Certificato esecuzione lavori (CEL): lavori parziali e assenza del visto della Soprintendenza. Il Consiglio di Stato fa il punto.

Nell’ambito di una procedura di gara avente ad oggetto l’affidamento di lavori, era richiesto dal disciplinare di gara, quale requisito di capacità economica – finanziaria e tecnico – organizzativa, “di aver eseguito direttamente, nel corso dell’ultimo quinquennio antecedente la data della pubblicazione del bando di gara, lavori analoghi a quelli appartenenti a ciascuna categoria OG1, OG2 e OG11, di importo non inferiore a 150.000 euro”.

Quanto alla documentazione da fornire per la dimostrazione del possesso del requisito, era stabilito che “in sede di comprova del requisito in questione dovranno essere prodotti attestati di buon esito rilasciati dalle Autorità eventualmente proposte alla tutela degli stessi ovvero dall’amministrazione aggiudicatrice in caso di lavori di importo inferiore ad € 40.000”.

La stazione appaltante nel comunicare alla società vincitrice l’aggiudicazione, chiedeva di fornire la documentazione comprovante il possesso dei requisiti dichiarati.

La società inviava così i certificati esecuzione lavori (CEL) relativi alla categoria OG2 e copia contratto lavori e relativa fattura relativamente ai Lavori di manutenzione ordinaria da effettuarsi presso la Questura di Bari.

La stazione appaltante, esaminata la documentazione trasmessa, rilevava che i CEL risultavano privi del visto della Soprintendenza territoriale competente e che la documentazione prodotta (copia contratto e fattura) non era sufficiente a dimostrare la regolare esecuzione dell’intervento in questione, così richiedeva alla società di produrre la documentazione necessaria.

L’aggiudicatrice forniva i certificati esecuzione lavori (CEL) muniti del visto richiesto, nonché il CEL datato 26.7.2018 per i lavori presso il Palazzo della Questura di Bari con categoria prevalente “Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela” – privo del visto della Soprintendenza, ma precisando che: “il certificato n. 28379/2018 riferito ai lavori del Palazzo della Questura di Bari è in attesa di Visto della Soprintendenza, e pertanto si allega copia della trasmissione dello stesso alla Soprintendenza Archeologica delle Belle arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bari, da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti Provveditorato Interregionale per le opere pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata”.

La stazione appaltante riteneva la documentazione prodotta non utile al fine della dimostrazione del possesso dei requisiti ragion per cui escludeva la società dalla gara.

La questione finiva innanzi al TAR che respingeva il ricorso affermando che la stazione appaltante aveva correttamente giudicato non utile alla dimostrazione del predetto requisito il certificato relativo ai lavori svolti presso la Questura di Bari poiché gli stessi non risultavano ancora conclusi giacché i lavori parziali non possono essere considerati idonei ad attestare la capacità dell’impresa perché solo l’espletamento del lavoro affidato nella sua completezza indica l’avvenuto adempimento delle obbligazioni contrattuali che, in effetti, prevedono che i lavori siano integralmente completati.

In particolare, il certificato esecuzione lavori (CEL) prodotto in relazione ai lavori realizzati presso la Questura di Bari era datato 26.7.2018 (per lavori che risultavano essere stati contabilizzati il 5.3.2018), e, dunque, ampiamente successivo alla data di presentazione delle domande (il bando era stato pubblicato il 14.2.2018) per cui, anche a voler considerare regolarmente eseguita quella parte di lavori, l’impresa non era in possesso del requisito richiesto al momento di presentazione delle domande.

La società impugna la sentenza in Consiglio di Stato.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, il TAR si è limitato ad esaminare una sola delle ragioni, il carattere parziale dei lavori certificati, e l’ha ritenuta sufficiente a escludere l’idoneità del certificato esecuzione lavori (CEL) poiché solo lavori completamente eseguiti possono dare affidamento sulla capacità tecnica dell’impresa di eseguire le obbligazioni assunte con il contratto di appalto.

Nella sentenza in commento, il Collegio si sofferma sul ragionamento seguito dai giudici di primo grado e offre il quadro normativo sul certificato esecuzione lavori (CEL).

Sul carattere parziale dei lavori certificati

Il certificato esecuzione lavori è disciplinato dall’art. 86, comma 5 bis, del Codice appalti, il quale, nella formulazione vigente al momento dell’indizione della gara, prevedeva: “L’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”. L’art. 79, comma 6, Regolamento appalti stabilisce, poi, che: “L’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lett. b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”.

L’acquisizione dei certificati esecuzione lavori da parte della SOA è necessaria alla qualificazione dell’impresa resa da detto organismo e l’art. 83, comma 2, Regolamento appalti specifica che a tal fine “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito iniziati e ultimati nel periodo di cui ai precedenti commi, ovvero la parte di essi eseguita nel quinquennio, per il caso di lavori iniziati in epoca precedente o per il caso di lavori in corso di esecuzione alla data della sottoscrizione del contratto con la SOA, calcolata presumendo un avanzamento lineare degli stessi”.

