La produzione energetica da fonti rinnovabili: il caso della Regione Lazio.

In virtù del riparto di competenze sancite dalla Costituzione italiana fra Stato ed autonomie locali, le Regioni, a più riprese, hanno disciplinato con la normativa di dettaglio i molteplici aspetti che caratterizzano lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili nel territorio locale.

La disciplina delle fonti energetiche rinnovabili, come abbiamo precedentemente visto (a questo link una precedente news sul tema dell’apparente contrasto con la tutela paesaggistica), presenta molteplici criticità anche a causa dell’eccessiva stratificazione normativa ed il coinvolgimento di più soggetti attuatori.

Si consideri, a tal proposito, che la normativa regionale ha svolto certamente un ruolo di primo piano ovvero quello di attuare lo sviluppo sostenibile di tali opere complesse e rendere quanto più armonioso possibile l’insediamento delle infrastrutture indispensabili per rispondere alle richieste sempre più frequenti di energia alternativa che provengono dal mercato globale.

Nondimeno, le caratteristiche paesaggistiche e paesistiche proprie del territorio nazionale hanno consentito a tali infrastrutture di trovare un “terreno fertile” ove poter costruire gli impianti, sia di piccole, che di media e grande entità.

All’indomani dello sviluppo su scala mondiale delle fonti energetiche alternative, il legislatore nazionale è dovuto intervenire nel disciplinare le modalità di costruzione ed esercizio di tali attività, demandando alle Regioni, come sopra accennato, l’introduzione di norme di dettaglio per lo sviluppo locale.

La Regione Lazio, con la legge regionale 22.12.1999, n. 38, recante “Norme sul governo del territorio“, con l’art. 54 e ss. in particolare, come successivamente modificato, ha dettato le disposizioni specifiche per le trasformazioni urbanistiche in zona agricola disponendo, trasversalmente, le modalità attuative di produzione di energie rinnovabili.

La disposizione di cui all’art. 54 della l.r. 38/1999 e s.m.i. ha assunto un ruolo fondamentale nello sviluppo energetico, specie allorquando la previsione è stata modificata, a ragion del Governo centrale, in termini peggiorativi.

Nella formulazione originaria, la disposizione regionale in questione prevedeva che nelle zone agricole erano consentite le cd. attività rurali aziendali (come individuate all’art. 2 della legge regionale n. 14/2006), comprensive delle attività multimprenditoriali, ovvero attività eterogenee ma comunque legate alla vocazione agricola dell’insediamento, all’interno delle quali poter ricomprendere anche quelle così destinate alla “… produzione delle energie rinnovabili“.

L’attuale previsione, frutto della novella operata con l.r. 11.8.2021, n. 14, recante “Disposizioni collegate alla legge di Stabilità regionale 2021 e modifiche di leggi regionali” che ha introdotto una diversa formulazione della disposizione, sancisce espressamente che nelle aree agricole sono consentite le attività concernenti la “… 6) produzione delle energie rinnovabili anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame …“.

Il Governo italiano, ritenendo che alcuni articoli della legge regionale in esame presenterebbero profili di contrasto con la Costituzione, ha proposto la questione di legittimità costituzionale asserendo che “… La novella potrebbe apparire di limitata portata innovativa rispetto al testo previgente, atteso che la modifica si risolve, in definitiva: in una diversa articolazione del medesimo contenuto normativo … del testo previgente … nella precisazione concernente la possibilità che la «produzione delle energie rinnovabili» avvenga anche «anche attraverso la realizzazione di impianti di trattamento degli scarti delle colture agricole e dei liquami prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame …“.

Se per un verso, a fronte di tali, modeste, modifiche l’interprete sarebbe indotto a chiedersi per quale ragione il legislatore regionale non si sia limitato ad inserire soltanto la predetta precisazione concernente le energie rinnovabili, ma abbia ritenuto necessario riscrivere l’intero comma, per altro verso appaiono condivisibili le argomentazioni dedotte nel giudizio di legittimità costituzionale dal Governo italiano laddove rileva che “… In realtà, ciò che emerge è che, con la suddetta novella, non si è inteso modificare la disciplina legislativa regionale recante la tipizzazione delle attività astrattamente previste nelle zone agricole classificate come tali dagli strumenti urbanistici comunali (ossia il contenuto proprio dell’art. 54, comma 2, della legge regionale n. 38 del 1999), quanto piuttosto incidere surrettiziamente sulla disciplina contenuta nel Piano territoriale paesistico regionale in tema di attività in concreto consentite nelle aziende agricole ricadenti m ambiti soggetti a vincolo paesaggistico …“.

