La valutazione di impatto ambientale ex art. 19, d.lgs. 152/2006 è espressione di ampia discrezionalità.

La valutazione di impatto ambientale è, per definizione, un procedimento amministrativo finalizzato all’individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto potrebbe avere sull’ambiente, inteso come insieme delle risorse naturali, e sulle attività antropiche in esso presenti, al fine di accertare la sostenibilità ambientale del singolo intervento e realizzare la migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell’intervento stesso e l’impatto che la sua esecuzione effettivamente produce.

Si tratta, quindi, di una procedura complessa che trova applicazione riguardo quelle proposte progettuali (o modifiche a impianti già esistenti) che possono avere impatti ambientali significativi e negativi: esso è espressione del principio di precauzione di derivazione comunitaria.

La disciplina è contenuta, prevalentemente, nel Titolo III del d.lgs. 152/2006 e s.m.i., il Codice dell’ambiente, integrata dalla normativa regionale per taluni aspetti di dettaglio.

Il tema della procedura di valutazione di impatto ambientale è stato affrontato anche in questa news.

Il caso che qui si affronta consente di analizzare uno degli aspetti più dibattuti dell’istituto, ovvero quello concerne le valutazioni tecniche espresse dagli enti preposti durante la conferenza di servizi, soggetti chiamati ad esaminare il progetto e le relative ripercussioni prima dell’adozione del provvedimento definitivo, valutazioni che costituiscono certamente gli elementi imprescindibili per una decisione sufficientemente ponderata.

La vicenda trae origine da un ricorso proposto da un operatore economico proprietario di un giacimento di cava con finalità estrattive; nell’ambito del procedimento amministrativo autorizzativo, l’Ente regionale manifestava la necessità di sottoporre a procedura di V.I.A. il progetto definitivo per l’esercizio dell’attività estrattiva.

L’iter istruttorio di verifica della compatibilità ambientale si concludeva con esito positivo; tuttavia, la società istante decideva di impugnare dinanzi al Tribunale amministrativo regionale l’esito favorevole del procedimento, poiché il giudizio in ordine alla compatibilità del progetto imponeva il rispetto di specifiche prescrizioni.

Innanzitutto, il Giudice amministrativo opera una ricostruzione precisa dell’istituto della valutazione di impatto ambientale affermando che  l’intervento in oggetto era stato sottoposto a V.I.A. in quanto “ricompreso nell’Allegato IV alla Parte II al d.lgs. n. 152 del 2006, e appartenente alla categoria progettuale punto 8, lett. t) e tipologia progettuale «modifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato III o all’allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente … tipologia progettuale “Cave e torbiere“.

Si tratta, in particolare, del richiamo dell’allegato tecnico al d.lgs. 152/2006 e s.m.i. che individua, con estremo rigore, le categorie di progetti che, per la loro approvazione, devono essere sottoposti alla procedura di compatibilità ambientale.

Il T.A.R., nella disamina del caso, giunge tra l’altro a precisare la funzione tipica della V.I.A. ovvero “quella di esprimere un giudizio sulla compatibilità di un progetto valutando il complessivo sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio – economica perseguita, che non è dunque espressione solo di discrezionalità tecnica, ma anche di scelte amministrative discrezionali, con la conseguenza della sottrazione di talune scelte al sindacato del G.A. se non laddove ricorrano evidenti profili di illogicità, irragionevolezza o errore di fatto”.

Nell’affrontare la disciplina, il Giudice di primo grado giunge col delineare l’aspetto significativo della procedura di compatibilità ambientale ovvero la natura intrinseca delle scelte operate dai soggetti chiamati ad esprimere un parere nel corso dell’iter di valutazione della compatibilità del progetto, definendo inoltre il ruolo che assume il Giudice nell’ambito delle valutazioni espresse: “la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) si caratterizza quale giudizio espressione di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera … Il sindacato del giudice amministrativo in subiecta materia, come noto, è limitato alla manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria … Difatti, le valutazioni tecniche complesse rese in sede di V.i.a. sono censurabili per macroscopici vizi di irrazionalità proprio in considerazione del fatto che le scelte dell’amministrazione, che devono essere fondate su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non si traducono in un mero a meccanico giudizio tecnico, in quanto la valutazione d’impatto ambientale, in quanto finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dall’amministrazione che non siano manifestamente illogiche e incongrue.

Con tale affermazione, il Giudice amministrativo evidenzia quindi che le valutazioni rese nel corso dell’iter autorizzativo sono dotate di ampia discrezionalità amministrativa, ragion per cui il sindacato del giudice è limitato esclusivamente ove sussistano macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria.

Esaminate le singole censure, il T.A.R. si sofferma su uno degli aspetti oggetto del contenzioso ovvero la previsione di un obbligo in capo al proponente di stipulare una convenzione con l’Ente provinciale al fine di prevedere un contributo congruo per la manutenzione della viabilità di accesso alla cava per il tratto di competenza dell’Ente provinciale medesimo.

Orbene, accogliendo lo specifico motivo di ricorso, il Giudice amministrativo giunge condivisibilmente ad affermare che “… la citata prescrizione si risolve in una duplicazione, seppur con riferimento ad uno specifico tratto di strada, dell’onere aggiuntivo già previsto dall’art. 34 del Codice della strada specificamente per l’indennizzo dell’usura delle strade. La prescrizione, inoltre, non trovando giustificazione in alcuna fonte normativa, si pone in contrasto con l’art. 23 Cost. per cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge“.

(TAR Umbria Sez. I, 13.1.2021, n. 7)