Interventi su edifici vincolati: un occhio al DPR 380/01 e uno al D.lgs. 42/2004.

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 3150 del 18.5.2020) ricorda in maniera molto chiara un dato fondamentale che, a causa della stratificazione delle discipline giuridiche applicabili agli interventi edilizi, rischia di passare in secondo piano.

Laddove si intervenga su edifici vincolati quali beni culturali (parte II del d.lgs. n. 42/2004) non è possibile leggere il relativo regime abilitativo solo dal punto di vista edilizio-urbanistico e, quindi, secondo le categorie di intervento di cui al DPR 380/01.

Occorre, invece, che “ciascun costrutto normativo deve essere osservato con la “lente” del suo specifico contesto disciplinare, con la conseguenza che le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non sono automaticamente trasferibili quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo culturale e paesaggistico“.

Ed è sulla base di tale principio – saldo nella giurisprudenza (e ben noto in materia paesaggistica, ad esempio) – che il Consiglio di Stato nella particolare vicenda decisa con la sentenza 3150/2020 ha quindi rigettato la tesi della parte ricorrente secondo la quale “se la Soprintendenza si fosse correttamente attenuta alla qualificazione edilizia dell’intervento operata dal Comune, allora anche il giudizio di compatibilità con il vincolo sarebbe stato necessariamente diverso” .

Tale circostanza, in particolare, appare particolarmente significativa laddove si consideri che mentre la disciplina edilizia (D.P.R 380/01) reca una free zone, dal punto di vista abilitativo (gli interventi minori di edilizia libera, di cui al relativo Glossario ministeriale), al contrario il d.lgs. 42/2004, quanto ai beni culturali prescrive la necessità di autorizzazione soprintendentizia (ossia un titolo espresso) per l’esecuzione di “opere e lavori di qualunque genere” (art. 21, co. 4).

Ciò implica, in sostanza, che un dato intervento che al livello edilizio può risultare irrilevante e liberalizzato, debba nondimeno passare per un procedimento abilitativo espresso da parte della Soprintendenza MiBAC senza che nessun rilievo possa assumere il profilo strettamente “edilizio” (o che, come nel caso deciso dal Consiglio di Stato, la qualificazione urbanistico-edilizia, possa vincolare le valutazioni soprintendentizie).

Tale “autonomia” e prevalenza dei profili vincolistici (anche quelli paesaggistici, ovviamente) trova un riflesso anche nel D.P.R. 380/2001 il quale, anche quando si riferisce all’edilizia “libera” (art. 6 D.P.R. 380/2001) chiarisce espressamente che gli interventi ricadenti in tale categoria possono essere realizzati senza titolo fermo restando, comunque, il “rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, (…) delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42“.