Dispositivi medici: è legittima la clausola del bando che prevede un periodo di prova?

periodo di provaDispositivi medici: è legittima la clausola del bando che prevede un periodo di prova?

Nei contratti di fornitura, in particolare quelli che hanno ad oggetto dispositivi medici, l’Amministrazione tende a subordinare il perfezionamento del contratto all’esito positivo di un periodo di prova.

Nell’ambito dei contratti pubblici tale meccanismo provoca non poche criticità, in particolare riguardo alla sua portata e alle conseguenze che può generare: se possa legittimare il recesso dal contratto o anche la revoca dell’aggiudicazione, e se costituisca una condizione di efficacia dell’aggiudicazione stessa o solo una condizione sospensiva del contratto.

Il tema è stato trattato anche da una recente sentenza della Corte d’Appello di Brescia.

Protagonista della vicenda è una società aggiudicataria di un appalto pubblico per la fornitura di alcuni dispositivi medici, destinate a diverse aziende sanitarie, per un valore complessivo di oltre 700.000 euro.

Il disciplinare di gara prevedeva un periodo di prova della durata di sei mesi, per consentire una valutazione più ampia e complessiva del rapporto, al termine della quale l’Amministrazione avrebbe deciso se confermare o meno la fornitura, in base all’esito del test. In caso di esito negativo del periodo di prova, l’Amministrazione si riservava il diritto di recedere dalla fornitura, comunicando la decisione all’appaltatore con un preavviso di 15 giorni e fornendo adeguata motivazione.

Durante la fase di prova, tuttavia, furono segnalate numerose problematiche nel funzionamento dei dispositivi da parte degli operatori sanitari, i quali avevano segnalato anche delle problematiche per i pazienti. Nonostante la società fornitrice avesse dichiarato la propria disponibilità a intervenire e risolvere i problemi, l’Amministrazione ritenne insoddisfacente l’esito del periodo di prova, revocando l’aggiudicazione e affidando la fornitura al secondo classificato.

In giudizio, la società aveva contestato l’operato dell’Amministrazione, sostenendo che la revoca dell’aggiudicazione fosse del tutto ingiustificata, illegittima e contraria ai principi di buona fede.

Secondo la società, i dispositivi, ampiamente diffusi sul mercato e in uso da parte di altri enti sanitari, non avevano i difetti lamentanti e non erano stati correttamente utilizzati dal personale sanitario. Inoltre, il periodo di prova era stato condotto su un numero limitato di dispositivi rispetto a quelli forniti, e quindi non poteva considerarsi rappresentativa. Infine, sottolineava che i dispositivi avevano ricevuto una valutazione positiva dalla commissione tecnica durante la gara di appalto. Secondo la società, peraltro, non poteva parlarsi di revoca dell’aggiudicazione, bensì di recesso unilaterale dal contratto da parte dell’Amministrazione.

A fronte di queste circostanze, la società fornitrice aveva avanzato anche una richiesta di risarcimento dei danni per le spese d’appalto sostenute, investimenti non ammortizzati e perdita di utile per la mancata esecuzione del contratto.

L’amministrazione costituita in giudizio aveva invece sostenuto che la revoca dell’aggiudicazione dell’appalto era legittima in quanto basata sull’esito negativo del periodo di prova, previsto dal disciplinare di gara. Durante questa fase di test, i dispositivi forniti dalla società erano stati oggetto di molteplici segnalazioni di malfunzionamento. I problemi erano stati immediatamente segnalati alla società fornitrice, che, sebbene avesse riconosciuto l’esistenza di un lotto difettoso, non era riuscita a risolvere le criticità rilevate. Pertanto, dopo una serie di comunicazioni e tentativi di risoluzione, l’esito del periodo di prova era stato ritenuto insoddisfacente, portando alla decisione di revocare l’aggiudicazione e affidare la fornitura alla seconda classificata.

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda dell’attrice, sostenendo che il periodo di prova previsto nel contratto di appalto serviva a consentire una valutazione globale della fornitura, assicurando alla stazione appaltante la possibilità di recedere nel caso in cui i dispositivi non avessero risposto adeguatamente alle esigenze pratiche. Secondo il Tribunale, il periodo di prova non implicava il sorgere di diritti e obblighi tipici della fase esecutiva del contratto, bensì introduceva una fase preliminare di verifica della funzionalità e dell’idoneità del prodotto.

