Appalti pubblici per i centri antiviolenza: il requisito delle finalità statutarie
Gli appalti pubblici per la gestione dei centri antiviolenza sono procedure particolari, regolate, oltre che dal Codice dei contratti pubblici e dalla disciplina sull’affidamento dei servizi sociali, da disposizioni specifiche finalizzate a garantire l’adozione di un corretto approccio al fenomeno della violenza di genere.
Uno degli aspetti che assume particolare rilievo in tali gare è quello dei requisiti dei soggetti che si candidano a gestire i centri antiviolenza e le case rifugio. Infatti, nella predisposizione dei bandi per l’affidamento di tali servizi, le stazioni appaltanti devono considerare anche la disciplina di settore e, in primo luogo, l’art. 5-bis, co. 3, d.l. n. 93/2013, che richiede che i gestori dei centri abbiano “maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne” e che utilizzino “una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato”.
Inoltre, le stazioni appaltanti devono fare riferimento all’Intesa della Conferenza unificata del 27 novembre 2014, cui rinviano i d.P.C.M. 24 luglio 2014 e 4 novembre 2019 e che detta i requisiti minimi che devono possedere i centri antiviolenza e le case rifugio, anche per poter accedere al riparto delle risorse finanziarie di cui al d.l. n. 93/2013.
L’intesa richiede, fra l’altro, che i soggetti gestori dei centri antiviolenza e delle case rifugio abbiano “nel loro Statuto i temi del contrasto alla violenza di genere, del sostegno, della protezione e dell’assistenza delle donne vittime di violenza e dei loro figli quali finalità esclusive o prioritarie, coerentemente con quanto indicato con gli obiettivi della Convenzione di Istanbul”[1] ovvero che dimostrino “una consolidata e comprovata esperienza almeno quinquennale nell’impegno contro la violenza alle donne”.
Per quanto significativa, l’Intesa risulta meno efficace di quanto avrebbe potuto essere nella parte in cui sembra porre quale alternativi i requisiti della finalità statutaria esclusiva o prioritaria e quello della consolidata e comprovata esperienza almeno quinquennale. In ogni caso, le stazioni appaltanti non possono prescindere dal fatto che specifiche esperienze e competenze in materia di violenza contro le donne sono comunque richieste dal d.l. n. 93/2013, né dalla disciplina adottata in materia da molte Regioni, che hanno provveduto a precisare i requisiti previsti dall’Intesa o hanno istituito appositi albi regionali, come è stato fatto ad esempio in Piemonte e Lombardia.
Alla luce della specificità dei servizi in questione e per garantire una corretta attuazione della Convenzione di Istanbul, è in effetti opportuno che, pur nell’esercizio della loro discrezionalità sul punto, le stazioni appaltanti individuino i requisiti di partecipazione per queste gare nel rispetto della disciplina di settore e comunque con particolare attenzione, anche nel solco della giurisprudenza sull’esperienza in servizi identici – e non solo analoghi – formatasi nell’ambito dei servizi sociali (ne abbiamo parlato qui).
Anche con riferimento al requisito delle finalità statutarie esclusive o prioritarie, che nell’Intesa del 2014 è direttamente collegato agli obiettivi della Convenzione di Istanbul, sarebbe però opportuno un maggiore dettaglio, sia a livello normativo, che da parte delle amministrazioni nella formulazione dei bandi di gara.
Di recente è stata pubblicata la seconda edizione dell’indagine che l’Istat conduce annualmente sulle prestazioni e i servizi offerti dai centri antiviolenza in collaborazione con le Regioni e il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da tale indagine risulta che nell’anno 2018, dei centri antiviolenza che hanno come ente gestore un soggetto privato, solo il 57% si occupa esclusivamente di violenza contro le donne, il che vuol dire che il 43% si occupa anche di altri settori[2].
Purtroppo l’indagine non si sofferma sulle modalità di affidamento della gestione del servizio, ma considerando che la maggioranza dei centri che hanno un gestore privato diverso dal promotore è di titolarità pubblica, si tratta sicuramente di un dato significativo con riferimento ai centri la cui gestione è affidata tramite appalti pubblici.
Fonte: Report Istat sull’indagine sui centri antiviolenza condotta nel 2019
Tale dato conferma l’opportunità di un maggiore dettaglio nella delimitazione della nozione di finalità statutarie “prioritarie”, ferma restando la responsabilità delle stazioni appaltanti nel formulare bandi che tutelino le utenti del servizio e che garantiscano la compatibilità dell’approccio metodologico alla violenza di genere con la Convenzione di Istanbul e le altre fonti in materia.
[1] Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013.
[2] Indagine effettuata nel 2019 con riferimento all’attività svolta nell’anno precedente e pubblicata il 28 ottobre 2020.