Alberghi e Covid-19, i protocolli della fase due per ridurre il rischio contagio

Alberghi e Covid-19, i protocolli per evitare il rischio contagioLa fase due dell’emergenza da Covid-19 entra nel vivo anche per gli alberghi e sono in molte le strutture che, anche in vista dell’auspicata reintroduzione degli spostamenti interregionali, continuano ad interrogarsi sui rischi che possono configurarsi con un incremento delle presenze in un momento in cui ancora si registra una circolazione rilevante del patogeno

Abbiamo già affrontato la questione dei rischi che una infezione da Covid-19 contratta nel corso del soggiorno da un cliente possa determinare per l’albergatore sotto il profilo della responsabilità civile (clicca qui)  concludendo che il mutato contesto ha reso necessaria per tutti gli operatori del settore alberghiero una variazione della valutazione rischi.

In questa direzione si sono mosse alcune associazioni di categoria che hanno stipulato il Protocollo accoglienza sicura in collaborazione con la Protezione Civile e la Croce Rossa Italiana del 27 aprile 2020 nel quale sono state riportate le principali misure da adottarsi per garantire la sicurezza della clientela e del personale addetto.

In particolare, il suddetto protocollo, facendo proprie gran parte delle raccomandazioni dell’OMS sul tema (qui consultabili), individua alcune buone pratiche essenziali tra le quali si rilevano: il rispetto della distanza interpersonale negli spazi comuni, il contingentamento degli accessi alla reception, il posizionamento di gel ad azione disinfettante in ogni postazione, la dotazione di dispositivi di protezione per tutti gli addetti al servizio.

Sono obbligatorie le protezioni delle vie respiratorie nei luoghi confinati aperti al pubblico, sono vietati gli assembramenti, sono implementate le procedure di virtual concierge e priority check out e self check out. E’ previsto altresì che le chiavi delle stanze siano pulite ad ogni cambio dell’ospite e che le pulizie siano effettuate con prodotti idonei alla disinfezione di tutte le superfici nonché con procedure a tal fine adatte per il lavaggio della biancheria. Si prevedono specifici obblighi di informazione agli ospiti e procedure di sicurezza per tutti servizi accessori quale ad esempio la ristorazione e il servizio in camera.

Tali misure si sommano al Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid negli ambienti di lavoro del 24 aprile 2020 indicato dall’art. 2 comma 6 del DPCM 26 aprile 2020. A mente della disposizione richiamata, il rispetto delle prescrizioni ivi contenute è condizione necessaria per lo svolgimento delle attività nel corso dell’emergenza. La violazione delle stesse è sanzionata, ai sensi dell’art. 4 d.l. 25 marzo 2020 n. 19, e salvo che il fatto costituisca reato, da sanzioni amministrative, pecuniarie ed accessorie come la sospensione del servizio in caso di mancato rispetto delle suddette misure.

Tuttavia né la norma menzionata né i protocolli in commento risolvono il quesito di apertura relativo alla responsabilità civile dell’albergatore in caso di infezione contratta nella struttura.

Sul punto, in altre occasioni abbiamo già argomentato rilevando che la responsabilità dell’albergatore per danni subiti da un utente nel corso del soggiorno è fondata sul combinato disposto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 2051 c.c., dai quali si evince l’obbligo dell’operatore di garantire la sorveglianza, l’igiene, e la sicurezza e l’incolumità fisica del cliente. Per l’effetto, nel caso in cui un cliente contraesse una infezione da Covid-19 nel corso del soggiorno, ben potrebbe configurarsi una ipotesi di responsabilità civile in danno all’albergatore salvo che questi riesca a provare che il danno si sia verificato per causa di forza maggiore e di aver adottato tutte le precauzioni utili a prevenirne l’insorgenza.

Al riguardo il richiamato protocollo Accoglienza sicura, nonché il protocollo di cui all’art. 2 comma 6 del DPCM 26 aprile 2020 costituiscono sicuramente indicatori della misura della diligenza richiesta all’albergatore nell’ottica della forza maggiore. E’ però bene rilevare che manca nella normativa vigente un chiaro riferimento alla responsabilità civile in tal senso.

Se infatti, come detto, il rispetto delle suddette misure è condizione per lo svolgimento dell’attività, non è detto che ciò sia sufficiente a rappresentare una esimente in caso di danni alla persona subiti a seguito di infezione da covid contratta nella struttura. Affinché, infatti, la misura della diligenza dell’albergatore possa essere ricondotta sotto parametri tipici da valutarsi in sede di contenzioso, occorrerebbe una specifica previsione in tal senso volta a vincolare l’analisi del giudicante.

Ferma restando l’utilità dei protocolli richiamati, i quali, sebbene non sufficienti ad eliminare ogni rischio di soccombenza dinanzi a pretese risarcitorie, costituiscono in ogni caso una valida argomentazione a sostegno della condotta diligente e della natura fortuita del danno lamentato, un ulteriore strumento da usare ai fini della riduzione del rischio connesso con la responsabilità civile, potrebbe allora essere rinvenuto nell’autonomia negoziale.

Al riguardo è bene subito chiarire che, come per i protocolli menzionati, anche il rimedio negoziale non elimina il rischio dell’albergatore. L’art. 1229 c.c. statuisce, infatti, che è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave ovvero quando il fatto costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico. Inoltre, ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo sono presunte vessatorie, sino a prova contraria, tutte quelle clausole volte ad escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista.

Ciononostante, anche se la disciplina generale non lascia alcuno spazio per una limitazione convenzionale tout court della responsabilità dell’albergatore, nulla vieterebbe alle parti di predisporre documenti informativi dei rischi e delle condotte da adottarsi per prevenire il contagio, nonché di sottoscrivere delle dichiarazioni volte ad dare atto del reciproco rispetto le prescrizioni per la sicurezza sanitaria vigenti. In tale ottica, potrebbe conferirsi certezza a circostanze rilevanti ai fini della prova della forza maggiore, quali ad esempio l’adeguata fornitura, quando prevista, di dispositivi di protezione individuale, ovvero il rispetto delle misure di distanziamento negli ambienti comuni.

Potrebbe altresì stabilirsi con maggiore certezza una limitazione di responsabilità dell’operatore in caso di condotta contraria alle norme di sicurezza da parte di terzi. In definitiva, sebbene non risolutivi, tali strumenti negoziali potrebbero contribuire ad alleggerire l’onere probatorio dell’operatore qualora questi fosse costretto ad invocare la forza maggiore in sede di contenzioso.