Permesso di costruire convenzionato: quando?

Con la L. 164/2014 è stato introdotto tramite l’art. 28-bis del D.P.R. 380/01- recependolo da una consolidata prassi amministrativa –  l’istituto del “Permesso di costruire convenzionato“.

La norma (che trova poi talune declinazioni anche nelle varie legislazioni regionali) dispone che “Qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato”, prevedendosi, ulteriormente, la competenza in capo al Consiglio comunale (ovvero alla Giunta, a seconda della disciplina regionale di riferimento) per l’approvazione della convenzione, la quale “specifica gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi” (co. 2).

Il comma 3 della disposizione, poi, individua taluni contenuti della convenzione (cessione di aree, realizzazione di opere di urbanizzazione, caratteristiche morfologiche degli interventi, realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale).

 

Permesso di costruire convenzionato: è necessaria o meno la sua previsione nello strumento urbanistico?

Una prima lettura dell’art. 28-bis TUEd suggerirebbe, ad avviso di chi scrive, che il ricorso all’intervento diretto convenzionato presupponga, “semplicemente”, una valutazione puntuale circa le condizioni dell’area di intervento.

Ciò parrebbe suggerito dal citato comma 1 dell’art. 28-bis TUEd il quale, infatti, individua quale requisito per il ricorso al permesso di costruire convenzionato la verifica che “le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata”, condizione al ricorrere della quale “è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato“.

La norma, insomma, sembrerebbe non ricalcare il meccanismo previsto per piani particolareggiati e Piani di Lottizzazione, ossia ipotesi nelle quali è (e deve essere) il PRG a sottoporre l’edificabilità di talune aree a strumento indiretto.

Sicché, sembrerebbe in realtà che – assai opportunamente, peraltro – il Legislatore abbia voluto introdurre nel sistema una ipotesi intermedia tra intervento diretto in deroga all’obbligo di strumento attuativo (l’ipotesi elaborata dalla giurisprudenza del “lotto intercluso”) e la regola della necessaria previa approvazione dello strumento attuativo stesso.  E ciò tramite un titolo edilizio, accompagnato da una convenzione e preceduto da una valutazione circa la sussistenza del citato requisito delle “limitate esigenze di urbanizzazione”.

In tale logica, per così dire graduata, era sembrata muoversi fino ad oggi la giurisprudenza.

Essa, in particolare, aveva affermato che il permesso di costruire convenzionato “si propone come una modalità alternativa agli strumenti urbanistici attuativi che può essere impiegata qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte, sotto il controllo del Comune, con una modalità semplificata” (Consiglio di Stato n. 8544/2021).

Ancora più di recente – e più chiaramente – TAR Campania, Napoli n. 2281/2022, dopo aver richiamato la citata decisione del Consiglio di Stato, ha precisato che “In sostanza, il permesso di costruire convenzionato – definita versione “alternativa e aggiornata” della lottizzazione convenzionata (T.A.R. Piemonte, Sent. n. 514/2020) – costituisce una modalità semplificata per l’adozione di atti di pianificazione attuativa, la cui più proficua applicazione può avvenire proprio in zone già parzialmente urbanizzate”.

Ecco che, in tale logica, così come il ricorso al titolo diretto in aree soggette a strumento attuativo (al ricorrere della fattispecie del lotto intercluso e della inutilità in concreto del ricorso alla pianificazione di secondo grado), anche il ricorso al permesso di costruire convenzionato (al ricorrere della condizione di esigenze di urbanizzazione suscettibili di esser soddisfatte  in  modalità semplificata) parrebbe non richiedere di una espressa previsione a monte da parte del PRG, trovando la sua legittimazione direttamente nella Legge.

D’altronde, a favore di una simile ricostruzione parrebbero militare sia il disposto dell’art. 28-bis D.P.R. 380/01 che, come detto,  in nessun passaggio si riferisce alla necessità di scelta “a monte” da parte del PRG, sia la circostanza che plus semper in se continet quod est minus, di talché, se è possibile ricorrere (addirittura) al titolo diretto “puro” sebbene in presenza di un astratto obbligo di previo strumento attuativo, allora non dovrebbero esservi ostacoli laddove in luogo dello strumento attuativo si ricorra ad uno strumento “diretto ma convenzionato”, dove la “regia” pubblica è comunque presente.

Ed in tal senso risulta si fosse orientata anche la prassi amministrativa, come, ad esempio, il parere della Regione Lazio del 24.1.2022 e nel parere del 15.1.2018  dove si evidenzia che vista “la portata generale dell’istituto“,  “ne è consentito l’impiego anche quando lo stesso non sia previsto dalle norme tecniche attuative dei singoli piani regolatori“.

Le recenti precisazioni del Consiglio di Stato.

Tale ricostruzione è stata, tuttavia, di recente messa in discussione da un diverso (e a nostro avviso non condivisibile) orientamento del Consiglio di Stato.

Ci si riferisce alle sentenze della Sezione IV, 30.5.2023 n, 5293  e 16.10.2023, n. 9001 nelle quali si afferma l’opposto principio secondo il quale “L’art.28-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 rimette agli strumenti urbanistici la definizione delle aree soggette a permesso di costruire convenzionato. In sostanza, si tratta di una disposizione che deve comunque essere declinata nello strumento urbanistico. Il “convenzionamento” costituisce infatti una modalità semplificata introdotta dalla legge statale al posto del piano attuativo che, nel caso di specie, per l’intervento di cui trattasi, lo strumento urbanistico non richiede”.

Tale impostazione, per le ragioni poc’anzi esposte, non convince.

Infatti, come visto, da un lato non pare che l’art. 28-bis TUEd rinvii in qualche modo ad una presupposta valutazione da parte del PRG.

D’altronde, la valutazione che l’art. 28-bis demanda al Comune circa la circostanza che “le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata” pare riferibile più ad una valutazione “del caso concreto” (ossia della singola istanza edificatoria) che non “generale” e “a monte”.

Simile approdo interpretativo del Consiglio di Stato, inoltre, necessita di essere vagliato anche alla luce delle “scelte di dettaglio” poste in essere dalla legislazione regionale.

E’ il caso, ad esempio, della L.R. Lazio n. 36/1987, il cui art. 1-ter, dispone al comma 1 che ” L’accertamento delle condizioni per l’utilizzo del permesso di costruire convenzionato di cui all’articolo 28 bis, comma 1, del d.p.r. 380/2001 è effettuato dalla Giunta comunale, anche su istanza del soggetto attuatore entro sessanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza da parte del medesimo soggetto”. 

Impostazione, quest’ultima, che pare presupporre in radice non già la sussistenza di una scelta “astratta e generale” da parte del PRG, quanto, piuttosto, conferire (in armonia con l’art. 28-bis TUEd) una potestà valutativo-discrezionale riferita al “caso concreto”.