Comunità Energetiche Rinnovabili: al via gli incentivi!
Comunità Energetiche Rinnovabili: al via gli incentivi!
Cosa sono le comunità energetiche rinnovabili abbiamo già provato a spiegarlo qui sottolineando come queste rappresentino solo una delle configurazioni possibili di autoconsumo diffuso.
Il tanto atteso “DecretoCACER” pubblicato il sul sito del MASE il 23 gennaio 2024 prevede due forme di agevolazioni:
- un incentivo in tariffa rivolto a tutto il territorio nazionale (incentivazione in conto esercizio), senza alcuna distinzione dimensionale (piccoli comuni e città metropolitane) e comportante un risparmio sui costi dell’energia prodotta da chi costituisce la Comunità, per una potenza massima agevolabile di 5Gw e con un limite temporale fissato al 2027 (compreso);
- un contributo a fondo perduto (incentivazione in conto capitale cd. Misura PNRR), cumulabile con l’incentivo in tariffa, per i soli Comuni con meno di 5 mila abitanti, per una potenza agevolabile di almeno 2 Gw e con un limite temporale sino al 30 giugno 2026.
Con il Dm 23 febbraio 2024, n. 22 il Ministero ha approvato le Regole operative elaborate Gestore Servizi Energetici (GSE), che disciplinano fattivamente l’accesso alle due forme di agevolazione per le diverse configurazioni di autoconsumo diffuso.
Il decreto entra in vigore il 24 febbraio mentre l'8 aprile il Gse aprirà i portali per l'invio delle domande.
Oggi ci focalizzeremo sulla prima misura agevolativa e rispetto alla sola configurazione CER.
Gli incentivi sono rilasciabili per:
- nuovi impianti, si considera tale quello realizzato su un sito sul quale, prima dell’inizio dei lavori, non era presente da almeno 5 anni un altro impianto di produzione di energia elettrica alimentato dalla stessa fonte rinnovabile o le principali parti di esso;
- potenziamento d’impianti già esistenti e la cui porzione aggiuntiva, appunto funzionale al potenziamento, sia agganciata al medesimo punto di connessione della rete elettrica dell’impianto preesistente.
Gli impianti già esistenti devono essere entrati in esercizio a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 199/2021 (16 dicembre 2021) e per questi dovrà essere prodotta idonea documentazione da cui si ricavi che l’impianto sia stato realizzato ai fini del suo inserimento in una configurazione di CER. In tal caso il requisito dovrà essere dimostrato dalla produzione di documenti sottoscritti in data anteriore a quella di entrata in esercizio dell’impianto (con tracciabilità certificata della firma) e la richiesta di accesso alla tariffa incentivante dovrà essere presentata entro 120 giorni dalla data di apertura del Portale del GSE.
Ma come si costruisce fattivamente una CER?
Tramite statuto o atto costitutivo che deve possedere almeno i seguenti elementi essenziali:
- oggetto sociale prevalente è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai propri membri o soci o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di ottenere profitti finanziari;
- i membri o soci che esercitano poteri di controllo possono essere solo persone fisiche, PMI, associazioni con personalità giuridica di diritto privato, enti territoriali o autorità locali;
- la comunità è autonoma e ha una partecipazione aperta e volontaria, per le PMI la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non deve costituire attività commerciale e/o industriale principale;
- la partecipazione dei membri o dei soci alla comunità prevede il mantenimento dei diritti di cliente finale;
- l’individuazione di un soggetto delegato responsabile del riparto dell’energia elettrica condivisa;
- la destinazione dell’eventuale importo della tariffa premio eccedentario ai soli consumatori diversi dalle imprese e\o utilizzato per finalità sociali aventi ricadute sui territori ove sono ubicati gli impianti per la condivisione.
