Legittimazione ed interesse per impugnare un’autorizzazione ambientale: la cd. vicinitas.
Tra le recenti modifiche che ha subìto il Codice dell’ambiente, una di queste riguarda l’art. 27-bis, recante le disposizioni sul provvedimento autorizzatorio unico regionale.
Si tratta del provvedimento di autorizzazione ambientale, il cui iter amministrativo è devoluto, per legge, all’Organo regionale (distinguendosi da quello di competenza statale), deputato all’espletamento dell’istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio di tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto.
Il caso che qui si commenta riguarda la realizzazione di un allevamento avicolo di modeste dimensioni, il cui esercizio è subordinato all’ottenimento da parte del diretto interessato del provvedimento autorizzativo unico regionale (comprensivo di VIA, AIA e permesso di costruire) ai sensi dell’art 27-bis d.lgs. 152/2006 e s.m.i.
All’esito del giudizio, il Tar giunge a precisare che il mero collegamento stabile con l’area oggetto di intervento (cd. “vicinitas”) costituisce l’unico presupposto affinchè il soggetto interessato possa sindacare le scelte amministrative in tema di autorizzazioni ambientali.
Tra le diverse contestazioni che vengono in rilievo nel giudizio, quella che interessa il presente contributo verte sulla questione dell’ammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di legittimazione e/o interesse sollevata in giudizio dalle amministrazioni resistenti e dalla società interessata all’attuazione del progetto.
Si tratta, in estrema sintesi, di ricostruire in chiave giuridica e moderna i presupposti in base ai quali i soggetti interessati, nel ricorrere innanzi all’Autorità giudiziaria, possano validamente lamentare la lesione dell’interesse all’integrità ambientale e la sussistenza di pregiudizi di danno o di pericolo derivanti dalla realizzazione dell’iniziativa imprenditoriale.
In altre parole, occorre verificare se la sussistenza del mero criterio della “vicinitas“, intesa quale stabile collegamento con l’area in cui è ubicato l’intervento, sia sufficiente a ricorrere in giudizio.
Secondo la prospettazione del Tar emiliano, la mera dimostrazione di vivere abitualmente in prossimità del sito prescelto alla realizzazione dell’intervento è sufficiente a sindacare le scelte amministrative.
La ricostruzione giuridica muove da una premessa di carattere strettamente giuridico, ovvero dalla distinzione tra la condizione della legittimazione al ricorso, con quella della ben distinta dell’interesse ad agire ex art. 100 cpc.
La prima che coincide con la titolarità della situazione giuridica soggettiva sulla quale si innesta l’interesse legittimo che si vuol far valere in giudizio, la seconda costituisce la condizione dell’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo che deve possedere tre caratteristiche: deve essere personale, attuale e concreto, e che onera il soggetto interessato a fornire la prova dell’esistenza in termini di specifico pregiudizio arrecato dal provvedimento oggetto della lite rispetto ad un proprio bene della vita.
Muovendo da tali premesse, il Tar emiliano, ritenendo ammissibile il ricorso, ha ritenuto infondata l’eccezione sollevata dalle amministrazioni resistenti e dalla controinteressata promotrice dell’intervento, asserendo che i ricorrenti (alcuni in qualità di proprietari di immobili altri di titolari di imprese agricole nelle immediate vicinanze dell’intervento che lamentavano “l’alterazione del territorio e dell’ambiente in modo grave e difficilmente reversibile”) avevano pienamente dimostrato di vivere abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento e/o ivi intraprendere l’attività agricola.
Sostiene, in punto di ammissibilità l’adito Tar, che “… non è possibile escludere pregiudizi di carattere potenziale nemmeno per coloro che si collocano … nel raggio di un chilometro”.
Per poter giungere alla decisione sulla controversia, il Tar pone a fondamento del proprio iter motivazionale il contrasto giurisprudenziale che, con riferimento alla materia edilizia, stabilisce le condizioni di legittimazione ed interesse che abilitano all’impugnazione di un titolo edilizio.
Richiamando un primo orientamento, sostiene il Tar che “ai fini della legittimazione è sufficiente il criterio dello stabile collegamento con l’area interessata, di per sé sufficiente ad integrare la condizione dell’azione, senza che occorra dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale … senza cioè che occorra procedere in concreto ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione“.
Viceversa, un secondo orientamento maggiormente rigoroso impone che “la sola “vicinitas” non può reputarsi sufficiente a supportare il requisito dell’interesse a ricorrere della domanda di annullamento di un titolo edilizio, dal momento che tale condizione deve apprezzarsi non già in senso assoluto bensì relativo, ossia con riferimento alle peculiari caratteristiche dell’opera e quindi anche alla sua natura e dimensioni, destinazione, implicazioni urbanistiche ed agli effetti ragionevolmente dispiegabili in ordine alla qualità della vita di relazione esplicantesi nel contesto spaziale“.
Tali considerazioni svolte devono, necessariamente, estendersi con specifico riferimento alla disciplina ambientale, nell’ambito della quale viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del paesaggio e del patrimonio storico – artistico (l’ambiente nella concezione ampia), “il bene primario della salute umana, garantito dall’art. 32 Cost. come <<fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività>>, la cui soglia di tutela giurisdizionale … deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione di lesione”.
Da ciò ne consegue, secondo l’autorevole Tar, che nella materia ambientale (e, dunque, nel caso di specie) “… ai fini della sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire risulta sufficiente la <<vicinitas>>, intesa come vicinanza dei soggetti che si ritengono lesi al sito prescelto per l’ubicazione di una struttura avente potenzialità inquinanti e/o degradanti, non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell’effettiva prova del danno subito o subendo”.
Nel precisare l’assunto, il Giudice amministrativo chiarisce espressamente che “… Pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, costituirebbe in effetti … una <<probatio>> diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, essendo sufficiente la <<vicinitas>>“.
Di rilievo appare una considerazione conclusiva svolta dal Tar: nella materia ambientale è proprio la valutazione d’impatto ambientale (di cui abbiamo esaminato gli aspetti essenziali in questa news) prevista dal Codice dell’ambiente ad assolvere alla funzione di individuare e misurare gli impatti potenziali negativi che una determinata opera potrebbe avere sull’ambiente circostante, il tutto nell’ottica di una “tutela … doverosamente preventiva”.