Inoltre, il Tribunale aveva affermato che il diritto di recesso poteva essere esercitato durante il periodo di prova senza l’obbligo di attendere la sua conclusione, a patto che la motivazione fosse adeguata. In questo caso, il recesso era stato motivato dalle numerose segnalazioni di malfunzionamenti dei dispositivi forniti dall’attrice, confermate sia dalla documentazione che dalle testimonianze raccolte, che rendevano i dispositivi non conformi agli standard richiesti per l’uso in contesti ospedalieri.

Infine, il Tribunale aveva negato il risarcimento richiesto dall’attrice, sulla base del fatto che il recesso era stato motivato da un esito negativo del periodo di prova, e non da un inadempimento contrattuale o da difetti occulti del prodotto.

La Corte d’Appello di Brescia ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado, ritenendo legittimo il recesso esercitato dall’azienda sanitaria durante il periodo di prova.

La Corte ha evidenziato che il periodo di prova era stato stabilito per consentire una valutazione complessiva della funzionalità del prodotto rispetto alle esigenze sanitarie, e non per verificare eventuali difetti tecnici. La decisione di recesso, quindi, non richiedeva un riscontro specifico di vizi o difetti del dispositivo, ma solo la valutazione se esso fosse idoneo alle finalità richieste.

La ratio del periodo di prova, spiega il Collegio, è strettamente collegata alla necessità di tutela dell’interesse collettivo. In particolare, la Corte ha osservato che il periodo di prova è uno strumento previsto nella disciplina dei contratti pubblici per garantire che la pubblica amministrazione possa valutare l’idoneità dei beni o servizi forniti rispetto agli obiettivi e agli standard richiesti, con l’obiettivo di raggiungere risultati qualitativi elevati e di evitare un uso inefficiente delle risorse pubbliche.

Nel caso specifico, il periodo di prova di sei mesi era stato inserito per verificare se i dispositivi sanitari forniti dall’appaltatore fossero funzionali e rispondessero agli standard necessari per garantire il diritto alla salute degli utenti in un contesto pratico.

La Corte ha poi sottolineato che il periodo di prova attribuisce all’Amministrazione una maggiore discrezionalità nella valutazione dell’idoneità del prodotto, poiché essa ha l’onere di assicurare che i dispositivi forniti siano adeguati e rispondano ai requisiti di funzionalità necessari per l’uso ospedaliero. Non si tratta, quindi, di rilevare difetti specifici, che avrebbe dovuto condurre ad una risoluzione del contratto, ma di operare un giudizio ampio e discrezionale sull’idoneità complessiva del prodotto rispetto all’uso previsto.

La decisione in commento solleva interrogativi sulla legittimità dell’uso del periodo di prova nei contratti pubblici, soprattutto considerando che, nella fase di gara, l’Amministrazione ha già svolto una valutazione preliminare dei prodotti offerti dai concorrenti.

Durante la fase dell’evidenza pubblica, infatti, l’Amministrazione è tenuta a valutare in modo approfondito le proposte tecniche dei partecipanti, attraverso una commissione giudicatrice composta da esperti, assicurandosi che i prodotti siano conformi alle specifiche tecniche e ai requisiti qualitativi stabiliti nel bando. Questa valutazione preliminare non si limita ai soli documenti e certificazioni, ma spesso include un esame della campionatura per verificare concretamente le caratteristiche e la funzionalità dei dispositivi offerti.

In questa fase, dunque, l’Amministrazione ha già avuto l’opportunità di verificare direttamente l’idoneità del dispositivo alla sua destinazione d’uso. L’introduzione di un periodo di prova successivo, dunque, non dovrebbe trasformarsi in un nuovo esame dell’idoneità tecnica. Al contrario, tale fase dovrebbe essere limitata alla rilevazione di eventuali criticità operative specifiche, senza rimettere in discussione la conformità tecnica già accertata.

Il rischio, infatti, è quello di compromettere il legittimo affidamento del fornitore che, all’esito della gara, confida nella stabilità della valutazione espressa e investe risorse e tempo per adempiere agli obblighi contrattuali. Consentire all’Amministrazione di rivedere la valutazione tecnica attraverso un periodo di prova, con possibilità di recesso per ragioni già verificate, può configurarsi come una violazione del principio di tutela dell’affidamento.

Corte d’appello Brescia, Sez. II, 29.7.2024, n. 792

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