Sono escluse le PMI in difficoltà, anche secondo la normativa sugli aiuti di stato, quelle nei confronti delle quali pende un ordine di recupero per effetto di una precedente decisione della Commissione europea che abbia dichiarato gli incentivi percepiti illegali ed in tutti i casi in cui ricorra una delle cause di esclusione di cui agli artt. 94 a 98 del D.lgs. 36 del 2023 e/o l’impresa sia destinataria di una misura di prevenzione di cui all’articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
Ogni CER deve prevedere la presenza di almeno due membri o soci facenti parte della configurazione in qualità di clienti finali e/o produttori e - a livello impiantistico - almeno due punti di connessione distinti a cui siano collegati rispettivamente un’utenza di consumo e un impianto di produzione/unità di produzione. Tutti gli impianti di produzione/unità di produzione facenti parte della configurazione devono essere di proprietà o nella disponibilità e controllo della CER.
Dal punto di vista strettamente procedurale la richiesta di accesso al servizio per l’autoconsumo diffuso dev’essere effettuata dal Referente. Il GSE conclude l’istruttoria entro l’ultimo giorno del terzo mese successivo alla comunicazione della richiesta, al netto dei tempi imputabili al Soggetto Referente come anche nel caso di richiesta di integrazioni o di invio del preavviso di rigetto. Nel corso dell’istruttoria valgono le norme generali sul procedimento amministrativo come disciplinate dalla Legge 241 del 1990, con la specifica che l’eventuale ritardo del GSE non integra un’ipotesi di silenzio-assenso, in quanto il procedimento deve concludersi con provvedimento espresso.
Si procederà poi all’attivazione del contratto.
Interessante è la possibilità, su base volontaria, di chiedere al GSE una verifica preliminare di ammissibilità al servizio. Condizione per l’azione è che la CER sia già stata costituita, gli impianti autorizzati (se previsto) e che il preventivo di connessione (se previsto) sia stato accettato in via definitiva. Il GSE fornirà entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta un parere preliminare positivo per l’ammissibilità ovvero potrà suggerire le prescrizioni da seguire per addivenire alla predetta ammissibilità.
Come osservato dal Presidente del GSE Paolo Arrigoni “Le Comunità energetiche rinnovabili e in generale l'autoconsumo diffuso, sono uno strumento fondamentale per garantire al Paese una transizione energetica orientata alla decarbonizzazione dei consumi, all'indipendenza energetica e alla democratizzazione dell'energia” tuttavia sull’intero territorio nazionale il numero dei progetti proposti è di 400 ma quelli in esercizio sono solo 154 come evidenziato nell’ultimo Report 2024 di Legambiente.
Ci auguriamo davvero che l’adozione, sebbene tardiva, del decreto attuativo riguardante le modalità di incentivazione e delle regole operative segni davvero un punto di svolta per le comunità energetiche e per tutte le configurazioni di autoconsumo collettivo.
by Lia Pezzulo
Consumo di suolo e Fonti Energetiche Rinnovabili: il giusto equilibrio passa per l’agrovoltaico?
Oggi proviamo a capire come poter conciliare la doverosa riduzione del consumo di suolo con la crescita esponenziale delle fonti energetiche rinnovabili, necessaria anch’essa per realizzare la svolta green di cui si ha tanto bisogno.
FATTO
Partiamo da un evento, un “fatto”, accaduto nel luglio scorso.
Tredici associazioni ambientaliste e sostenitrici delle rinnovabili hanno scritto all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) in vista della pubblicazione dell’annuale report 2023 sul consumo di suolo, affermando – a loro dire - una non corretta rappresentazione del consumo di suolo relativamente agli impianti fotovoltaici nel precedente report 2022.
In sintesi: secondo gli scriventi l’ISPRA ha errato nel catalogare il fotovoltaico a terra quale forma di consumo di suolo pari alla cementificazione e alla desertificazione questo perché il fotovoltaico non impermeabilizza i suoli, non intacca la biodiversità, non possiede strutture inamovibili e, una volta rimosso, non lascia tracce sui terreni.
