Appalti pubblici e danno erariale: il contrasto giurisprudenziale può salvare dalla Corte dei Conti
La responsabilità per danno erariale e la possibilità di essere chiamati a risponderne dinnanzi alla Corte dei Conti sono una delle grandi preoccupazioni di chi nella pubblica amministrazione si occupa di appalti pubblici, anche a fronte dei repentini mutamenti negli orientamenti dei giudici amministrativi sulla legittimità o meno di alcune scelte delle stazioni appaltanti.
In una recente sentenza, la Corte dei Conti ha mostrato di essere consapevole della sussistenza di tali incertezze, escludendo la presenza di colpa grave proprio in relazione alla circostanza che vi fosse un contrasto giurisprudenziale – poi risolto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – al momento della decisione che avrebbe, secondo la Procura, causato un danno erariale.
In particolare, era stata nominata una commissione giudicatrice composta da soggetti incompatibili ai sensi dell’allora vigente art. 84, co. 4, del Codice dei contratti pubblici del 2006, secondo cui i commissari non dovevano aver svolto altre funzioni o incarichi relativamente al contratto da affidare (oggi la norma, con una precisazione relativa al RUP, si trova all’art. 77, co. 4 del Codice vigente). Tale incompatibilità aveva determinato l’annullamento della procedura da parte del giudice amministrativo.
Alla Giunta provinciale che aveva nominato la commissione e agli stessi membri che non si erano astenuti dall’incarico era stata allora addebitata la responsabilità per il danno erariale da disservizio connesso al costo degli emolumenti di pubblici dipendenti indebitamente sottratti allo svolgimento delle funzioni proprie per lo svolgimento di un’attività inutile (partecipare a una commissione i cui atti erano viziati ab origine).
Nel caso specifico, però, la procedura riguardava l’affidamento di una concessione di servizi tramite finanza di progetto e, al tempo della decisione contestata, era in corso un contrasto giurisprudenziale sulla questione dell’applicabilità dell’incompatibilità dei commissari anche alle concessioni. La questione era stata solo successivamente risolta in senso positivo dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione 7 maggio 2013, n. 13).
La Corte dei Conti ha quindi sottolineato che l’aver sposato una delle due differenti – e fino a quel momento possibili – interpretazioni ha comportato sì conseguenze sfavorevoli sul piano amministrativo, ma che dal giudicato amministrativo non discende necessariamente una responsabilità di tipo amministrativo-contabile, giacché mentre il giudice amministrativo valuta la rispondenza dell’atto ai canoni della legge (“giudice degli atti”), il giudice contabile valuta la condotta tenuta dai soggetti che pongono in essere il medesimo atto (“giudice dei comportamenti”).
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’atto illegittimo non fosse stato posto in essere con colpa grave e, pertanto, che mancava uno degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativo-contabile, ossia l’elemento psicologico.
La presenza di un contrasto giurisprudenziale al momento della decisione, insomma, ha escluso la responsabilità per danno erariale dei soggetti coinvolti.