Stando alla tesi del Governo, per le aree vincolate, tale modifica si porrebbe in contrasto con il principio della pianificazione congiunta dei beni paesaggistici tra Stato e regione sancito dal codice dei beni culturali e del paesaggio poiché “… pur consistendo in una modifica formale della disposizione previgente, sia diretta in realtà a introdurre surrettiziamente una modifica unilaterale della disciplina di tutela prevista dal Piano territoriale, la cui revisione, tuttavia, può avvenire esclusivamente nel rispetto dei presupposti e delle modalità previsti dall’Accordo di copianificazione, sottoscritto congiuntamente con il Ministero della cultura …“.

La previsione del 2021 sarebbe, dunque, illegittima per violazione della potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, oltre che dei principi generali posti a tutela dei rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni.

Merita un richiamo, altresì, l’art. 75, l.r. 11.8.2021, n. 14, di modifica della legge regionale 16 dicembre 2011, n. 16, con la quale il legislatore regionale è intervenuto, in maniera più dettagliata, nella disciplina ambientale e delle fonti rinnovabili: stando alle deduzioni espresse dal Governo centrale, il corpus normativo da ultimo introdotto presenterebbe, in alcune sue disposizioni, profili di illegittimità in quanto in contrasto con i principi fondamentali che devono essere rispettati nell’esercizio della potestà legislativa concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia“, con ciò violando l’art. 117, comma 3 Cost., oltre che le previsioni di cui al d.lgs. 387/2003 e s.m.i.

Nella sua attuale formulazione, l’art. 75, l.r. 14/2021 introduce alla l.r. 16/2011 due previsioni:

  • la prima, ovvero l’art. 2bis recante “Disposizioni per la riduzione dell’inquinamento atmosferico derivante dall’impiego di combustibili fossili“, la quale, sancendo l’importanza dello sviluppo delle energie rinnovabili “… Al fine di dare immediato impulso alla transizione ecologica e al perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2050“, conferma il divieto di autorizzazione alla costruzione ed esercizio di nuovi impianti di produzione di energia elettrica alimentati a combustibili fossili (anche in caso di sostituzione, modifica o riconversione di impianti esistenti). La previsione, inoltre, interviene nella disciplina dell’individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti fotovoltaici, demandando ai Comuni l’attività di pianificazione (mantenendo l’Ente regionale un potere sostitutivo in caso di inerzia dell’ente locale) che, nelle more dell’attuazione, non consente il rilascio di nuovi titoli per gli impianti a terra di grandi dimensioni, ammettendo invece lo sviluppo degli impianti agrovoltaici;
  • la seconda, l’art. 3.1.1. recante “Gruppo tecnico interdisciplinare per l’individuazione delle aree idonee e non idonee FER“, la quale istituisce un organo tecnico di supporto composto da rappresentanti delle diverse direzioni regionali competenti per materia, con il compito affiancare l’operato dei Comuni per l’individuazione delle aree non idonee (mediante il rispetto di criteri predefiniti dal legislatore regionale), effettuare un’analisi delle aree potenzialmente idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili previsti dalla normativa europea e statale vigente, in armonia con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) ed infine promuovere le innovazioni tecnologiche nel settore dell’agro-voltaico.

Secondo la prospettiva del Governo, la disposizione richiamata presenterebbe vari profili di illegittimità alla luce del vigente quadro normativo statale ed eurounitario. Il rifermento privilegiato delle censure è certamente il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) che, come dedotto dal Governo, prevede un cambio di approccio a quello delineato dall’attuale quadro normativo, nel senso di demandare alle regioni, sulla base di criteri prestabiliti, l’individuazione delle aree idonee e non idonee per la localizzazione di impianti a fonte rinnovabile.

L’obiettivo di tale approccio è quello di consentire uno sviluppo coordinato di impianti, della rete elettrica e dei sistemi di accumulo; tra l’altro, anche l’attuale quadro normativo offre un utile supporto alla vicenda poiché coinvolge in prima battuta i Ministeri di riferimento (MTE e MIC) nell’individuazione dei criteri, attribuendo la titolarità del processo programmatorio alle regioni e province autonome.

Il caso sollevato dalla Regione Lazio si appresta a divenire un “caso scuola”, potendo le altre Regioni operare in contrasto con le previsioni nazionali e sovranazionali, giungendo a determinare un vero e proprio ostacolo all’iniziativa economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili; basti pensare al divieto di installazione di nuovi impianti, tema sul quale sarà svolto un approfondimento specifico.

Certamente, lo scrutinio di legittimità costituzionale che sarà operato dalla Suprema Corte potrà contribuire a tale importante processo di cambiamento energetico e risolvere i numerosi dubbi interpretativi che caratterizzano la disciplina vigente.