Concessioni “balneari”: i TAR si interrogano sulla direttiva Bolkestein

Concessioni “balneari”: i TAR si interrogano sulla direttiva Bolkestein Quello delle concessioni demaniali con finalità turistico ricreative (volgarmente dette concessioni “balneari”) continua ad essere – nonostante i punti fermi messi dalle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021) – un tema particolarmente dibattuto, in particolare con riferimento alla interpretazione della direttiva Bolkestein.

A costituire oggetto di dibattito, in particolare, sono le conclusioni raggiunte dall’Adunanza Plenaria: gli arresti giurisprudenziali contenuti nelle predette pronunce sono stati, infatti, ritenuti frutto di una inaccettabile “invasione di campo”, motivo per cui stato proposto ricorso per il loro annullamento dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ricorso con cui viene lamentato l’illegittimo superamento, da parte della Plenaria, della competenza giurisdizionale a tale organo riconosciuta).

Altro motivo di confronto sono le disposizioni del c.d. d.d.l. concorrenza relative alla revisione del sistema delle concessioni medesime: secondo gli operatori del settore, con tale provvedimento si priverebbero moltissime imprese (perlopiù a conduzione familiare) dell’unica fonte di guadagno (in molti, infatti, vedono il d.d.l. concorrenza – al momento ancora in esame – come un mezzo per “espropriare i legittimi concessionari al fine di svendere le spiagge ad investitori stranieri”).

Sotto un terzo, ed ultimo, profilo, si discute della qualificazione da attribuire alla c.d. direttiva Bolkestein, una delle pietre miliari del dibattito (è stato, infatti, il contenuto della direttiva – e della sentenza “Promoimpresa” resa dalla CGUE – a condurre l’Adunanza Plenaria – va detto, su impulso del Presidente del Consiglio di Stato – a determinarsi a far “cassare” le proroghe al 2033 operate dal legislatore con l’art. 1, commi 682 e 683, della l. 145/2018).

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, in particolare, il TAR Lecce – voce minoritaria, in un contesto giurisprudenziale che sembra concorde nel ritenere illegittime le suddette proroghe – ha recentemente messo nuovamente in discussione la portata della direttiva Bolkestein, rimettendo – con ordinanza n. 743 dell’11.5.2022 – alla CGUE la seguente questione preliminare: “Se la direttiva 2006/123 risulti valida e vincolante per gli Stati membri o se invece risulti invalida in quanto – trattandosi di una direttiva di armonizzazione – adottata solo a maggioranza invece che all’unanimità, in violazione dell’art. 115 T.F.U.E.”.

Al quesito così formulato ha fatto fa seguito un ulteriore quesito, per cui il Collegio rimettente si chiede “Se la direttiva 2006/126 c.d. Bolkestein presenti o meno oggettivamente ed astrattamente i requisiti minimi di sufficiente dettaglio della normativa e di conseguenza assenza di spazi discrezionali per il legislatore nazionale tali da potersi ritenere la stessa auto-esecutiva e immediatamente applicabile”.

In definitiva, il TAR Lecce dispone il rinvio alla Corte comunitaria affinché quest’ultima – ferma restando la necessità di delibare sulla validità o meno della direttiva Bolkestein (ritenuta, dal giudice rimettente, invalida perché adottata in maniera difforme rispetto alle disposizioni sovranazionali) – fornisca una interpretazione autentica della direttiva medesima, al fine di porre rimedio allo “stato di caos e di assoluta incertezza del diritto, connesso all’effetto di esclusione o disapplicazione meramente ostativa”.

Come detto, tuttavia, la posizione del TAR Lecce è minoritaria.

Con due recenti pronunce – Sez. II bis, 11.5.2022 n. 5869 e Sez. II, 1.6.2022 n. 7173 – il TAR Lazio ha ritenuto che, diversamente da quanto sostenuto nell’ordinanza di Lecce, non fosse necessario alcun rinvio pregiudiziale alla CGUE. In particolare, nella sentenza resa dalla Sez. II in data 1.6.2022, il Collegio evidenzia come “la disciplina dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE – come interpretata dalla Corte di giustizia europea nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15 – sia direttamente applicabile nell’ordinamento interno, a prescindere dalla sussistenza di un “interesse transfrontaliero certo”, in quanto oggetto di “armonizzazione esaustiva” o “completa” da parte del legislatore dell’Unione”.

Ciò significa, secondo il Collegio, che non è necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte UE in quanto – come osservato dall’Adunanza Plenaria nelle sentenze gemelle – la direttiva Bolkestein ha natura “self-executing”, essendo caratterizzata da un livello di dettaglio sufficiente per essere applicata nel nostro ordinamento.

Ne deriva, in conclusione, che “non è compatibile con il diritto dell’Unione la (…) disciplina nazionale avente ad oggetto o per effetto l’indiscriminata proroga dell’efficacia delle concessioni riguardanti l’uso esclusivo delle aree demaniali marittime (o lacuali o fluviali)”.

Fermi restando gli arresti giurisprudenziali sin qui riportati, è appena il caso di evidenziare che il legislatore ha, apparentemente, preso coscienza della necessità di regolamentare, una volta per tutte (e senza ricorrere, questa volta, a ulteriori proroghe) il settore delle concessioni: alla data odierna è infatti in discussione alla Camera dei deputati il c.d. DDL concorrenza, già licenziato dal Senato, con cui si dovrebbe finalmente procedere (in ossequio all’arresto dell’Adunanza Plenaria, per cui il termine ultimo di validità delle concessioni vigenti è fissato al 31.12.2023, con divieto di ulteriori proroghe – le quali, anche se disposte, saranno da intendersi come “tamquam non esset”) ad una complessiva revisione del sistema delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative.

(TAR Puglia Lecce, Sez. I, ord. 11.5.2022 n. 743TAR Lazio Roma, Sez. II bis, 11.5.2022 n. 5869TAR Lazio Roma, Sez. II, 1.6.2022 n. 7173)