Irregolarità nella procedura di gara e revoca dei finanziamenti: i presupposti secondo la CGUE
Con una recente sentenza, la CGUE è intervenuta a chiarire il concetto di irregolarità nella gestione delle procedure di erogazione di finanziamenti europei – nel caso di specie una gara d’appalto – che legittima la domanda di restituzione di somme di denaro indebitamente percepite (nel caso, percepite dalla stazione appaltante e da questa corrisposte all’aggiudicatario dell’appalto).
Nel caso sottoposto all’attenzione del TAR Lazio (ord. TAR Lazio, 4 agosto 2021, n. 9204), che ha disposto il rinvio pregiudiziale alla CGUE, il Ministero dei Trasporti aveva disposto il recupero delle somme erogate per l’esecuzione di opere finalizzate all’ammodernamento di un tratto stradale (opere che erano state, medio tempore, completate ed aperte al pubblico), dichiarando contestualmente che il residuo non ancora erogato non era dovuto. L’opera in questione era stata finanziata con fondi derivanti dal bilancio dell’Unione europea.
La richiesta di restituzione di tali somme, indirizzata alla stazione appaltante che aveva bandito la gara e che aveva a sua volta pagato l’appaltatore, era essenzialmente motivata dal fatto che, secondo il Ministero, l’aggiudicazione dell’appalto era viziata da un’irregolarità con carattere di frode.
Orbene, secondo gli artt. 4 e 5 del Regolamento n. 2988/1995 – che mira a combattere le frodi contro gli interessi finanziari dell’Unione europea –, in presenza di irregolarità nell’applicazione del diritto europeo è possibile disporre la revoca del vantaggio indebitamente ottenuto.
Nel caso di specie, il Ministero era stato informato di un’indagine penale che aveva messo in luce un sistema corruttivo che coinvolgeva alcuni funzionari componenti della commissione aggiudicatrice che aveva diretto le operazioni di gara. Due componenti della commissione giudicatrice, infatti, erano sotto indagine per corruzione, in quanto – secondo l’accusa – avevano ricevuto, da un dirigente dell’aggiudicataria, somme di denaro al fine di favorire quest’ultima nell’appalto in questione.
Il provvedimento di recupero delle somme è stato ritenuto illegittimo dalla stazione appaltante – e quindi impugnato dinanzi al giudice amministrativo – atteso che:
1) la stazione appaltante non aveva subito alcuna condanna per le presunte attività corruttive poste in essere;
2) non vi sarebbe un nesso tra l’irregolarità e le spese sostenute, in quanto i fondi europei impiegati per la realizzazione erano stati correttamente impiegati per l’esecuzione dell’opera (come detto, realizzata ed aperta al pubblico);
3) non vi erano elementi per sostenere che l’aggiudicatario avesse ottenuto l’appalto in maniera illecita.
Nel rimettere la questione alla Corte UE, il TAR Lazio ha innanzitutto osservato che l’unica potenziale irregolarità (di cui, peraltro, veniva raggiunta una prova soltanto parziale) era stata commessa dal legale rappresentante dell’aggiudicataria, il quale avrebbe tentato di influenzare la decisione sull’aggiudicazione della gara (c.d. corruzione attiva). Tuttavia, nei suoi confronti il processo penale risultava ancora pendente. La dirigente della stazione appaltare, invece, si era limitata a chiedere a due membri della commissione di favorire l’aggiudicatario, ma durante il processo penale non era stato possibile chiarire se tale condotta avesse di fatto favorito o meno l’aggiudicatario.
Il Collegio si chiede, dunque, se la nozione di «irregolarità», legittimante il recupero delle somme utilizzate per un finanziamento, sia applicabile anche in assenza di una sentenza di condanna penale e in mancanza di prove circa l’illegalità dell’aggiudicazione e se, in caso di irregolarità, gli Stati membri siano tenuti ad applicare automaticamente un tasso di rettifica finanziaria del 100% oppure possano stabilire il tasso caso per caso.
