva pienamente rispondente agli obiettivi di individuazione dei comuni turistici, di cui all’art. 4 del d.lgs. 23/2011.

La delibera veniva impugnata innanzi al TAR Lombardia, il quale rilevando la legittimità dell’operato dell’ente regionale, rigettava il ricorso.

La sentenza del TAR Lombardia veniva quindi impugnata innanzi al Consiglio di Stato.

L’appellante deduceva l’erroneità della sentenza perché la classificazione operata da ISTAT e fatta propria dall’ente regionale per l’aggiornamento dell’elenco dei comuni turistici, contrasterebbe con la ratio della disposizione di cui all’art. 4 della L. 23/2011.

Più specificatamente, per l’appellante non è condivisibile la decisione dell’ente regionale e ritenuta legittima dal giudice di primo grado di inserire tra i comuni assoggettabili all’imposta di soggiorno anche quelli classificati come “comuni turistici non appartenenti ad alcuna categoria specifica” atteso che gli elenchi dei comuni turistici e delle città d’arte richiamati dall’art. 4 della L. 23/2011 possono contemplare solo città o località dove la vocazione turistica è già riconosciuta e consolidata.

Ne consegue, dunque, che a parere dell’appellante in tale elenco non dovrebbe essere inserite quelle realtà urbane che non sono né località turistiche né città d’arte.

La tesi dell’appellante non è stata accolta dai giudici di Palazzo Spada, i quali, dato atto che l’individuazione delle località turistiche ai fini dell’istituzione dell’imposta di soggiorno è rimessa all’esclusiva valutazione delle Regioni, hanno rilevato che “ai fini dell’applicazione dell’imposta di soggiorno (e non di turismo, e significativa, in tal senso è la definizione), la classificazione dei comuni operata dall’ISTAT e recepita dalla regione [OMISSIS] è in linea con le caratteristiche regionali, e in particolare con il sistema produttivo che contraddistingue il territorio [OMISSIS], in cui il turismo, in senso evolutivo, è costituito pure dal movimento di persone per motivi di lavoro, anche in occasione delle numerose e rilevanti manifestazioni fieristiche che vi si svolgono, nonché dal movimento di pazienti per motivi sanitari e di medici anche per eventi congressuali”

In conclusione, la classificazione dei comuni operata dall’ISTAT, sulla base dell’art. 182 L. 77/2020 ben può essere utilizzata dalle regioni per aggiornare l’elenco dei comuni turistici o città d’arte assoggettabili all’imposta di soggiorno.

Del resto, l’ISTAT è un’amministrazione con specifica competenza tecnica che persegue fini generali che, come evidenziato anche nella delibera de qua, è pervenuta ad una “selezione omogenea, completa e ben organizzata dei comuni turistici e che, ove presi in considerazione anche da altre regioni, diverrebbero punto di riferimento comune e condiviso”.

Cons. St., Sez. V, 28 febbraio 2024, n. 1955