La compatibilità urbanistica ed ambientale ex art. 208 degli impianti di recupero dei rifiuti: il caso di un autodemolitore.

Gli impianti di recupero dei rifiuti rappresentano una componente essenziale nel processo produttivo economico, specie in questo particolare momento storico in cui l’economia circolare (che, secondo la definizione tradizionale, rappresenta un modello di produzione e consumo che implica, tra l’altro, il riutilizzo ed il riciclo dei materiali affinché i beni abbiano maggior vita) è divenuta un tema politico-economico chiave.

Tuttavia, la pur pregevole finalità necessita di un bilanciamento del contrapposto interesse della tutela dell’ambiente, intesa quale corollario della compatibilità economica funzionale alla promozione dello sviluppo sostenibile.

In tal contesto, la questione della realizzazione di impianti di recupero dei rifiuti si colloca, certamente, nell’eterna lotta tra promozione dell’ambiente e salvaguardia del territorio, scenario in cui la compatibilità ambientale ed urbanistica rappresenta il presupposto indefettibile per la realizzazione di qualsivoglia iniziativa imprenditoriale.

La pronuncia in commento consente di esaminare proprio l’aspetto della compatibilità ambientale ed urbanistica seppur in un caso in cui l’impianto è già esistente, ma necessita di un atto autorizzativo espresso indispensabile per l’esercizio dell’attività.

In generale, la realizzazione di un impianto di rifiuti (preme segnalare l’interessante tema esaminato precedentemente sulla questione del principio di prossimità per lo smaltimento dei rifiuti urbani non differenziati) presuppone, secondo le disposizioni di cui all’art. 208 e ss., l. 152/2006 e s.m.i., di un’autorizzazione alla realizzazione e gestione nell’ambito della quale i molteplici interessi esistenti, spesso contrastanti, necessitano di una valutazione in funzione anche dell’ubicazione in cui l’impianto produttivo sorgerà.

La vicenda in commento riguarda, in particolare, un impianto di gestione di rifiuti, un’autodemolizione nello specifico ubicata nella regione Lazio.

La vicenda trae origine da una società operante nel settore da oltre venti anni la quale ha impugnato, unitamente a tutti gli atti inerenti e presupposti, il provvedimento con il quale l’amministrazione comunale ha concluso negativamente la conferenza di servizi indetta in relazione al procedimento di rilascio dell’autorizzazione ex art. 208 del d.lgs. n. 152/2006.

La determinazione conclusiva della conferenza, in particolare, ha fondato il diniego sulla ritenuta assenza dei requisiti urbanistici e ambientali previsti per la realizzazione degli impianti di autodemolizione dalla normativa vigente e, in particolare, dal citato art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 e dal d.lgs. n. 209/2003.

Al fine di ottenere l’autorizzazione definitiva all’esercizio dell’attività, quale alternativa alla delocalizzazione imposta dall’ente comunale (procedimento tuttavia non attuato), la società riceveva il provvedimento di diniego dell’amministrazione con il quale l’Ente respingeva l’istanza per assenza di requisiti urbanistici ed ambientali.

Tra i motivi di ricorso proposti dalla ricorrente, quello che risulta prioritariamente infondato è quello che fa leva sulle risultanze dell’attività valutativa ex art. 208, d.lgs. 152/2006.

Nella ricostruzione operata dal T.A.R., il primo richiamo è proprio alla disciplina di cui all’art. 208, d.lgs. n. 152/2006 che, al primo comma, così recita: “I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l’impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini …”.

Secondo il T.A.R., “La compatibilità urbanistica ed ambientale dell’impianto costituisce, dunque, presupposto imprescindibile per procedere al rilascio dell’autorizzazione definitiva di cui al menzionato art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 – nel quale, infatti, si fa espresso riferimento all’esigenza di documentare la conformità del progetto di impianto alla normativa urbanistica ed alla valutazione in sede di conferenza dei servizi, della compatibilità dello stesso con le esigenze ambientali e territoriali – sicché, ove essa manchi, il titolo autorizzatorio definitivo non può essere rilasciato“.

Appare di rilievo la conclusione a cui giunge il Giudice amministrativo, proprio sulla funzione economico – ambientale che svolgono gli impianti di recupero dei rifiuti, degli autodemolitori in particolare “… non risulta conforme ai parametri di efficienza, buon andamento ed efficacia dell’azione amministrativa una situazione, quale quella esistente attualmente nel territorio di Roma Capitale, che paralizza sine die le attività di trattamento dei veicoli fuori uso e/o di trattamento dei rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi che, seppure private e con finalità di lucro, sono comunque funzionali anche ad esigenze di smaltimento dei rifiuti e sanitarie del territorio metropolitano.

Secondo la prospettazione operata dal T.A.R. laziale “È, perciò, necessario, per le ragioni suesposte, in primis, al fine di tutelare la salute della popolazione e il rispetto dell’ambiente, nonché per soddisfare le esigenze di natura commerciale ed economica della filiera dei demolitori/rottamatori e, non da ultimo, per assicurare ai cittadini di Roma Capitale la possibilità di rottamare nel proprio territorio i veicoli in disuso, attuare la delocalizzazione in tempi quanto più brevi possibili. Sia il D.Lgs 209/2003, sia l’art. 6 bis, introdotto dalla LR n. 13/2018 nella LR n. 27/1998, sollecitano una rilocalizzazione degli impianti in quanto solo in questo modo si può addivenire ad una disciplina di settore che contemperi le esigenze pubbliche con quelle economiche e produttive delle attività”.

(Tar Lazio Sez. II, 16.9.2020 n. 9588)