Qual è la sorte di un immobile abusivo?

Immobile abusivoNel procedimento amministrativo-sanzionatorio tracciato dall’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia è previsto che il proprietario e/o il responsabile di un’opera abusiva deve provvedere alla sua demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi; in caso di inadempimento, l’immobile abusivo è acquisito al patrimonio del Comune ove insiste l’immobile.

In questo articolo si traccerà, seppur con brevi cenni, l’iter amministrativo successivo alla notifica dell’ordinanza di demolizione e, grazie agli spunti offerta da una recente sentenza del TAR Milano (n. 1309 del 6.5.2022), si affronteranno più analiticamente i problemi di gestione del patrimonio abusivo acquisito da un Ente comunale.

I. Il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 31 D.P.R. 380/2001

L’art. 31 TUEd stabilisce il regime sanzionatorio cui soggiacciono gli abusi edilizi più gravi, ossia gli “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”: per questi, è prevista la sanzione massima della demolizione e del ripristino del legittimo stato dei luoghi.

A tale sanzione soggiace il proprietario dell’immobile o il responsabile dell’abuso (se soggetto diverso dal primo), il quale ha a sua disposizione 90 giorni per adempiere spontaneamente.

Ma cosa accade se ciò non avviene?

Il legislatore ha, in tali evenienze, previsto che (art. 31, commi 3 e 4)

il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. L’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente.

In buona sostanza, decorsi 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione senza che il destinatario abbia adempiuto spontaneamente all’ordine di ripristino, l’opera abusiva risulta di diritto acquisita al patrimonio del Comune ove essa è stata realizzata.

Tale acquisizione ope legis¸ però, non è idonea a produrre effetti nei confronti di terze parti – ed anzi, secondo una parte della giurisprudenza, non determina neanche un vero e proprio spossessamento a danno del responsabile dell’abuso (di recente, leggasi TAR Reggio Calabria n. 379 del 6.6.2022) – ma è necessaria un’attività ulteriore da parte della P.A. affinché ciò si realizzi: essa deve verificare se il proprietario/responsabile dell’abuso abbia o meno adempiuto all’opera e, in esito ad apposito sopralluogo, dovrà adottare un provvedimento di accertamento della inottemperanza alla demolizione.

Come stabilisce il comma 4 del citato art. 31 TUEd, una volta notificato all’interessato, tale provvedimento rappresenta titolo idoneo per la concreta immissione in possesso del bene in favore del Comune e per la trascrizione dell’atto nei registri immobiliari.

Portata a termine tale procedura, dunque, l’Ente comunale diventa proprietario del bene, e dovrà decidere come gestirlo.

II. La vicenda processuale

Nel caso portato all’attenzione del TAR Lombardia si controverte della legittimità proprio del provvedimento comunale di accertamento di inottemperanza ad un’ordinanza di demolizione.

Molteplici sono state le censure sollevate dal ricorrente, tra le quali quella relativa alla presunta incompetenza del Dirigente comunale ad adottare l’atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva cui, viceversa, avrebbe dovuto provvedere il Consiglio Comunale.

Correttamente il Tribunale ha respinto il motivo di gravame, e ciò sulla scorta del (chiaro) dettato normativo dell’art. 107, comma 3, lett. g), del Testo Unico degli Enti Locali, che attribuisce ai Dirigenti il potere di adottare “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale”.

Nell’argomentare i motivi di infondatezza del ricorso, il Tribunale ha colto l’occasione per evidenziare quali siano le competenze del Consiglio Comunale nell’ambito del procedimento sanzionatorio degli abusi edilizi.

III. La competenza del Consiglio Comunale

Chiamando ancora una volta in soccorso il testo dell’art. 31 del Testo Unico Edilizia, il suo comma 5 stabilisce che

L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.

Pertanto, l’organo “di indirizzo e di controllo politico-amministrativo” (cfr. art. 42 D.Lgs. 167/2000) ha tra le sue attribuzioni quella di verificare, una volta acquisito al patrimonio comunale un bene abusivo, (i) se sussista un prevalente interesse pubblico affinché l’opera sia mantenuta in vita anziché demolita (ii) che la stessa sia compatibile con gli interessi urbanistici, ambientali e di tutela idrogeologica esistenti su un dato territorio.

Di tanto è consapevole anche il TAR Milano, il quale condivisibilmente sostiene che

La competenza del consiglio comunale può radicarsi, invece, ai sensi dell’art. 31, c. 5, del DPR 380/2001, in un momento successivo in quanto, dopo l’adozione dell’ordinanza di demolizione e dell’ulteriore provvedimento sanzionatorio di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva, come conseguenza della mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, residua l’eventualità che il Consiglio Comunale possa, con apposita delibera, escludere la demolizione dell’opera acquisita al patrimonio comunale (ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici) e si configura quale alternativa all’ulteriore ordinanza di demolizione in danno delle opere abusive gratuitamente acquisite (cfr., ex multis, Tar Campania, Napoli, IV, 23/05/2019 n. 2758) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.10.2019 n. 2088)” (T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 21 ottobre 2021, n. 2316; anche T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 16 giugno 2021, n. 4108; III, 7 gennaio 2020, n. 53).

Ma di che grado di discrezionalità gode il Consiglio Comunale nell’ambito di tale scelta?

IV. La sorte dell’immobile abusivo

Già dalla lettura dell’invocato comma 5 emergono dei limiti all’esercizio del potere di scelta, se solo si considera che l’interesse a mantenere in piedi l’opera abusiva deve essere “pubblico e prevalente”.

È necessario, dunque, comprendere quale sia il termine di paragone da utilizzare, e per farlo appare dirimente il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 140 del 5.7.2018.

Essa evidenzia innanzitutto che

Il fatto che, con l’acquisizione al patrimonio comunale, il bene diventi pubblico non comporta, tuttavia, che l’opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio. Essa è destinata a essere «demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso» (comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

La regola della demolizione ammette una deroga. Lo stesso comma 5, in via eccezionale, prevede la possibilità di conservare l’opera quando, «con deliberazione consiliare […] si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera [stessa] non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico»

Pertanto, è il Legislatore nazionale ad avere scientemente stabilito come regola principale la necessità di demolire l’opera abusiva e ripristinare il legittimo status quo ante, e come residuale ed eccezionale ipotesi quella di conservare l’opera edilizia.

In quanto tale, “la demolizione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio del Comune, con le sole deroghe previste dal comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un principio fondamentale della legislazione statale che vincola la legislazione regionale di dettaglio in materia di «misure alternative alle demolizioni»”.

Da qui la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, L.R: Campania n. 19/2017, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui consentiva agli atti regolamentari e di indirizzo dei Comuni di regolamentare “la locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare”.

V. Conclusioni

Il quadro innanzi dettagliato, così come emerge dalla chiara decisione della Corte Costituzionale ed è stato di recente ribadito dalla giurisprudenza dei TTAARR (leggasi, oltre a TAR Milano n. 1309/2022, anche TAR Napoli n. 474/2022), traccia un sistema amministrativo-sanzionatorio del tutto disinteressato ai cosiddetti “abusi di necessità”, realizzati cioè col solo scopo di offrire un tetto alla propria famiglia: essi non possono in alcun modo legittimare la scelta di un Comune di mantenere in vita un immobile abusivo, poiché tale situazione non è sussumibile nel caso (eccezionale e derogatorio) stabilito dall’art. 31, comma 5, D.P.R. 380/2001.

Quindi un immobile abusivo dovrà essere necessariamente demolito, salvo – stando alle interpretazioni restrittive e rigorose offerte dalla giurisprudenza citata – rarissimi casi.

Il tema dell’equilibrata lettura e comparazione dei principi costituzionali in tema di proprietà privata e tutela del territorio e dell’ambiente (delle recenti modifiche agli artt. 9 e 41 Cost. abbiamo parlato qui) sarà certamente oggetto di approfondimenti da parte del Legislatore in un futuro molto prossimo, nell’ambito della redazione del nuovo “Codice delle Costruzioni”, i cui lavori della Commissione istituita presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sono ormai in dirittura d’arrivo.