Carenze del progetto non riscontrate dall’appaltatore: è possibile la risoluzione del contratto in danno dell’amministrazione?

Carenze del progetto non riscontrate dall’appaltatore è possibile la risoluzione del contratto in danno dell’amministrazionePuò essere disposta la risoluzione del contratto in danno dell’amministrazione, nel caso in cui l’appaltatore non sollevi riserve sulle carenze del progetto? A fornire risposta a questo quesito interviene la Corte di Appello di Roma con la pronuncia in commento.

Fatto e giudizio di primo grado

Con contratto sottoscritto, all’esito di gara pubblica per l’affidamento dei lavori di realizzazione delle opere di ampliamento e ridimensionamento della rete fognaria, l’aggiudicatario veniva incaricato dell’esecuzione delle opere a tal scopo necessarie.

Nel corso degli scavi, tuttavia, l’appaltatore riscontrava la presenza di rocce dure non evidenziate nel progetto posto a base di gara: per tale motivo, la committenza disponeva una prima sospensione dei lavori al fine di redigere perizia di variante per l’esecuzione di lavori imprevisti ed imprevedibili.

Successivamente, eseguendo sondaggi su un tratto di fognatura ancora da realizzare, l’appaltatore riscontrava la presenza di una quantità di roccia dura abnorme, superiore rispetto all’ammontare indicato nel contratto sottoscritto. Informata di tale circostanza la committenza, quest’ultima disponeva una seconda sospensione dei lavori al fine di redigere perizia di variante per la risoluzione della problematica denunciata.

Nelle more di tale sospensione, il RUP ordinava di rimuovere determinate situazioni di pericolo emerse, dando disposizione alla D.L. di procedere al pagamento delle somme necessarie all’esecuzione dei lavori necessari.

A tal fine la D.L., ottemperando a tale direttiva, con proprio ordine di servizio ordinava all’appaltatore di eseguire le lavorazioni necessarie alla rimozione della situazione emersa e alla contestuale messa in sicurezza dei luoghi. L’appaltatore, conseguentemente, si attivava in maniera tempestiva per rimuovere tali problematiche e, terminati i lavori necessari a tale scopo, invitava la stazione appaltante a redigere la contabilità dei lavori eseguiti.

A fronte dell’inerzia dell’amministrazione nell’adempiere a tale richiesta, l’appaltatore metteva in mora l’amministrazione medesima, elencando, con la medesima istanza, le inadempienze imputate a quest’ultima.

Nel giudizio che seguiva, l’appaltatore richiedeva al Tribunale l’accertamento dell’inadempimento dell’amministrazione delle proprie obbligazioni contrattuali (con conseguente risoluzione del contratto in danno dell’amministrazione medesima) e insisteva per la condanna della stessa al pagamento dei lavori eseguiti e non contabilizzati oltre al risarcimento dei danni.

Il giudice, tuttavia, riteneva che il comportamento di tutte le parti coinvolte nell’esecuzione dell’appalto fosse stato superficiale: per tale motivo, non accoglieva la domanda di risoluzione contrattuale (avanzata dall’appaltatore) e, per l’effetto, respingeva le conseguenti richieste risarcitorie.

Giudizio di appello

L’appellante appaltatore, nel gravame che seguiva, insisteva affinché venisse pronunciata la risoluzione del contratto in danno dell’amministrazione, con le conseguenti statuizioni – già formulate in primo grado – circa il risarcimento dei danni subiti.

In particolare, l’appellante riteneva l’amministrazione esclusivamente responsabile (in quanto la fase progettuale era di sua competenza), sicché le somme richieste a titolo di risarcimento del danno si fondavano sugli asseriti inadempimenti del Comune (nello specifico, sulla mancata attivazione dei rimedi previsti dal d.P.R. 554/1999).

Gli argomenti dell’appellante non vengono ritenuti persuasivi. Nel dettaglio, il Collegio evidenzia come la richiesta risoluzione contrattuale in danno dell’amministrazione (per inadempimenti commessi nella fase della progettazione) non sia ammissibile. Tale conclusione è motivata dalla circostanza che sussistono, già in fase di gara, obblighi in capo ad ambo le parti (ossia, nel caso di specie, alla stazione appaltante e all’appaltatore).

Il Collegio ricorda, anzitutto, come non sia possibile la risoluzione del contratto in danno dell’amministrazione, per inadempimento della stessa commesso nella fase della progettazione: invero, in fase di gara (ossia sin dal momento precedente la formulazione dell’offerta) sussistono, infatti, specifici obblighi reciproci in capo ad ambo le parti.

L’art. 71 del citato DdP.R. 554/1999, in particolare, prevede che il partecipante ad una gara d’appalto sia tenuto a rilasciare una espressa dichiarazione con cui attesti di aver esaminato gli elaborati progettuali, di essersi recato sui luoghi in cui l’appalto dovrà essere eseguito nonché di aver preso conoscenza di tutte le condizioni necessarie al corretto svolgimento dei lavori.

Con specifico riferimento alle carenze progettuali, peraltro, viene ricordato che “in tema di lavori pubblici (…) l’impresa appaltatrice non può agire per la risoluzione ex art. 1453 c.c. facendo valere l’inadempimento della committenza nella precedente fase di gara, poiché rientra tra i suoi obblighi di diligenza controllare la validità tecnica del progetto e, nella fase successiva, la stessa impresa è tenuta a segnalare le omissioni progettuali, ai fini dell’adozione delle varianti in corso d’opera, in adempimento del dovere di collaborazione che presiede allo svolgimento del rapporto” (cfr. Cass. civ., Sez. I, 15.2.2021, n. 3839).

Dalla CTU espletata in primo grado è emerso che il progetto presentato dall’amministrazione presentasse carenze così gravi che lo stesso non poteva dirsi in alcun modo cantierabile. Tali carenze, argomenta il Collegio, erano di gravità tale che non è in alcun caso logico aspettarsi che l’appaltatore non potesse non accorgersene. Ciononostante, l’appaltatore non sollevava alcuna riserva circa la completezza del progetto posto a base di gara.

Del pari, l’appaltatore non formulava neppure riserve con riguardo al progetto di variante, in quanto sottoscriveva l’atto di sottomissione (così accettando l’esecuzione dei lavori indicati nella già menzionata perizia di variante ai medesimi prezzi e alle medesime condizioni previste nel contratto principale). Da tali elementi, dunque, emerge una concorrente responsabilità del committente e dell’appaltatore, i quali sono entrambi venuti meno agli obblighi che ad essi spettano nella realizzazione dell’appalto.

Ne deriva, in conclusione, che l’appello va rigettato, sulla conclusione per cui non può essere pronunciata risoluzione del contratto in danno dell’amministrazione “poiché la stessa impresa appaltatrice avrebbe dovuto esercitare un controllo sulle attività per le quali contesta l’inadempimento della stazione appaltante”.

(Corte App. Roma, Sez. II, 29.11.2022, n. 7688)