esclusione automatica

L’automatismo dell’esclusione delle offerte anomale: un’occasione per fare chiarezza

esclusione automaticaL’automatismo dell’esclusione delle offerte anomale: un’occasione per fare chiarezza

La recente sentenza del TAR Lazio Roma, Sez. II bis, 1.04.2025, n. 6479, aiuta a misurare la portata dell’art. 54 del Codice dei contratti pubblici, in materia di esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare d’appalto sottosoglia.

Il caso esaminato dal giudice amministrativo consente di affrontare, con taglio sistematico, il delicato rapporto tra normativa “a regime”, disciplina emergenziale del Decreto Semplificazioni e autonomia delle stazioni appaltanti.

La vicenda in sintesi

La controversia ha riguardato una procedura negoziata per l’affidamento di lavori di ristrutturazione di un immobile comunale, aggiudicata secondo il criterio del minor prezzo. La società aggiudicataria aveva offerto un ribasso del 36,323%, ben al di sopra della soglia di anomalia calcolata al 25,26633%. Tuttavia, la stazione appaltante, dopo aver svolto la verifica di anomalia, ha ritenuto l’offerta congrua e affidabile e ha proceduto all’aggiudicazione.

La ricorrente, seconda in graduatoria con un ribasso del 25,23%, ha impugnato l’aggiudicazione, invocando la disciplina dell’esclusione automatica delle offerte anomale, che, a suo dire, sarebbe obbligatoria ai sensi dell’art. 54, comma 1 D.Lgs. 36/2023. Sempre secondo la ricorrente, la norma del Codice avrebbe messo “a regime” la previgente disposizione emergenziale di cui all’art. 1, comma 3, ultimo periodo D.L. 76/2020 e, in ogni caso, l’obbligo di esclusione automatica delle offerte anomale eterointegrerebbe il bando di gara che non lo dovesse prevedere esplicitamente.

L’interpretazione del TAR: nessun automatismo senza previsione espressa

Il TAR ha rigettato il ricorso, affermando in linea di principio che l’esclusione automatica delle offerte anomale non è automatica nel nuovo regime normativo, ma deve essere prevista dalla disciplina di gara. L’art. 54 del D.Lgs. n. 36/2023, infatti, stabilisce che “le stazioni appaltanti, in deroga all’art. 110, prevedono negli atti di gara l’esclusione automatica”, indicando una facoltà e non un obbligo. L’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse, quindi, può essere legittimamente disposta dalla stazione appaltante solo se nella lex specialis è contenuta espressamente la clausola che contempla tale esclusione.

In altre parole, non opera più l’eterointegrazione automatica della disciplina di gara, come invece avveniva sotto la vigenza del c.d. Decreto Semplificazioni, che aveva introdotto una disciplina emergenziale a favore della massima celerità e dell’automatismo procedurale, ma comunque temporalmente limitata ai procedimenti il cui atto di avvio sia stato adottato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2023.

Un segnale chiaro alle stazioni appaltanti (e agli operatori economici)

La pronuncia in commento restituisce un principio chiaro e pratico: nell’attuale quadro normativo, l’esclusione automatica non può dirsi “incorporata” tout court nelle gare sottosoglia, anche quando vi siano più di cinque offerte ammesse. Essa va espressamente prevista, in deroga alla regola generale che impone la verifica puntuale delle offerte sospette di anomalia.

Si tratta, in fin dei conti, di una riattribuzione di responsabilità valutativa alle stazioni appaltanti, che, proprio per questo, devono essere rigorose nella redazione dei documenti di gara: laddove si intenda adottare il filtro dell’esclusione automatica – per ragioni di rapidità o certezza procedurale – ciò deve risultare inequivocabilmente dalla lex specialis.

La decisione del TAR Lazio si inserisce in un filone interpretativo che guarda con favore alla certezza delle regole di gara e alla loro non surrogabilità da parte della norma di legge, quando questa rimette alla volontà dell’Amministrazione determinate scelte. In tal senso, costituisce un monito anche per gli operatori economici, che non possono sempre confidare in automatismi normativi laddove manchino clausole espresse nella disciplina di gara.

