Militari: sentenza del Consiglio di Stato sulla violazione della gerarchia
Una recente pronuncia del Consiglio di Stato ha stabilito che ha rilevanza disciplinare la condotta del militare il quale ha inviato una lettera di critica attinente al servizio ed alla disciplina direttamente al Comando Generale senza osservare la via gerarchica. Così si è pronunciato il Consiglio di Stato, sez. II giurisdizionale, con sentenza del 18 maggio 2020 n. 3165, in accoglimento dell’appello avanzato dal Ministero della Difesa ed in riforma della sentenza del TAR per il Lazio, sez. I bis, n. 2014 del 12 febbraio 2010.
Nel caso di specie, un maresciallo dell’Arma dei Carabinieri era stato oggetto della sanzione disciplinare della consegna impartita dal proprio Comandante di reparto ai sensi dell’art. 14 della legge 11 luglio 1978 n. 383 applicabile ratione temporis, per avere inviato, unitamente ad altri commilitoni, una comunicazione per saltum al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri contenente doglianze relative a questioni inerenti all’organizzazione interna del corpo e al servizio in genere. Nella occasione il militare si era qualificato con il proprio grado e come segretario nazionale di un’associazione culturale svolgente attività c.d. “parasindacale”.
Avverso tale provvedimento il militare aveva adito il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il quale, accogliendone il ricorso, aveva ritenuto la sanzione irrogata illegittima in quanto non aveva tenuto nel debito conto la riconducibilità della condotta all’esercizio di un’attività parasindacale, quale quella dell’Associazione culturale di appartenenza, svolta pertanto come privato cittadino.
Contrariamente, il Ministero della difesa aveva impugnato la sentenza gravata sostenendo che l’interessato aveva agito come militare in servizio e contestando l’incompatibilità tra lo status di militare dell’Arma dei Carabinieri e l’appartenenza ad un’associazione c.d. parasindacale.
Il Consiglio di Stato ha accolto in parte le doglianze avanzate dall’Amministrazione appellante, cogliendo tuttavia l’occasione per delineare alcuni principi generali permeanti il mutato assetto ordinamentale dei diritti sindacali nell’ambito degli ordinamenti militari in relazione ai doveri connessi con lo status rivestito.
In particolare, il giudice del gravame ha osservato in via preliminare che, sebbene la questione tocchi temi sensibili inerenti alle libertà personali e sindacali, specifiche limitazioni sono previste nei riguardi del cittadino-militare in ragione dei principi organizzativi che ineriscono la struttura di corpo e che perciò qualificano il rapporto di impiego in ordine, quali la gerarchia, l’obbedienza, la prontezza, la coerenza interna e la compattezza.
Così la sentenza in commento ha definito anzitutto l’ambito entro cui la condotta di un individuo può ritenersi ascrivibile alla sfera dello status di militare e alla sfera privata di libero cittadino. Viene all’uopo richiamato l’art. 5 della legge 11 luglio 1978, n. 382 applicabile ratione temporis – i cui contenuti sono riprodotti oggi dall’art. 1350 del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66) – a mente del quale le regole di disciplina militare si applicano ai dipendenti “dal momento della incorporazione a quello della cessazione dal servizio attivo” quando essi “a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l’uniforme; d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali”.
Tanto rilevato, è stato statuito che “va escluso che la sigla associativa scrimini di per sé la condotta”: quale che sia la natura dell’associazione per mezzo della quale il carabiniere abbia inviato – e pubblicato a mezzo stampa – la comunicazione de quo al Comando generale, questa circostanza “non è idonea ad attrarre alla sfera del privato cittadino il comportamento dei suoi iscritti, ammantando di culturale un rilievo mosso all’organizzazione del servizio da parte di chi quel determinato servizio è chiamato ad eseguire”. Infatti, ove così non fosse, basterebbe usare il pretesto dell’attività associativa per muovere una qualsiasi critica perpetrata a modalità gestionali inerenti il servizio sebbene priva di contenuti culturali ovvero assistenziali.
Per l’effetto, il Consiglio di Stato ha quindi statuito che, nel caso di specie, con la propria comunicazione inviata per saltum al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri e diffusa a mezzo stampa, il maresciallo dei Carabinieri, in servizio attivo al momento del compimento del fatto, ha violato l’obbligo di osservare la via gerarchica nelle relazioni di servizio imposto dall’art. 12 del d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 applicabile ratione temporis – oggi contenuto nell’art. 715 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90. Accogliendo l’appello, ha quindi confermato la legittimità del provvedimento sanzionatorio.
Nell’occasione il giudice del gravame ha, in ogni caso, chiarito ancora una volta la legittimità delle associazioni sindacali nell’ambito delle forze armate, riconosciuta anche a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1475 comma 2 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 120 del 13 giugno 2018. All’esito della evoluzione giurisprudenziale in materia, infatti, ad oggi è consentita ai militari la costituzioni di associazioni professionali di carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge.