Appalti pubblici: mancata stipula del contratto, sì al risarcimento del danno in favore della PA.

appalti pubblici Mancata stipula del contratto, sì al risarcimento del danno in favore della PA.Negli ultimi tempi, a fronte dell’aumento dei costi dei materiali da costruzione che ha colpito anche il settore degli appalti pubblici, sempre più frequentemente molti operatori preferiscono non procedere alla stipula perché il contratto risulta essere non più remunerativo rispetto all’offerta che tempo addietro è stata presentata.

Se siete tra quegli operatori che, al fine di evitare di subire delle perdite, stanno pensando di non stipulare il contratto per il quale sono risultati aggiudicatari, è bene fermarsi perché le conseguenze di una simile azione potrebbero essere particolarmente gravi.

Così facendo, infatti, in taluni casi il concorrente si espone non solo all’escussione della cauzione provvisoria e alla segnalazione all’ANAC (come accaduto nel caso finito innanzi al TAR Milano), ma anche all’azione di risarcimento danni avanzata dall’amministrazione.

Su quest’ultimo aspetto si è soffermato di recente il Consiglio di Stato nella sentenza del 27.10.2021.

Il caso vede protagonista una stazione appaltante che aveva proceduto all’annullamento dell’aggiudicazione del concorrente che non aveva completato la consegna della documentazione amministrativa necessaria per procedere alla stipula del contratto. A tale provvedimento faceva seguito l’aggiudicazione a favore del secondo classificato.

A fronte della mancata stipula, la SA proponeva azione per il risarcimento dei danni subiti.

I giudici di primo grado avevano ritenuto l’aggiudicatario colpevole del mancato rispetto del termine essenziale per la stipula del contratto. Il TAR Toscana (Sez. I, 1.6.2020, n. 664) aveva così riconosciuto come legittimo l’operato della stazione appaltante che aveva proceduto ad aggiudicare il contratto alla seconda classificata e a richiedere il risarcimento del danno, pur senza aver proceduto all’escussione della cauzione provvisoria.

In particolare, il giudice di primo grado aveva condannato la società a risarcire la stazione appaltante per una somma complessiva pari a euro 71.820,00, maggiorata di rivalutazione dal giorno dell’annullamento dell’aggiudicazione (avvenuta nel 2015) sino al giorno di deposito della sentenza e interessi legali.

Per la quantificazione del danno emergente, i giudici hanno considerato la circostanza che la stazione appaltante aveva dovuto aggiudicare la gara al secondo classificato, e quindi a un prezzo maggiore di quello formulato dall’aggiudicatario originario. Il danno è stato quantificato considerando la differenza tra l’offerta del primo classificato e quella del secondo classificato. Oltre a ciò, i giudici hanno altresì considerato il danno derivante dal minor contenuto tecnico della prestazione offerta dal secondo classificato, da liquidarsi in via equitativa con una maggiorazione del 40% dell’importo riconosciuto a titolo di danno emergente.

In sede di appello, la società appellante ha contestato la definizione sia del danno emergente, in quanto i costi della gara non sarebbero stati sopportati inutilmente dalla stazione appaltante, che ha comunque aggiudicato il contratto alla seconda classificata, sia del lucro cessante, in quanto la gara si è comunque conclusa con esito soddisfacente per l’ente appaltante, che non ha avuto necessità di bandire una nuova gara.

Il Consiglio di Stato ha respinto i motivi di appello e ha confermato la sentenza di primo grado.

Nell’articolata argomentazione, i giudici hanno ribadito che, in caso di mancata stipula del contratto per fatto imputabile all’aggiudicatario, la stazione appaltante può agire in giudizio per il risarcimento del danno eccedente l’importo della cauzione provvisoria.

Secondo la giurisprudenza, infatti, la cauzione provvisoria o la garanzia fideiussoria si configura come caparra confirmatoria e non come clausola penale, per cui la sua escussione non esclude il diritto al risarcimento del maggior danno.

Quanto alla concreta quantificazione del danno, il Consiglio di Stato opera una distinzione a seconda che la relativa responsabilità sia imputabile all’ente appaltante o all’aggiudicatario.

Nel caso in cui la responsabilità per la mancata stipula derivi da un comportamento dell’amministrazione – riconducibile a un’ipotesi tipica di responsabilità precontrattuale – il risarcimento si fonda sull’interesse negativo, ravvisabile nelle spese inutilmente sopportate dall’aggiudicatario per la partecipazione alla gara e nella perdita di occasioni di guadagno alternative.

Al contrario, nel caso in cui la responsabilità per la mancata stipula faccia capo all’aggiudicatario, non si può parlare di responsabilità precontrattuale e non è possibile, dunque, ravvisare una violazione dei principi di correttezza e buona fede nelle trattative precontrattuali, giacché il privato offerente, divenuto aggiudicatario, ha l’obbligo di stipulare il contratto.

È lo stesso Codice dei contratti pubblici a prevederlo: da un lato, infatti, dalla lettura dell’art. 93, comma 6, si evince che l’aggiudicatario rispondere per la “mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione” dovuta ad ogni fatto a lui riconducibile; dall’altro, l’art. 32, comma 6 specifica che l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine a disposizione della stazione appaltante per addivenire alla stipula.

Nella fase che intercorre tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, l’ente appaltante gode di una tutela rafforzata rispetto all’aggiudicatario. In questa fase, sussiste l’interesse pubblico alla sollecita definizione della procedura di affidamento per cui l’obbligo del privato di sottoscrivere il contratto non risiede nel contratto (non ancora stipulato), bensì nel fatto di essere aggiudicatario all’esito di una pubblica gara.

In sostanza, “quando l’obbligazione ex lege del privato di addivenire alla stipulazione del contratto rimanga inadempiuta per fatto dell’aggiudicatario, questi è soggetto all’escussione della garanzia prestata per la partecipazione alla gara e, se l’inadempimento sia a lui imputabile anche a titolo di colpa, è tenuto al risarcimento del danno in misura pari all’eccedenza rispetto alla già prestata cauzione”.

Di qui la risarcibilità non solo del c.d. interesse negativo, ma anche dell’interesse c.d. positivo dell’amministrazione, correlato alla già intervenuta individuazione del futuro contraente e la conferma delle voci di danno considerate dalla sentenza di primo grado.

In definitiva, il danno risarcibile è pari al pregiudizio sofferto dalla stazione appaltante per il maggior prezzo di aggiudicazione, a seguito di nuova gara (cui si aggiunge il rimborso delle spese di indizione di tale nuova gara) ovvero a seguito dello scorrimento della graduatoria. Poiché quest’ultimo comporta l’aggiudicazione al concorrente che segue l’aggiudicatario decaduto, alle condizioni dallo stesso proposte, il danno risarcibile è commisurabile non solo ai maggiori esborsi sopportati dalla stazione appaltante, ma anche al pregiudizio per l’eventuale inferiore qualità della prestazione.

Ad ogni azione, dunque, può corrisponderne una reazione uguale e contraria. Massima cautela deve essere apprestata alle scelte che vengono compiute dall’operatore tra l’aggiudicazione della gara e la stipula del contratto, specie quando simili comportamenti si trasformano in fonte di responsabilità per l’operatore.

Cons. St., Sez. V, 27.10.2021, n. 7217