Con buona pace di chi sperava che l’art. 54 potesse essere letto come una riproduzione integrale del modello emergenziale del 2020, la sentenza afferma, al riguardo, che il Codice dei contratti pubblici valorizza la discrezionalità della stazione appaltante e la centralità della lex specialis: ciò che non è scritto, non vale.

TAR Lazio Roma, Sez. II bis, 1.04.2025, n. 6479

==========

• Per rimanere aggiornato su questo e altre novità dal mondo degli appalti ,entra nel nostro canale telegram "Appalti in Codice" dedicato al mondo normativo degli appalti.

• Abbiamo approfondito il tema del "Caro materiali e appalti pubblici" in questo webinar - vedilo ora!

• Scarica il nostro Paper gratuito "Novità del Correttivo al Codice dei contratti pubblici"


manodopera

Appalti pubblici e costi della manodopera: il ribasso è davvero possibile?

manodoperaAppalti pubblici e costi della manodopera: il ribasso è davvero possibile?

I costi della manodopera, pur concorrendo alla determinazione della base d’asta, devono essere scorporati dall’importo soggetto a ribasso, in quanto non ribassabili, a meno che vengano espressamente indicati separatamente con un importo diverso, il quale, se inferiore a quello fissato dalla stazione appaltante, deve essere giustificato nella procedura di anomalia dell’offerta.

 

Il TAR Sicilia, Catania, Sez. I, con la sentenza 27.02.2025, n. 738 si è recentemente pronunciato in materia di ribassabilità dei costi della manodopera negli appalti pubblici, continuando ad alimentare il dibattito sulla necessità o meno di un’interpretazione rigorosa dell’art. 41, comma 14 del d.lgs. 36/2023.

La decisione offre la possibilità di svolgere una breve ricognizione dei più recenti arresti giurisprudenziali sul tema, che hanno visto l’emergere di due contrapposti orientamenti.

La vicenda

L’ATI ricorrente si era aggiudicata un appalto per la custodia, conduzione e manutenzione di un impianto di depurazione comunale, ma aveva ravvisato una inesatta indicazione dell’importo di aggiudicazione da parte della stazione appaltante, la quale avrebbe erroneamente incluso i costi della manodopera nel calcolo del ribasso d’asta.

La ricorrente aveva quindi chiesto la rettifica dell’importo, sottolineando la non ribassabilità di tali costi, ma l’istanza era stata riscontrata negativamente dall’amministrazione, che aveva proceduto comunque all’aggiudicazione, ritenendo il proprio operato conforme agli orientamenti della giurisprudenza amministrativa. Da qui, l’impugnazione oggetto della pronuncia in commento.

La ricorrente, in particolare, ha fatto leva su una specifica interpretazione dell’art. 41, comma 14 del d.lgs. n. 36/2023, considerando che i costi della manodopera – così come quelli per la sicurezza – non sarebbero suscettibili di ribasso e dovrebbero, pertanto, essere scorporati dall’importo a base d’asta ribassabile. È fatta salva l’ipotesi in cui l’operatore economico manifesti espressamente la volontà di ribassarli, dimostrando di poter contare su una più efficiente organizzazione d’impresa, circostanza che non ricorreva nel caso di specie.

Il dibattito giurisprudenziale

La questione portata all’attenzione del TAR Sicilia è tutt’ora dibattuta nella giurisprudenza amministrativa.

Da un lato, sono infatti numerose le recenti sentenze che considerano i costi della manodopera scorporabili dall’importo soggetto al ribasso.

Secondo un diverso orientamento, invece, tali costi devono essere inclusi nella base d’asta e assoggettabili a ribasso. Ciò emergerebbe anche dalla lettura dell’art. 108, comma 9 d.lgs. 36/2023, il quale impone al concorrente di indicare nell’offerta economica anche i costi della manodopera. In questa prospettiva, ne deriverebbe che se il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe richiesto ai concorrenti di indicarne la misura in sede di offerta, né, peraltro, avrebbe inserito i costi della manodopera tra gli elementi dell’art. 110, comma 1 d.lgs. 36/2023, in relazione ai quali le stazioni appaltanti verificano l’anomalia dell’offerta.

