Recesso del committente: ammissibile il risarcimento per inadempimento dell’appaltatore
Il recesso della Committente non preclude la possibilità di richiedere il risarcimento per danni subiti a causa di inadempienze da parte dell’appaltatore verificatesi in corso d’opera.
È questo il recente arresto della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 421/2024, ha affrontato una delle questioni più rilevanti nel contesto dei contratti d’appalto, in particolare quelli privati, in relazione al diritto unilaterale di recesso del committente e alle conseguenze che ne derivano in termini di restituzione degli acconti versati e al risarcimento dei danni.
IL CASO
Il proprietario di un immobile che aveva commissionato importanti lavori di ristrutturazione. A seguito di una serie di inadempienze da parte dell’appaltatore, il committente aveva deciso di recedere unilateralmente dal contratto.
L’appaltare aveva agito in giudizio chiedendo, oltre all‘accertamento dell’avvenuto scioglimento del contratto a causa del recesso unilaterale della committente, anche la condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di acconti dovuti dalla Committente e non ancora pagati.
Costituita in giudizio la Committente, la stessa aveva richiesto in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore e del direttore dei lavori, che non aveva correttamente vigilato sull’esecuzione dei lavori, e la conseguente condanna al risarcimento dei danni subiti.
LA DECISIONE DELLA CORTE
Sul rapporto tra recesso e risoluzione e sul risarcimento dei danni
La questione centrale affrontata dalla Corte riguarda la possibilità per il committente di recuperare gli acconti già versati e ottenere un risarcimento per i danni subiti a causa delle inadempienze dell’appaltatore.
La Corte di Cassazione ha ribadito che una volta accertato lo scioglimento del contratto per effetto dell’esercizio del diritto di recesso unilaterale della committente ex art. 1671 c.c., le domande di restituzione e di risarcimento danni trovano una loro autonoma legittimazione, dovendo essere esaminate nel merito.
La Corte analizza così il rapporto tra recesso e risoluzione per inadempimento: secondo i giudici, una volta che il committente esercita il diritto di recesso da un contratto di appalto, non può successivamente richiedere la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento.
Il recesso, infatti, determina la fine del contratto con effetti dal momento della sua dichiarazione (ex nunc), senza necessità di valutare la gravità dell’inadempimento.
Il Committente può recedere dal contratto unilateralmente in qualsiasi momento dopo la sua conclusione e prima del completamento dell’opera, indipendentemente dalla presenza di inadempimenti. Questa decisione può essere basata anche su una perdita di fiducia nell’appaltatore e prescinde dalla necessità di individuare l’entità e la gravità dell’inadempimento verificatosi.
Il Committente che recede dal contratto, dunque, non può richiedere la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore, perché il rapporto contrattuale è già venuto meno con il recesso.
Il Committente che chiede la risoluzione non può successivamente richiedere il recesso: attraverso la risoluzione ha “innescato un procedimento di valutazione comparativa dei comportamenti delle parti non più arrestabile ad libitum mediante il recesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7649 del 05/09/1994).”.
La risoluzione per inadempimento è infatti un’azione che mira a far retroagire la cessazione degli effetti al momento della stipulazione del contratto, sulla base di un inadempimento qualificato come illecito negoziale. A differenza del recesso, la risoluzione per inadempimento richiede una valutazione giudiziale degli inadempimenti e dei loro effetti sul contratto.
Nonostante le differenze, recesso e risoluzione per inadempimento possono essere richiesti in modo subordinato nello stesso giudizio. Se la domanda di risoluzione viene respinta, il giudice può valutare la legittimità del recesso.
Aggiungono poi i giudici che nonostante l’esercizio del diritto di recesso precluda la possibilità di chiedere successivamente la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento, il committente mantiene il diritto di ottenere la restituzione degli acconti versati e di essere risarcito per i danni subiti a causa dell’inadempimento dell’appaltatore.
