La legittimazione ad agire degli enti collettivi nelle procedure d’appalto: un nuovo stop dal Consiglio di Stato.
Nel giudizio promosso per l’annullamento delle clausole di un bando di gara da parte dell’ente collettivo rappresentativo degli operatori edili, il Consiglio di Stato, riformando la pronuncia resa in primo grado, ha escluso la legittimazione ad agire dell’ente che tutela gli interessi collettivi e della sua articolazione locale.
In particolare, il Supremo Consesso amministrativo, nell’ambito di un giudizio promosso con ricorso collettivo da parte di un’associazione nazionale rappresentativa degli operatori edili e della sezione locale della medesima associazione, nonché da alcuni operatori del settore che contestavano alcune clausole del bando e del disciplinare di gara di una procedura di affidamento di lavori (inerenti, in particolare, i criteri di valutazione delle offerte tecniche ed alcuni oneri “indebiti”), ha ricostruito in maniera puntuale la questione della legittimazione degli enti collettivi ad agire nel giudizio di impugnazione davanti agli organi della giurisdizione amministrativa,
Si tratta di una pronuncia che fa seguito a quella dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 20 febbraio 2020, n. 6.
Il Giudice d’appello, in coerenza proprio con la sentenza dell’Adunanza plenaria, ha precisato che “l’interesse collettivo è dunque distinto in termini sostanziali da quello individuale … La distinzione sta nel fatto di riferirsi a beni e utilità non appropriabili dal singolo, e senza che un singolo si trovi – rispetto a quei beni – in posizione differenziata rispetto al quisque de populo: perciò questo interesse è chiamato interesse adespota. L’interesse collettivo nasce dalla possibilità di imputazione della sua cura a figure collettive …“.
Nel caso sottoposto all’esame del Consiglio di Stato, per configurare un interesse per sua natura imputabile all’ente collettivo non è è sufficiente “un semplice rapporto di coerenza tra l’interesse individuale e quello fatto valere dall’ente collettivo” bensì è necessario ” … che vi sia comunque un interesse qualificabile come adespota, cioè non appropriabile dal singolo, ma diffuso presso i soggetti che compongono la collettività, e che solo attraverso la sua aggregazione in capo a un ente esponenziale possa emergere come autentico interesse legittimo e su quel sostrato si possa azionare una sua tutela, anche in giudizio … E’ inoltre necessario che l’azione dell’ente collettivo non si ponga in conflitto con gli interessi dei singoli appartenenti alla categoria“.
Nell’interesse a contestare l’eccessiva onerosità di un contratto pubblico, a causa di clausole del bando di gara in grado di porre a carico dell’operatore economico oneri aggiuntivi e non pertinenti con l’oggetto dei lavori da affidare o contributi per servizi di committenza contrari alla legge, il giudice d’appello non ha ravvisato le caratteristiche proprie di tale interesse diffuso.
La tesi espressa dal Consiglio di Stato è così riassunta: “l’interesse alla convenienza economica di un contratto è infatti riferibile al singolo operatore e di esso non è data una dimensione collettiva ulteriore alla sfera di quest’ultimo. Si tratta più precisamente di un interesse individuale, strettamente inerente a quello di lucro proprio dell’impresa“.
Per tale ragione, conclude la pronuncia, l’associazione non è titolata ad impugnare le clausole del bando di gara relative ai criteri della valutazione delle offerte e del corrispettivo posto a carico dell’aggiudicatario per i servizi di committenza poiché trattasi “di interessi riferibili alla singola impresa, che solo la stessa è pertanto legittimata uti singulus a fare valere in giudizio“.
(Consiglio di Stato Sez. V, 19.5.2020, n. 3173)