L’art. 83, comma 4, Regolamento appalti prevede che: “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità dello schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito (…)”.

Il certificato esecuzione lavori (CEL) costituisce quindi una certificazione richiesta dall’impresa al committente (anche privato, cfr. art. 84 comma 2, Regolamento appalti) per la dimostrazione del possesso del requisito di idoneità tecnica – organizzativa, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria in quanto la committenza certifica l’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori.

Non v’è ragione per ritenere che l’impresa possa richiedere alla committenza (pubblica o privata) il rilascio del certificato di esecuzione solamente quando il contratto d’appalto sia stato integralmente concluso, nel senso che non residuano più prestazioni dovute a carico di entrambe le parti.

Il certificato di esecuzione lavori (CEL) può essere rilasciato anche qualora il contratto d’appalto non sia ancora concluso, ovvero, detto altrimenti, se i lavori sono ancora in corso di esecuzione, per quella parte di lavori che il RUP attesti completata con buon esito e contabilizzata.

Rileva, in tal senso, il dato normativo: l’art. 83, comma 2, Regolamento appalti ammette la possibilità che la SOA sia chiamata a valutare lavori “in corso di esecuzione alla data di sottoscrizione del contratto con la SOA”; e, d’altra parte, non è un caso che lo schema di certificato fornito dall’Allegato B al regolamento (al Quadro 6.1.) preveda si dia risposta alla domanda se “I lavori sono in corso …SI/NO”.

In un precedente specifico, è stato chiarito che dal combinato disposto delle norme che disciplinano il certificato di esecuzione lavori (CEL) si evince che “l’impresa acquisisce il requisito tecnico organizzativo, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria, col rilascio del Certificato di esecuzione lavori” (Cons. St., Sez. V, 28 dicembre 2017, n. 6135).

Si è in presenza, dunque, di un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l’effetto dell’accertamento è quello di costituire il requisito in capo all’impresa che richiede il certificato.

Da qui l’erroneità della sentenza del TAR in quanto il certificato di esecuzione lavori (CEL) non attesta l’affidabilità dell’impresa nell’esecuzione di tutte le obbligazioni sorte dal contratto di appalto, ma solo la corretta esecuzione dei lavori, ossia la sua capacità tecnico – organizzativa, ed è per questa ragione che può senz’altro ammettersi che la committenza certifichi anche lavori eseguiti in forza di contratto non ancora concluso, ma che, nondimeno l’impresa deve essere in possesso del certificato di esecuzione lavori (CEL) con il quale intende dar prova del requisito, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta.

È principio consolidato infatti quello per cui i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dal momento della presentazione della domanda e per tutta la durata di esecuzione del contratto; consentire l’integrazione del certificato di esecuzione lavori (CEL) nel corso della procedura costituirebbe palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.

Sull’assenza del visto da parte della Soprintendenza

Il certificato di esecuzione lavori (CEL) presentato dalla società non era utile a dar prova del requisito di qualificazione anche per l’assenza del visto da parte della Soprintendenza Archeologica.

E’, infatti, indispensabile che il certificato di esecuzione lavori (CEL) quand’anche riferito a lavori parziali, presenti il contenuto richiesto dalle disposizioni normative.

Nel caso di specie, l’art. 12 del Decreto Ministero dei beni ambientali culturali e del turismo 22 agosto 2017 n. 154, richiamato nel disciplinare di gara, prevedeva al comma 2 “I requisiti di cui al comma 1, autocertificati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono dichiarati in sede di domanda di partecipazione o in sede di offerta e sono accompagnati da una certificazione di buon esito dei lavori rilasciata dall’autorità preposta alla tutela dei beni su cui si è intervenuti.”

Il visto della Soprintendenza non costituisce una “mera formalità”, poiché risponde all’esigenza che la certificazione dell’esecuzione di particolari tipologie di lavori (nel caso di specie, lavori su immobili di interesse storico, artistico e archeologico) sia attestata da parte delle amministrazioni che, in quanto preposte alla tutela dei beni interessati, sono effettivamente in grado di valutarne la corretta esecuzione.

Il certificato di esecuzione lavori (CEL) come documento probatorio della capacità di idoneità tecnica organizzativa, poi, non è, per espressa indicazione normativa, surrogabile da altra documentazione e, tanto meno, dalla fattura rimessa dall’impresa e pagata dall’amministrazione (anch’essa, peraltro, di data posteriore al termine per la presentazione delle offerte).

In conclusione, il Consiglio di Stato ha ritenuto ragionevole la scelta dell’amministrazione di richiedere il certificato di esecuzione lavori (CEL) quale documento a comprova dell’esecuzione di precedenti lavori, e, d’altra parte, di escludere l’impresa che di tale documentazione non sia in possesso al momento della presentazione della domanda di partecipazione, con motivazione esente da critiche.

(Cons. St., Sez. V, 21/2/2020, n. 1320)