Il passaggio che maggiormente colpisce è il seguente “Non prevede [ndr. il fotovoltaico a terra] l'impiego di cemento, non ha alcun impatto chimico né pregiudica - anche alla luce delle nuove opportunità garantite dall'agrivoltaico avanzato - l'utilizzo agricolo, anzi, è acclarato che consente il risparmio idrico e protegge gli insetti impollinatori dall'eccessiva insolazione.”.
Questo passaggio potrebbe essere fonte di confusione per i non addetti ai lavori quindi oggi proviamo a comprendere la differenza che passa tra fotovoltaico a terra cd. tradizionale e agrivoltaico.
DIRITTO
A dipanare la confusione provvede il “diritto” come interpretato dal Consiglio di Stato che, aderendo alla prevalente giurisprudenza dei TAR, con la sentenza del 30 agosto 2023, n. 8029 ha finalmente chiarito l’enorme differenza che passa tra fotovoltaico tradizionale e agrivoltaico.
I Giudici della IV sezione di Palazzo Spada sono stati chiamati a pronunciarsi sulla corretta individuazione del regime normativo da applicare al progetto di realizzazione di un impianto agrivoltaico.
Nel caso specifico la Provincia di Brindisi aveva denegato il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto in questione stante una non una positiva valutazione ambientale. Ebbene, come affermato prima dal TAR Lecce e confermato dal Consiglio di Stato, tale negativa valutazione è effetto di una impropria assimilazione tra gli impianti agrivoltaici e quelli fotovoltaici.
La sentenza in esame risulta particolarmente rilevante perché, finalmente, traccia un netto confine tra i due sistemi FER che oggi dunque possono essere così distinti:
- gli impianti fotovoltaici sono quelli che rendono il suolo impermeabile, impediscono la crescita della vegetazione e dunque cagionano la perdita della potenzialità produttiva del terreno;
- gli impianti agrivoltaico sono invece quelli posizionati su pali più alti e distanti tra loro, in modo da consentire la coltivazione agricola dove la superficie del terreno resta, infatti, permeabile e dunque pienamente utilizzabile.
L’importanza di questa pronuncia è lampante. Al fine di evitare ulteriori confusioni, dovute ad erronee deduzioni, è bene specificare che questa corretta definizione di agrivoltaico non fa sì che tali impianti godano di una deroga al regime vincolistico ma “solo” che questi debbano essere valutati tenendo conto delle loro peculiarità tecnologiche e impiantistiche, ciò trova conferma nella successiva pronuncia n. 8260 dell’11.9.2023 del Consiglio di Stato.
In tale ultima pronuncia i Giudici di Palazzo Spada, partendo dalla netta differenza tra fotovoltaico tradizionale e agrivoltaico, hanno sottolineato come in tema di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) di un impianto agrivoltaico sia necessario che la Soprintendenza e gli altri Enti chiamati ad esprimere il parere sulla compatibilità ambientale e paesaggistica siano tenuti a valutare il progetto tenendo conto delle caratteristiche tecnologiche specifiche di questa tipologia di impianti.
CONCLUSIONI
Dall’ultimo report dell’ISPRA apprendiamo che nell’ultimo anno le nuove coperture artificiali di suolo hanno riguardato altri 76,8 km2, il 10,2% in più del 2021, portando a una crescita complessiva dell’impermeabilizzazione di 22,3 km2. Il fotovoltaico occupa, a livello nazionale, circa 17.830 ettari.
La riduzione del consumo di suolo, obiettivo generale e recepito anche nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), non può non passare attraverso lo sviluppo degli impianti agrivoltaici che grazie agli intervenuti assesti giurisprudenziali, finalmente, godono a pieno titolo di una propria identità e rilevanza.
E se non dovesse bastare? Dopo l’ok Bruxelles, sono in arrivo gli incentivi specifici per queste tipologie d’impianto. Anche al fine realizzare l’obiettivo d’installare un contingente di 1,04 GW di nuova potenza entro il 2026, due sono le modalità incentivali: un contributo in conto capitale, che copre il 40% dei costi ammissibili relativi alla costruzione dell'impianto e una tariffa incentivante sulla produzione di energia immessa in rete.
