La produzione di energia rinnovabile e l’apparente contrasto con la tutela del paesaggio.
Energia rinnovabile e tutela del paesaggio sembrano due argomenti in voga negli utlimi tempi. Il tema, alquanto attuale, riguarda in particolare il regime abilitativo degli impianti di energia da fonte rinnovabile previsto dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea.
Recentemente, in questa news, abbiamo affrontato le problematiche connesse alle autorizzazioni amministrative, in particolare gli aspetti giuridici delle prescrizioni d’obbligo ambientali e le ipotesi di varianti urbanistiche.
Il caso che qui affrontiamo, che sorge all’esito di un contenzioso insorto tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione Lazio in ordine al rilascio di un’autorizzazione unica regionale per la realizzazione di un parco fotovoltaico di notevole estensione, rileva per un duplice ordine di motivi:
- il primo, concernente in generale la tutela ambientale (genericamente intesa) e quella energetica;
- il secondo, relativo al nesso funzionale esistente tra le esigenze di tutela ambientale (che riguardano il reperimento di fonti energetiche alternative) e il coinvolgimento dell’iniziativa privata per la realizzazione di tale interesse di natura strategica.
Soffermandosi sul primo, la premessa da cui dovremmo muovere qualsivoglia considerazione è che la produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce un’attività di interesse pubblico che contribuisce (anch’essa) non solo alla salvaguardia degli interessi ambientali ma, sia pure indirettamente, anche a quella dei valori paesaggistici.
Sulla base di tale considerazione non può non premettersi che nella materia i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato costituiscono attuazione delle direttive comunitarie, che manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili.
Del resto, è quanto ribadito anche dal legislatore con il recente decreto Semplificazioni PNRR allorquando ritiene che trattasi di interventi di pubblica utilità indifferibili e urgenti.
Infatti, il legislatore nazionale ha introdotto una disciplina specifica volta a promuovere la produzione e l’utilizzo di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità attraverso il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/CE.
Il decreto, oltre a fissare i principi fondamentali del sistema legislativo e gli obiettivi che si intendono perseguire, introduce delle disposizioni specifiche per i procedimenti amministrativi autorizzativi.
Certamente, una delle criticità che si pone nella realizzazione di tali opere è il contesto paesaggistico che caratterizza gran parte del nostro Paese, criticità che rileva nel caso di cui si discute e in particolare all’atto del rilascio del provvedimento di autorizzazione alla realizzazione in quanto trattasi di impianti di notevole dimensione.
Ciò potrebbe determinare, nondimeno, un contrasto (apparente) e una sovrapposizione della normativa applicabile, ma così non è in quanto, come si è detto, il contrasto è soltanto apparente, come si ricava dalla pronuncia del Consiglio di Stato che qui si esamina.
Specificatamente, l’art. 12 del d.lgs. 387/2003 e s.m.i. delinea un sistema fondato sul riconoscimento alle Regioni del potere di “procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”; esso è espressivo di una norma fondamentale di principio della materia “energia” e costituisce un punto di equilibrio rispettoso di tutte le competenze, statali e regionali.
Nella controversia insorta tra Ministero e Regione, il punto nodale della questione era che, a ragion del Ministero, il progetto prevedeva la collocazione di un impianto fotovoltaico, a terra, in area agricola e non in area marginale e/o degradata, senza tener conto del contesto paesaggistico, senza adeguata valutazione di soluzioni alternative e in contrasto con gli indirizzi espressi dalla stessa Regione.
Trattandosi di impianto di notevoli dimensioni, a ragion del Ministero, “… le dimensioni sproporzionate e spropositate dei campi fotovoltaici operano una vera cesura, discontinuità, interruzione e modificazione dei caratteri strutturanti il territorio agricolo …“.
La tesi, tuttavia, non è stata condivisa dal Supremo Consesso amministrativo, il quale, nel respingere l’atto di appello, ha rimarcato il ruolo centrale della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile che non si pone in contrasto con la tutela ambientale e quella paesaggistica, anzi indirettamente contribuisce alla salvaguardia dei valori paesaggistici.
Per poter affermare tale esclusione, il Giudice amministrativo opera una ricostruzione positiva della disciplina legislativa e del relativo riparto di competenze tra Stato ed enti sub-statali: “… la disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia da fonte rinnovabile rientra, oltre che nella materia della tutela dell’ambiente, anche nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa concorrente dello Stato. Invero, «alle regioni è consentito soltanto di individuare, caso per caso, aree e siti non idonei, avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti, all’esito di un procedimento amministrativo nel cui ambito deve avvenire la valutazione sincronica di tutti gli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela. Tale margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette, invece, che le regioni prescrivano limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea»” (Cons. St. Sez. IV, 12.4.2021, n. 2983).
Richiamando la normativa di settore che attribuisce la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza per i progetti attuativi degli interventi, il Consiglio di Stato precisa che “… La disposizione legislativa .. è … il risultato di una scelta di politica programmatoria nella quale l’obiettivo di interesse generale, la realizzazione di impianti energetici alternativi, anziché essere affidato esclusivamente alla mano pubblica, viene ritenuto perseguibile attraverso l’iniziativa economica privata, quando non ostino altri interessi di carattere generale».
Da tali premesse il Giudice d’appello, confermando la validità dell’iter amministrativo autorizzativo, ricava il principio generale secondo il quale “La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è infatti un’attività di interesse pubblico che contribuisce anch’essa non solo alla salvaguardia degli interessi ambientali ma, sia pure indirettamente, anche a quella dei valori paesaggistici“.
Nel concludere l’argomento della news, non può sottacersi che tale pensiero rientra nella ricostruzione della nozione giuridica di ambiente elaborata da Massimo Severo Giannini, secondo il quale il significato giuridico di ambiente è declinabile in tre sensi, uno di questi riferito proprio al paesaggio.