La Corte di Giustizia ha innanzitutto rilevato che nel caso di specie non sussiste elemento che consenta di dare per certa l’esistenza di una frode, dal momento che i procedimenti penali sono tuttora pendenti e, dunque, non sussiste una condanna per «atti di corruzione». Le condotte, dunque, possono costituire, in tale fase, solo un «sospetto di frode», ai sensi dell’art. 27, lett. c), del Regolamento n. 1828/2006, ossia un’irregolarità che ha determinato l’inizio di un procedimento amministrativo o giudiziario a livello nazionale volto a determinare l’esistenza di un comportamento intenzionale.
Proseguono poi i giudici ricordando che con il termine irregolarità si intende, per espressa previsione dell’art. 2, punto 7, del Regolamento n. 1083/2006, “qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da un’azione o un’omissione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità europee mediante l’imputazione di spese indebite al bilancio generale”.
Sono, dunque, tre le condizioni che devono simultaneamente verificarsi perché sussista l’irregolarità, ossia:
1) la violazione del diritto comunitario;
2) l’azione (o l’omissione) dell’operatore economico;
3) il pregiudizio al bilancio UE che ne deriva.
Quanto alla prima condizione, secondo il Collegio, assumono rilevanza non soltanto le violazioni di disposizioni del diritto dell’Unione in quanto tali, ma anche disposizioni del diritto nazionale che sono applicabili alle operazioni sostenute dai fondi strutturali dell’Unione e che contribuiscono, in tal modo, a garantire l’applicazione del diritto dell’Unione relativo alla gestione dei progetti finanziati tramite tali fondi.
L’Unione Europea finanzia, mediante i suoi fondi, solo azioni attuate in piena conformità ai principi e alle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici e, dunque, nel rispetto del principio di parità di trattamento degli offerenti e del principio di trasparenza.
Applicando tali principi nel caso di specie, secondo la Corte emerge che le accuse di atti di corruzione diretti a influire sul procedimento decisionale di aggiudicazione dell’appalto pubblico sono tali da non poter escludere che taluni membri della commissione di gara abbiano favorito uno degli offerenti e discriminato i suoi concorrenti, violando così i principi di trasparenza e di parità di trattamento degli offerenti.
Per quel che riguarda la seconda condizione, spiega il Collegio, perché l’azione o l’omissione costitutive della violazione del diritto comunitario possano considerarsi irregolarità, non è necessario dimostrare la sussistenza di qualsivoglia negligenza ovvero intenzionalità da parte dell’operatore economico in questione.
Con riferimento, infine, alla terza condizione, – ossia che la violazione del diritto dell’Unione o del diritto nazionale da parte di un operatore economico abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale dell’Unione -, il fatto che la disposizione utilizzi l’espressione “possa avere come conseguenza”, significa, secondo la Corte, che la sussistenza dell’irregolarità si avrà ogniqualvolta non sia possibile escludere che la violazione abbia avuto effetti sul bilancio comunitario.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha statuito che il termine irregolarità deve interpretarsi nel senso che esso ricomprende tutti quei “comportamenti che possono essere qualificati come atti di corruzione praticati nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico avente ad oggetto la realizzazione di lavori cofinanziati da un fondo strutturale dell’Unione europea e per i quali è iniziato un procedimento amministrativo o giudiziario, anche quando non è provato che tali comportamenti abbiano avuto una reale incidenza sulla procedura di selezione dell’offerente e non è stato accertato alcun danno effettivo al bilancio dell’Unione”.
Secondo la Corte, dunque, possono essere qualificati come «atti di corruzione praticati nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico» tutti quei comportamenti che, per loro stessa natura, possono influire sull’aggiudicazione di tale appalto. Di conseguenza, non si può escludere che le condotte poste in essere nel caso di specie abbiano avuto un’incidenza sul bilancio del fondo di cui trattasi.
In merito, invece, al tasso di rettifica finanziaria da applicare, questo, secondo la Corte, deve essere valutato caso per caso, nel rispetto del principio di proporzionalità, prendendo segnatamente in considerazione la natura e la gravità delle irregolarità constatate, nonché la loro incidenza finanziaria.