Accesso agli atti e smarrimento dei documenti richiesti: c’è l’obbligo per la PA di rilasciare la dichiarazione di irreperibilità.

A fronte di una richiesta di accesso agli atti avanzata dal privato, la P.A. è tenuta a concludere il procedimento  con l’ostensione dei documenti richiesti o con il diniego.

In forza dell’art. 2 L. 241/90, incombe sulla P.A. l’obbligo di concludere celermente i procedimenti amministrativi e, in particolare, entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza da parte del privato.

Tale onere sorge in capo alla P.A. anche in materia di accesso agli atti.

Tuttavia, di frequente la richiesta del privato si riferisce a documenti risalenti nel tempo e che la P.A. può aver disperso.

 

È evidente, tuttavia che il diritto di accesso può avere ad oggetto solo i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili. L’assenza dei documenti non è tuttavia sempre conoscibile da parte del privato che effettua la richiesta.

L’istanza di accesso ad atti dispersi non esime la P.A. dal concludere il procedimento in maniera espressa. In questo caso, infatti,  l’Amministrazione è tenuta a dichiarare l’irreperibilità della documentazione.

Il procedimento di accesso agli atti, dunque, deve concludersi o con la consegna della documentazione richiesta o con la formale attestazione di non ritrovamento della stessa, ossia della sua irreperibilità.

 

L’attestazione di irreperibilità degli atti, infatti, può costituire un valido strumento da spendere non solo in relazione a pratiche amministrative, ma anche in occasione di rapporti interprivatistici.

Emblematico, in tal senso sono le operazioni edilizie che investono trasformazioni o interventi edilizi sul patrimonio esistente. Come noto, per eseguire tali interventi è richiesta l’attestazione dello stato legittimo delle opere.

 

Ad oggi, l’art. 9-bis, comma 1-bis, del DPR n. 380/2001,  (introdotto dal DL 70/2020, conv. in l. 120/2020) permette di attestare lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare tramite il titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa, tramite quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio.

Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, la norma specifica che lo stato legittimo è quello desumibile da una serie di documenti, tra cui le informazioni catastali di primo impianto o altri documenti probanti, come riprese fotografiche, estratti cartografici, “documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.

 

La norma prevede tuttavia che lo stato legittimo può essere desunto dai vari documenti probanti anche quando “sussiste un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia” (ultimo periodo).

Al fine di rendere operativa tale modalità ricostruttiva dello stato legittimo è necessario che a fronte di una richiesta di accesso al titolo edilizio da parte del privato, la P.A. attesti l’irreperibilità del titolo.

 

La dichiarazione di irreperibilità è in realtà espressione del principio di leale collaborazione tra cittadino e P.A., ex art. 1, comma 2-bis L. 241/1990, a norma del quale “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

Tale approccio è ad oggi condiviso anche dalla giurisprudenza amministrativa più recente.

Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, “se determinati documenti che sono legittimamente richiesti dal privato, non risultino esistenti negli archivi dell’Amministrazione che li dovrebbe detenere per ragioni di servizio, quest’ultima è tenuta a certificarlo, così da attestarne l’inesistenza e fornire adeguata certezza al richiedente per quanto necessario a consentirgli di determinarsi sulla base di un quadro giuridico e provvedimentale completo ed esaustivo (si vedano, ex plurimis, Tar Lombardia, Milano, 31 maggio 2019, n.1255; 29 maggio 2021, n. 1245; 20 febbraio 2020, n.343; T.A.R. , Napoli , sez. VI , 03/05/2021 , n. 2915; T.A.R. Lazio, Roma, II ter, 19 marzo 2019, nr. 5201 ed altre)” (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 2.3.2022, n. 2485).

 

Accanto a ciò, la giurisprudenza ha chiarito che al fine di dimostrare l’oggettiva impossibilità di consentire il diritto di accesso non può dirsi sufficiente “la mera e indimostrata affermazione in ordine all’indisponibilità degli atti quale mera conseguenza del tempo trascorso e delle modifiche organizzative medio tempore succedutesi, in quanto spetta all’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso fornire l’indicazione, sotto la propria responsabilità, attestante la inesistenza o indisponibilità degli atti che non è in grado di esibire, con l’obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità, senza che sia sufficiente al riguardo una mera affermazione della loro inesistenza negli scritti difensivi (T.A.R. , Milano , sez. III , 11/10/2019 , n. 2131)” (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 15.3.2022, n. 2960).

 

A fronte di una istanza di accesso agli atti, infatti, la PA è tenuta ad eseguire con la massima accuratezza e diligenza le ricerche per rinvenire i documenti chiesti in visione, anche con le opportune segnalazioni e denunce all’Autorità giudiziaria, e a dare conto al privato delle ragioni dell’impossibilità di ricostruire gli atti mancanti.

In tal senso, dunque, la giurisprudenza ha ritenuto illegittima   la comunicazione che un’articolazione dell’Amministrazione che riferisce al richiedente la propria competenza a provvedere, persistendo comunque la necessità che l’istanza sia oggetto di esame da parte degli uffici che risultano competenti all’interno dell’Amministrazione (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 12.5.2022, n. 5918).

 

Sempre ragionando ai fini dell’art. 9-bis TUEd, tale attestazione si rende necessaria – ed essenziale – poiché ai fini della applicabilità della disciplina della prova “alternativa” dello stato legittimo in assenza del titolo edilizio è evidentemente essenziale che la irreperibilità sia accertata ed attestata “oggettivamente” dalla medesima P.A. (ossia secondo le regole procedurali e formali individuate dalla giurisprudenza sopra citata) non potendo, per contro, detta condizione essere “soggettivamente” asserita dal privato o dal suo Tecnico, pena il rischio, in questa seconda ipotesi, che a distanza di anni la P.A. possa mettere in discussione una irreperibilità non “accertata”.