Quando può essere disposta la fiscalizzazione di un abuso?
In precedenti articoli abbiamo parlato della c.d. fiscalizzazione degli abusi edilizi, prevista dall’art. 34, co. 2, del Testo Unico dell’Edilizia.
Una recente sentenza del TAR Venezia (la n. 1362 del 12 settembre 2022) offre l’occasione per ritornare sul tema e, in particolare, sul quando può essere disposta la “fiscalizzazione” di un abuso.
Ma procediamo con ordine.
I. L’antefatto della decisione
La società ricorrente ha acquistato un immobile a destinazione commerciale dopo che la società alienante aveva dato avvio (tramite DIA alternativa al Permesso di Costruire) a lavori di ristrutturazione edilizia di parte del fabbricato.
Durante tali lavori, a seguito di un accertamento condotto dal Comune, sono state rilevate una serie di difformità rispetto alla citata DIA, in conseguenza delle quali è stata dapprima ordinata la sospensione dei lavori, e successivamente erogata la sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 34 D.P.R. 380/2001.
Proprio l’ordinanza con cui è stata comminata la sanzione pecuniaria è oggetto del giudizio innanzi al TAR Venezia: in particolare, secondo la società ricorrente l’Amministrazione comunale avrebbe errato nel comminare immediatamente tale sanzione, dovendo innanzitutto attendere la conclusione dei lavori; successivamente, a valle di nuove verifiche, avrebbe dovuto ordinare prima il ripristino delle opere e, soltanto a fronte di esplicita richiesta di parte, procedere alla quantificazione della sanzione pecuniaria.
II. La normativa di riferimento
Nel caso di specie si discorre della corretta applicazione dell’art. 34 Testo Unico Edilizia, perché il Comune resistente ha ritenuto che gli abusi realizzati dalla società ricorrente rientrassero nell’ambito degli “interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”.
Orbene, il legislatore ha riconosciuto una minore gravità a questi abusi rispetto a quelli realizzati in totale difformità o addirittura in assenza del P.d.C. (puniti ai sensi dell’art. 31 TUEd), e, di conseguenza, ha previsto una sanzione alternativa alla demolizione (unica sanzione comminabile ex art. 31 cit.), appunto pecuniaria.
In particolare, ai sensi del comma 2 dell’art. 34 D.P.R. 380/2001:
Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale
Già dal chiaro dettato nella norma si evince che conditio sine qua non per la comminazione della sanzione pecuniaria è la impossibilità di eseguire la demolizione dell’opera abusiva, perché da essa deriverebbero danni alla parte di immobile realizzata conformemente al titolo edilizio.
III. La decisione del TAR
Il Tribunale veneto, nel rigettare il motivo di ricorso sollevato dalla società ricorrente, offre un interessante spunto interpretativo del citato art. 34, co. 2, alternativo a quello della giurisprudenza maggioritaria.
Partendo dal presupposto che “di regola, a fronte della constatazione di una parziale difformità dal titolo edilizio, il Comune irroga la sanzione reale, per poi eventualmente convertirla in sanzione pecuniaria (ove l’interessato lo richieda e dimostri l’impossibilità di procedere al ripristino senza pregiudicare le parti conformi)” – sul punto, richiamiamo in questa sede anche la recente pronuncia del TAR Trento, sez. I, n. 50 del 4.3.2022 – il Tribunale sostiene che questa non è l’unica soluzione offerta dall’art. 34.
Una più attenta lettura della norma, secondo il Tribunale, permette di sostenere che il Legislatore abbia inteso legare tale sanzione (pecuniaria) alla oggettiva impossibilità di eseguire la sanzione demolitoria, con ciò sottraendo la “disponibilità” della richiesta al privato responsabile dell’abuso.
Di conseguenza, è dichiarata infondata la tesi della società ricorrente per cui la sanzione pecuniaria può essere irrogata solo in esito ad una esplicita richiesta di parte: laddove il Comune procedente accerti – in qualunque stadio si trovino i lavori, che siano conclusi o meno – che le opere abusive non possono essere demolite senza arrecare nocumento alle parti legittime dell’immobile, deve essere irrogata la sanzione pecuniaria ex art. 34, co. 2, D.P.R. 380/2001.
IV. Possibili scenari futuri
Come accennato, la decisione in commento non contesta integralmente gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria in questi anni, ma – nei fatti – si pone in alternativa a questa lettura, offrendo una soluzione meno formalistica e più corrispondente ai principi di buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Non può, infatti, sfuggire che nei casi di palese impossibilità di demolire, pare del tutto inutile attendere, nell’ordine: 1) l’adozione dell’ordinanza di demolizione; 2) il decorso di 90 giorni per l’esecuzione spontanea; 3) eventuale istanza di fiscalizzazione; 4) valutazione della demolibilità del bene.
Il TAR Veneto, in una lettura più sostanzialistica della norma, ritiene che ben possa essere bypassato questo lungo iter nei (soli) casi di palese impossibilità di demolire.
Sembra, in effetti, che una tale soluzione possa essere salutata con particolare favore, in quanto appare in grado di tutelare sia il privato (che può immediatamente accedere alla sanzione pecuniaria, senza prima cadere nelle “forche caudine” dell’ordinanza di demolizione), sia le Amministrazioni statali, che potranno concludere immediatamente il procedimento sanzionatorio.