Quando sole e pioggia “riescono a passare” l’equilibrio è quello giusto.
by Lia Pezzulo
Comunità Energetiche Rinnovabili: cosa sono e perché se ne parla tanto?
Prima di rispondere alla domanda: "Comunità Energetiche Rinnovabili: cosa sono e perché se ne parla tanto?" e per anticipare la conclusione a cui speriamo porti l’adozione del tanto atteso Decreto CER, ci piace partire dalla condivisione di un dato molto interessante:
Il 30 agosto 2023 è stato pubblicato da EMBER, think tank indipendente sull’energia, l’ultimo rapporto in cui sono stati analizzati i cambiamenti nel settore energetico europeo da gennaio a giugno 2023.
La nostra attenzione è caduta su due dati:
- La produzione combustibili fossili crollata del 17% ed assestandosi al livello più basso mai registrato;
- La continua crescita dell’energia solare, con una produzione in aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022.
È in questo contesto che s’inseriscono, doverosamente, le Comunità Energetiche Rinnovabili ed il testo, di cui si attente la pubblicazione nei prossimi giorni, del così detto Decreto CER ovvero la normativa italiana con cui vengono disciplinate le modalità di incentivazione per sostenere l’energia elettrica prodotta da impianti a fonti rinnovabili inseriti in configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile.
Ma cosa s’intende per Comunità Energetiche?
In realtà le CER sono solo una delle configurazioni di autoconsumo diffuso introdotte dalla Comunità Europea, ma essendo le più famose proviamo un po' a capire come funzionano e perché sono così importanti in quella che è la doverosa transizione ecologica in atto.
Le CER altro non sono che entità giuridiche costituite su base volontaria tra liberi cittadini, pubblica amministrazione, piccole e medie imprese con l’obiettivo di esercitare collettivamente il diritto di produrre, consumare e scambiare energia rinnovabile a livello locale. L’autoconsumo diffuso!
I membri che formano una CER saranno di tre tipi: i produttori e i prosumer ovvero coloro che possono condividere con l’intera comunità l’energia elettrica prodotta e i consumatori passivi.
Quali sono i vantaggi?
L’obiettivo primario, come detto, è indubbiamente il vantaggio ambientale: non bisogna infatti dimenticare che energia condivisa è quella ottenuta dalle fonti energetiche rinnovabili, specialmente il fotovoltaico. Inoltre, le CER formatesi a livello locale, evitando le spese connesse al trasporto dell’energia e beneficiando di una serie di incentivi consento ai membri di beneficiare di una riduzione dei costi energetici.
È proprio rispetto al regime incentivale che s’inserisce il tanto atteso Decreto CER che definirà finalmente il definitivo regime incentivale per la realizzazione delle CER.
Nel concreto il Decreto prevede due forme di agevolazioni: un incentivo in tariffa rivolto a tutto il territorio nazionale e comportante un risparmio sui costi dell’energia prodotta da chi costituisce la Comunità e una tariffa incentivante sull’energia condivisa e un contributo a fondo perduto (fino al 40% dell’investimento) per i soli Comuni con meno di 5 mila abitanti. Pur rimanendo in attesa della pubblicazione del Decreto ed il conseguente aggiornamento delle regole “tecniche” da parte del Gestore dei Servizi Energetici (Gse), l’approvazione del Decreto CER sembra davvero aver finalmente sboccato la creazione delle CER che in effetti in Italia per ora è stata alquanto ridotta.
Che sia il 2024 non solo l’anno di pubblicazione ma anche quello in cui grazie all’autoconsumo e alle CER si arrivi ad un’ancora più esponenziale crescita delle FER per giunta grazie ad una produzione locale dal basso?
by Lia Pezzulo