L’interpretazione del TAR Sicilia

La sentenza in commento, tuttavia, non condivide quest’ultima impostazione, ritenendo che se il ribasso venisse applicato all’intera offerta, finirebbe per coinvolgere automaticamente anche i costi della manodopera, in contrasto con il principio di scorporo previsto dall’art. 41, comma 14 d.lgs. 36/2023. In ogni caso, la norma non vieta in misura assoluta il ribasso sulla manodopera, ma al ricorrere di tale circostanza impone all’operatore economico un onere dichiarativo e motivazionale secondo i canoni previsti dal medesimo art. 41, comma 14.

Il TAR Sicilia, inoltre, ricorda che l’interpretazione della lex specialis da parte della stazione appaltante deve conformarsi a tale principio, garantendo la corretta determinazione dell’importo di aggiudicazione. In caso di ambiguità, la stazione appaltante è tenuta a ricercare l’effettiva volontà negoziale dell’operatore economico, anche desumendola dalle indicazioni contenute nell’offerta, eventualmente avvalendosi del c.d. soccorso procedimentale.

TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 27.02.2025, n. 738

==========

• Per rimanere aggiornato su questo e altre novità dal mondo degli appalti ,entra nel nostro canale telegram "Appalti in Codice" dedicato al mondo normativo degli appalti.

• Abbiamo approfondito il tema del "Caro materiali e appalti pubblici" in questo webinar - vedilo ora!

• Scarica il nostro Paper gratuito "Novità del Correttivo al Codice dei contratti pubblici"


codici di comportamento

Modelli 231 e codici di comportamento delle associazioni rappresentative degli enti

codici di comportamento Modelli 231 e codici di comportamento delle associazioni rappresentative degli enti: le nuove indicazioni del Ministero della Giustizia

Il 10 febbraio scorso, il Ministero della Giustizia è intervenuto in tema di responsabilità amministrativa degli enti, pubblicando i “Criteri guida per la redazione di codici di comportamento delle associazioni rappresentative degli enti”, un documento che fornisce preziose indicazioni per l’adozione dei codici di comportamento da parte delle associazioni di categoria. Questi codici, come noto, hanno la funzione di orientare gli enti associati nella predisposizione dei propri modelli organizzativi.

Il documento ministeriale ha una duplice finalità: da un lato, illustrare la prassi ministeriale e i criteri che guidano il procedimento di validazione dei codici di comportamento e, dall’altro, fornire indicazioni metodologiche per la predisposizione e l’aggiornamento di tali codici.

Oltre ad una panoramica sui presupposti generali e sulle finalità della responsabilità amministrativa degli enti, il documento dettaglia la procedura di approvazione dei codici di comportamento e il ruolo del Ministero in questo processo, delineando inoltre la struttura e le componenti essenziali di cui i codici dovrebbero essere dotati.

Codici di comportamento: il ruolo del Ministero e la prassi applicativa

Occorre ricordare che l’art. 6, comma 3, del D.lgs. n. 231/2001 consente agli enti di adottare modelli organizzativi basati su codici di comportamento elaborati dalle associazioni rappresentative di riferimento. Il Ministero della Giustizia svolge un ruolo centrale nel controllo e nella validazione di tali codici.

La procedura di controllo, regolata dal D.M. 26 giugno 2003, n. 201, prevede che le associazioni di categoria trasmettano i codici al Ministero unitamente allo statuto e all’atto costitutivo. Questo passaggio preliminare serve a verificare la rappresentatività effettiva dell’associazione richiedente, requisito essenziale per l’iter di validazione. In caso di esito negativo della verifica, infatti, il procedimento viene interrotto, precludendo l’esame del merito del codice.

Nel documento in esame, ad integrazione del dato normativo, il Ministero sottolinea l’importanza di allegare anche una nota illustrativa che descriva il perimetro di operatività dell’associazione e dei soggetti rappresentati, al fine di dimostrare una rappresentatività “effettiva” e “apprezzabile”.

Nella prassi applicativa, quindi, il Ministero tiene conto sia dell’ambito oggettivo dei compiti assunti dall’associazione (e risultanti dallo statuto e dall’atto costitutivo), sia dell’ambito soggettivo degli enti rappresentati.

