Pregresse risoluzioni contrattuali ed esclusione dalla gara ex art. 80 co. 5, lett. c): soluzioni e dubbi del Giudice Amministrativo.
Come noto, l’art. 80, co. 5, lett. c), del Codice prevede – quale possibile causa di esclusione dalle gare – l’ipotesi di “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio” .
- Prima tesi: se la risoluzione è sub iudice alla SA è inibito escludere l’OE.
Nella prima interpretazione della norma era stato ritenuto che la pendenza di un giudizio avente ad oggetto la risoluzione contrattuale impedisse tout court alla Stazione Appaltante di escludere il concorrente.
In tal senso, ad esempio, si era espresso il Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955 secondo cui “sulla base dell’interpretazione letterale della norma (ex art. 12 delle preleggi) si richiede quindi che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che lo stesso sia stato confermato in sede giurisdizionale. E questa conferma non può che essere data da una pronuncia di rigetto nel merito della relativa impugnazione divenuta inoppugnabile, come si evince dalla locuzione (ancorché atecnica) «all’esito di un giudizio».
E’ appena il caso di segnalare che le Linee Guida n. 6 dell’ANAC (cfr. paragrafo 2.2.1.1) sembrano seguire tale linea interpretativa, considerando solo “la risoluzione anticipata non contestata in giudizio, ovvero confermata con provvedimento esecutivo all’esito di un giudizio“.
2. Seconda tesi: in presenza di contestazione giudiziale della risoluzione, l’esclusione è comunque possibile, con motivazione specifica.
L’orientamento, tuttavia, è tutt’altro che pacifico e, di recente, si registrano sia posizioni opposte a quella ora menzionata sia dubbi di conformità dell’art. 80, co. 5, lett. c) alla Direttiva appalti UE del 2014.
Così, secondo il C.G.A.R.S. 30.4.2018, n. 252 “la norma in questione, (…), consente l’esclusione, invero, al di là delle tipizzazioni che pur ne costituiscono il nucleo (…), anche in tutti i casi in cui “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.”, sicché “a un’impresa non basta aver contestato in giudizio la risoluzione contrattuale subìta per porsi completamente al riparo, per tutta la durata –per giunta, prevedibilmente cospicua- del processo, dal rischio di esclusioni da gare d’appalto indotte dalla relativa vicenda risolutoria“.
In tal caso, quindi, “alla Stazione appaltante non è precluso applicare ugualmente la causa di esclusione in discussione“, a condizione, però, “che essa sia appunto in grado di far constare con i necessari supporti probatori, e con motivazione adeguata, la effettività, gravità e inescusabilità degli inadempimenti dell’impresa, e perciò, correlativamente, la mera pretestuosità delle contestazioni da questa sollevate in giudizio avverso la misura risolutoria, oltre che, naturalmente, la dubbia “integrità o affidabilità” del medesimo operatore“.
Dunque, in tale prospettiva, in presenza di una risoluzione contrattuale sub-iudice, l’art. 80, co. 5, lett. c), sarebbe da interpretare nel senso che la SA potrebbe comunque escludere il concorrente, previa, però una più stringente motivazione sulla rilevanza delle vicende che hanno condotto alla risoluzione stessa.
3. Terza tesi: il dubbio di conformità dell’art. 80, co. 5, lett. c) rispetto alla Direttiva appalti.
Infine, con una ancor più recente decisione, il Consiglio di Stato, Sez. V, ord., 3.5.2018, n. 2639 (così come, in precedenza, il TAR Campania, Napoli, Sez. IV, ord., 13.12.2017, n. 5893) ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia UE.
Il “dubbio” sottoposto alla CGUE è “se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento ostano ad una normativa nazionale, come quella in esame, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabilisce che, nel caso in cui l’illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore può essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio”.
Al riguardo, il Consiglio di Stato, nell’ordinanza in parola, evidenzia come l’interpretazione più garantista per il concorrente (ossia: l’automatica irrilevanza delle pregresse risoluzioni finché sub iudice) sembrerebbe porsi in contrasto con il Considerando n. 101 della Direttiva, secondo il quale “le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi”.
Da segnalare, peraltro, come, nel valorizzare tale passaggio del Considerando, il Consiglio di Stato interpreti lo stesso in senso diametralmente opposto a quanto ritenuto, invece, nella sentenza n. 1955/2017 (“prima tesi”), dove, invece, era stato affermato – senza esitazioni o dubbi – che non giova “richiamare il considerando 101, laddove si fa riferimento alla possibilità di escludere dalla gara l’operatore economico in caso di «grave violazione dei doveri professionali», dimostrata dall’amministrazione «con qualsiasi mezzo idoneo», «prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori». Quest’ultima previsione è infatti espressamente riferita ai motivi di esclusione «obbligatori», ovvero a quelli previsti dall’art. 57 della direttiva, ai paragrafi 1 e 2, mentre nel caso di specie si verte nelle ipotesi contemplate dal paragrafo 4 della medesima disposizione. Per essa vale dunque il rinvio a «qualsiasi mezzo idoneo», che il legislatore nazionale nell’esercizio della sua discrezionalità rispetto ad un ambito del diritto dei contratti pubblici non vincolato a livello europeo può ritenere integrato solo in presenza di una decisione giurisdizionale definitiva, come avvenuto nel caso di specie con l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016″.
“Conclusioni”
Il quadro appena tracciato, che vede “costanti e imprevedibili oscillamenti” del massimo organo della Giustizia Amministrativa, rende evidente come solo la decisione della Corte di Giustizia potrà indirizzare – si spera definitivamente – l’interpretazione della disposizione in esame, a beneficio di SA ed OE.