Concessioni demaniali: la decadenza di una concessione non è un automatismo
Con sentenza 2 maggio 2023, n. 4413, la Sezione VII del Consiglio di Stato si è pronunciata con riguardo al potere esercitato dall’amministrazione di disporre la decadenza della concessione demaniale.
In particolare, i giudici sono stati chiamati a pronunciarsi sull’appello promosso dal beneficiario di una concessione demaniale marittima avverso la sentenza del TAR Calabria che aveva affermato la legittimità della determinazione del comune con cui era stata dichiarata la decadenza dal provvedimento favorevole.
Un comune calabrese, difatti, in applicazione dell’art. 47 cod. nav. – che sancisce il potere per le amministrazioni di dichiarare la decadenza di un concessionario al ricorrere di determinati presupposti – aveva ritenuto che fossero venuti meno i requisiti soggettivi necessari per assicurare e garantire l’uso corretto ed efficiente del bene pubblico concesso, dal momento che il concessionario era risultato inadempiente agli obblighi dedotti nella concessione.
In particolare, il concessionario: aveva mantenuto oltre il termine assegnato alcuni manufatti amovibili; aveva illegittimamente realizzato, senza titolo, talune opere sul suolo dello Stato; aveva infine disatteso le ordinanze di rimessione in pristino.
Ebbene, i giudici di Palazzo Spada hanno confermato la legittimità del provvedimento di decadenza della concessione demaniale marittima di cui l’appellante era concessionario.
L’aspetto più rilevante della sentenza è tuttavia il ragionamento ricognitivo che i giudici compiono nel tracciare il perimetro della discrezionalità che in tali procedimenti l’amministrazione esercita.
Nel dichiarare la decadenza da una concessione ex art. 47 comma 1 cod. nav., difatti, le amministrazioni esercitano un potere discrezionale, che consta di due fasi: in un primo momento, a monte, l’amministrazione deve verificare la sussistenza dei presupposti normativamente previsti per l’esercizio del suo potere, applicando una regola tecnica suscettibile di apprezzamenti opinabili (discrezionalità tecnica); in un secondo tempo, a valle, l’amministrazione è chiamata ad operare una scelta di opportunità tra le diverse modalità di esercizio del potere (discrezionalità pura).
In altre parole, anche quando viene ravvisata la sussistenza di uno dei presupposti di cui all’art. 47 cod. nav., ossia un inadempimento del concessionario, l’Amministrazione competente non è obbligata a dichiarare la decadenza dalla concessione, ma è tenuta a ponderare tutti gli interessi coinvolti e a verificare la sussistenza dei presupposti di un’eventuale proficua prosecuzione del rapporto concessorio, avuto riguardo alla gravità caratterizzante l’inadempimento del concessionario.
In tal senso, dunque, militerebbe – secondo i giudici – la stessa formulazione dell’art. 47 comma 1 cod. nav., nella parte in cui afferma che l’amministrazione “può” e non “deve” dichiarare la decadenza. La ponderazione tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti effettuata dall’amministrazione sfugge tuttavia al sindacato giurisdizionale, “se non per eccesso di potere dipendente da manifesta contraddittorietà, illogicità, irragionevolezza o sproporzionalità della decisione”.
Il comune, infatti, deve valutare volta per volta, nel caso concreto, la gravità dell’inadempimento del concessionario, alla stregua delle regole previste dagli artt. 1453 e 1455 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, secondo cui l’inadempimento deve essere di non scarsa importanza: non ogni inadempimento, perciò, giustifica l’automatica decadenza dalla concessione.
Osservando il rapporto di durata che si determina nell’ambito delle concessioni demaniali, in effetti, queste presentano significative analogie con i contratti di locazione e da questi ultimi si differenziano per la natura demaniale del bene concesso.
Spiegano i giudici che “La concessione di beni demaniali, infatti, è un atto complesso bilaterale preordinato a garantire, a talune condizioni, il godimento del bene ad un unico soggetto, con contestuale estromissione di tutti gli altri, nella prospettiva di assicurare il miglior soddisfacimento di predeterminate finalità pubblicistiche”.
Data la particolare natura del bene concesso, pertanto, per dichiarare la decadenza dalla concessione occorre considerare che l’interesse perseguito dall’amministrazione concedente non si esaurisce nella sola riscossione dei canoni demaniali pattuiti, “comprendendo anche e soprattutto il soddisfacimento delle finalità pubblicistiche perseguite con la concessione”. Per questo, ad assumere rilievo sono le inadempienze del concessionario tali da compromettere significativamente il proficuo prosieguo del rapporto ovvero da rendere inattuabili gli scopi sottesi al rilascio della concessione.
Ricordano i giudici, infatti, che secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato “l’inadempimento che, ai sensi dell’art. 47 cod. nav., può dar luogo alla decadenza del titolo «deve essere di una certa consistenza» e gli elementi probatori della sussistenza di un’effettiva inadempienza rispetto agli obblighi nascenti dal titolo, «devono essere inequivoci, precisi e concordanti». L’Amministrazione concedente, «in osservanza del principio di gradualità e di proporzionalità nell’applicazione del provvedimento lato sensu sanzionatorio, può diffidare il concessionario dal perseverare in comportamenti violativi degli obblighi, facendo luogo al ritiro del titolo concessorio in occasione dell’accertata reiterazione del comportamento inadempiente» (così C.d.S., Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 232)”.
Ai fini della definitiva pronuncia di decadenza della concessione, dunque, per ravvisare l’inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione o imposti da norme di legge o di regolamento, “assumono rilievo le inadempienze del concessionario che compromettano significativamente il proficuo prosieguo del rapporto ovvero rendano inattuabili gli scopi per i quali la concessione stessa è stata rilasciata (v. Consiglio di Stato, sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 232; 23 maggio 2011, n. 3046)”.
Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici, alcune delle opere realizzate senza autorizzazione, e non prontamente rimosse, avevano determinato un parziale mutamento della destinazione prevista del bene demaniale concesso in uso da semplice stabilimento balneare a ulteriore area ristoro, essendo stata realizzata una pizzeria ed un’area ristorante non contemplati nell’originario provvedimento concessorio. Allo stesso tempo alcuna autorizzazione ad un siffatto mutamento, o comunque ampliamento di scopo, poteva essere rinvenuta nel rilascio dei titoli edilizi per la realizzazione delle opere stesse. Non poteva neanche dirsi sufficiente, al fine di scongiurare la decadenza, una postuma rimozione delle opere amovibili, tanto più che da questo punto di vista la condotta del concessionario era stata più volte inadempiente, avendo disatteso più ordinanze di sgombero.
Infine, il Consiglio di Stato ha precisato che, nel caso di specie, l’effetto della decadenza non poteva essere evitato neppure dalla presentazione di un’istanza per l’estensione della concessione, da stagionale ad annuale, presentata dal concessionario, né dalla presentazione di una domanda di sanatoria delle opere abusive. In particolare, con riguardo all’istanza per l’estensione della concessione, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato come non sia possibile il consolidarsi di un simile provvedimento secondo il meccanismo del silenzio-assenso, dal momento che la variazione di un provvedimento concessorio, al pari del suo rilascio, richiede ancora una volta una valutazione discrezionale della sua compatibilità con le esigenze del pubblico uso (cfr. art. 36 e 37 cod. nav.).