Continuando l’analisi della normativa di riferimento, l’art. 5 del D.M. n. 201/2003 stabilisce che i codici di comportamento devono fornire indicazioni “specifiche” e “concrete” di settore per l’adozione e l’attuazione dei modelli organizzativi. Inoltre, la disposizione specifica che il controllo ministeriale si basa sui criteri stabiliti dall’art. 6, comma 2, del D.lgs. 231/2001, con la possibilità per le Autorità competenti coinvolte nel procedimento di formulare osservazioni entro 30 giorni. L’assenza di osservazioni, ovvero il loro recepimento da parte dell’associazione richiedente, consente l’approvazione del codice, che acquisisce così efficacia.

Il documento ministeriale sottolinea, dal punto di vista della prassi applicativa, che i codici di comportamento, per rispondere ai canoni previsti dalle predette disposizioni, devono avere un approccio pratico e descrittivo, includendo alcuni elementi chiave per guidare concretamente gli enti associati nell’adozione dei modelli organizzativi, tra cui: la chiara specificazione del settore commerciale e/o dell’ambito di operatività degli enti rappresentati; l’individuazione delle attività a rischio reato e dei protocolli aziendali da adottare, in considerazione del settore specifico e dei processi decisionali e finanziari che lo caratterizzano.

I criteri di valutazione del Ministero

Ci si chiede allora quali siano nel dettaglio i criteri di valutazione adottati dal Ministero, per accertare l’idoneità dei codici di comportamento rispetto ai requisiti sopra ricordati. Il documento in commento individua essenzialmente tre criteri fondamentali:

  1. efficacia, in quanto i codici devono fornire strumenti interpretativi e operativi concretamente implementabili dagli enti associati;
  2. specificità, dovendo gli stessi essere adattabili alle caratteristiche e al contesto operativo dei destinatari;
  3. dinamicità, atteo che i codici devono essere flessibili e aggiornati in base ai mutamenti normativi e operativi della realtà di riferimento.

Struttura dei codici di comportamento

Nella parte finale del documento, il Ministero fornisce indicazioni su come le associazioni dovrebbero strutturare i propri codici di comportamento, delineando alcuni elementi essenziali che ne costituiscono il contenuto minimo.

Dovrebbe infatti essere presente una sezione introduttiva, contenente la descrizione del quadro normativo e le finalità della disciplina 231.

Successivamente, è fondamentale che i codici illustrino la distinzione tra Parte Generale e Parte Speciale dei modelli organizzativi, per agevolare gli enti associati nella loro predisposizione.

Il documento raccomanda, inoltre, alle associazioni di categoria di indicare quali componenti devono essere incluse nella Parte Generale dei modelli organizzativi, evidenziando anche le modalità attraverso cui tali componenti possono essere adattabili in base alla dimensione e alla struttura degli enti associati, come per il caso delle PMI.

Viene prevista, tra le altre cose, la specificazione di una sezione sulla compliance integrata, considerata elemento indefettibile dei codici di comportamento. Qualora l’associazione decida di non inserire nel proprio codice tale sezione, deve motivare esplicitamente tale scelta.

L’indicazione degli elementi della Parte Speciale, invece, deve prevedere quantomeno la descrizione delle metodologie applicabili nella costruzione delle parti speciali dei modelli organizzativi, oltre alla specificazione dei protocolli e dei controlli preventivi che gli enti associati sono tenuti ad adottare per la regolamentazione dei processi aziendali, con riferimento alle attività sensibili proprie del settore di riferimento.

Queste nuove indicazioni ministeriali confermano l’importanza della strutturazione chiara e dettagliata dei codici di comportamento, al fine di fornire agli enti associati strumenti concreti per la prevenzione della responsabilità amministrativa ai sensi del D.lgs. n. 231/2001 e garantire la conformità degli stessi con la normativa di riferimento.

Certamente, l’adeguamento delle associazioni di categoria a queste indicazioni può facilitare il processo di validazione ministeriale dei codici di comportamento e migliorare l’efficacia dei modelli organizzativi adottati dagli enti associati.

Tuttavia, si deve notare che l’approvazione del codice di comportamento non garantisce automaticamente anche l’idoneità del modello organizzativo adottato dall’ente in conformità allo stesso.

==========

• Per rimanere aggiornato su questo e altre novità dal mondo degli appalti ,entra nel nostro canale telegram "Appalti in Codice" dedicato al mondo normativo degli appalti.

• Non perdere la prossima diretta del 27 Febbraio h 18.00 - Sul Caro Materiali e Appalti Pubblici - vedi tutte le info per seguire la diretta