Necessità di riedizione dell’ordinanza di demolizione
L’attività sanzionatoria che la Pubblica Amministrazione è chiamata a svolgere in virtù dei poteri attribuiti dal Testo Unico dell’Edilizia è scandita da un preciso iter procedurale, che si dipana sin dalla notifica dell’ordinanza di demolizione.
Nella sentenza n. 2596 del 8.4.2022 è stata portata all’attenzione del Consiglio di Stato la vexata quaestio che coinvolge l’ordinanza di demolizione e la domanda di condono (o di sanatoria ordinaria): quanto e come quest’ultima influisce sull’altra? E cosa accade nel caso di suo diniego?
I. La vicenda processuale
I ricorrenti in primo grado avevano realizzato, senza titolo edilizio, un fabbricato da destinare a deposito; successivamente, presentavano istanza di condono ex art. 32 del DL 269/2003 (c.d. “terzo condono”).
Alcuni mesi dopo, il Comune notificava loro un’ordinanza di demolizione, ingiungendo di ripristinare lo stato dei luoghi entro i successivi 90 giorni, pena l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
Tale provvedimento è rimasto inoppugnato ed inottemperato, tant’è che nel 2017 il Comune ha accertato, con apposito verbale, l’inottemperanza.
A questo punto, è stato notificato loro anche il provvedimento di diniego della sanatoria straordinaria (questa volta impugnato, con ricorso al TAR Napoli) e la determinazione di avvenuta acquisizione gratuita ope legis dell’immobile al patrimonio comunale (impugnato con motivi aggiunti).
Il TAR ha respinto il ricorso principale, ma ha accolto quello per motivi aggiunti.
Per quel che qui rileva, il giudice di prime cure ha ritenuta fondata l’eccezione dei ricorrenti secondo cui, dopo il diniego della domanda di condono, il Comune resistente avrebbe dovuto adottare una nuova ordinanza di demolizione, assegnando ai responsabili dell’abuso un nuovo termine per adempiere.
II. La normativa di riferimento e i due filoni giurisprudenziali contrapposti.
La decisione appellata si fonda sull’art. 44 della L. n. 47 del 1985 (c.d. primo condono) richiamata dall’art. 39 della L. n. 724 del 1994 (secondo condono) e dall’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003 (terzo condono), secondo cui:
Dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla scadenza dei termini fissati dall’articolo 35, sono sospesi i procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione, quelli penali nonché quelli connessi all’applicazione dell’articolo 15 della L. 6 agosto 1967, n. 765, attinenti al presente capo.
La sospensione di cui al comma precedente non si applica ai procedimenti cautelari avanti agli organi di giurisdizione amministrativa, previsti dall’articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
Decorso il termine del 30 settembre 1986 senza che sia stata presentata domanda di concessione o autorizzazione in sanatoria, la sospensione di cui al precedente primo comma perde efficacia.
I procedimenti sospesi possono essere ripresi a richiesta degli interessati.
Orbene, su questo dettato normativo si sono innestati due filoni giurisprudenziali tra loro contrapposti:
– secondo un primo orientamento, a seguito della presentazione della domanda di condono il procedimento repressivo edilizio subisce un arresto definitivo, con la conseguenza che il Comune, prima di adottare qualsivoglia provvedimento repressivo, dovrà prima esaminare l’istanza; in caso di conclusione negativa di questo procedimento, deve essere adottata una nuova ordinanza di demolizione, poiché la precedente ha perso ogni efficacia (TAR Napoli, n. 2048/2020; Consiglio di Stato n. 3364/2019 e n. 2623/2018);
– secondo altra corrente di pensiero, l’inefficacia dell’ordinanza di demolizione è solo temporanea, con sua conseguente “riespansione” all’esito della conclusione del procedimento di sanatoria, ovvero di maturazione del termine legalmente stabilito per la sua definizione (TAR Milano, n. 2152/2021; Consiglio di Stato, n. 3545/2021).
Il TAR partenopeo ha avallato – seguendo la nutrita giurisprudenza interna – per il primo orientamento.
III. La decisione del Consiglio di Stato e considerazioni conclusive.
Il Comune, convinto della legittimità del proprio operato, ha quindi impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma sul punto specifico alla luce (anche) dell’ondivaga giurisprudenza esistente.
Ebbene, nella decisione in commento il Consiglio di Stato – ribaltando completamente le statuizioni del giudice di prime cure – ha deciso di dar seguito al secondo orientamento, accogliendo così le tesi propugnate dall’Amministrazione.
A ben vedere, in questo caso – diversamente da altre circostanze – è stata omessa l’“indecisione” della giurisprudenza amministrativa, dando per “pacifica” la tesi per cui “la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l’inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un’automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione; nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere (da verificare nel caso di specie da parte degli organi comunali), l’efficacia dell’ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione”.
La scelta operata in questa sede dal Consiglio di Stato appare, a modesto avviso di chi scrive, quella più confacente ai generali principi di diritto, se solo si considera che, seguendo il contrario filone giurisprudenziale, si arriverebbe alla (paradossale) conseguenza che una mera istanza di parte – sia essa domanda di condono o di sanatoria “ordinaria” – possa far perdere sic et simpliciter efficacia ad un provvedimento sanzionatorio amministrativo, sfuggendo anche ad una pronuncia giurisdizionale sulla sua legittimità.
Appare quanto mai utile, stante il controverso stato dell’arte, un pronunciamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.