In altre parole, la richiesta di restituzione degli acconti e la domanda di risarcimento dei danni non sono incompatibili con il recesso dal contratto. Anche dopo aver esercitato il recesso, il committente può ancora richiedere il risarcimento per gli inadempimenti che si erano verificati prima del recesso, includendo eventuali difetti o vizi dell’opera realizzata, che possono essere calcolati anche ai fini della quantificazione dell’indennizzo dovuto dall’appaltatore in seguito al recesso.
Precisa ancora il Collegio che la richiesta di restituzione e di risarcimento dei danni da parte del committente, a seguito di un recesso dal contratto di appalto, non rientrano nella disciplina speciale relativa alla garanzia per i vizi dell’opera e ai relativi termini decadenziali e prescrizionali previsti dall’art. 1667 c.c.: si qualora l’appaltatore non abbia completato l’opera o vi siano stati difetti, ritardi o rifiuti di consegna applica l’art. 1453 c.c. sull’inadempimento contrattuale.
In caso di inadempienze durante l’esecuzione dell’opera (opera incompleta, difformità, vizi), dunque, il committente può avvalersi della normativa ordinaria sull’inadempimento anziché quella specifica sui vizi dell’opera. Tale assunto trova terreno applicativo anche quando il rapporto si interrompe per recesso del committente: quest’ultimo può così avanzare la domanda di risarcimento per i danni subiti a causa di inadempienze pregresse, senza essere vincolato alla disciplina speciale sui vizi.
In sintesi, il giudice deve valutare le richieste di restituzione e risarcimento danni indipendentemente dalla garanzia per i vizi, seguendo la normativa generale sull’inadempimento contrattuale, anche dopo il recesso del committente.
Sulla responsabilità del direttore dei lavori
La pronuncia si sofferma anche sul tema della responsabilità e del ruolo del direttore dei lavori.
A parere della Committente, la sentenza impugnata non aveva adeguatamente valutato la responsabilità del direttore dei lavori, nonostante l’obbligo di vigilanza sull’esecuzione delle opere, e aveva mancato di valutare la sua corresponsabilità professionale nell’inadempimento della società appaltatrice.
Precisa preliminarmente la corte che i compiti del direttore dei lavori sono essenzialmente attinenti al controllo sull’attuazione dell’appalto, che l’appaltatore ritiene di non poter svolgere di persona, “sicché il direttore dei lavori ha il dovere, attesa la connotazione prettamente tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al regolamento contrattuale, al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica durante tutto il corso delle opere medesime, e non già solo nel periodo successivo all’ultimazione dei lavori (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14456 del 24/05/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 7336 del 14/03/2019; Sez. 2, Sentenza n. 18285 del 19/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 8700 del 03/05/2016; Sez. 3, Sentenza n. 20557 del 30/09/2014)”.
Per conto del committente, il direttore dei lavori presta un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultati. Deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire.
Spiega a tal proposito la Corte che tra le obbligazioni del direttore dei lavori rientra l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. Incorre in responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente: non si tratta di una presenza continua e giornaliera sul cantiere ma di un controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e, dunque, l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con l’impresa, e sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati per ogni fase.
Nel contratto di appalto, dunque, sussiste una responsabilità di tipo solidale fra l’appaltatore e il direttore dei lavori, ove i rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente “trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale” (Ex multis: Cass. Civ., Sez. II, 3 settembre 2020, n. 18289).
E ciò, conclude la Corte, “indipendentemente dalla compensazione del credito dell’appaltatore, a titolo di indennità spettante quale conseguenza del recesso, con il credito vantato dall’appaltante a titolo restitutorio e risarcitorio”.
IL PRINCIPIO DI DIRITTO
La sentenza ha così accolto parzialmente il ricorso presentato dalla Committente, enunciando il seguente principio di diritto:
“In tema di appalto, qualora il committente eserciti il diritto unilaterale di recesso ex art. 1671 c.c., non è preclusa la sua facoltà di invocare la restituzione degli acconti versati e il risarcimento dei danni subiti per condotte di inadempimento verificatesi in corso d’opera e addebitabili all’appaltatore e, in tale evenienza, la contestazione di difformità e vizi, in ordine alla parte di opera eseguita, non ricade nella disciplina della garanzia per i vizi, che esige necessariamente il totale compimento dell’opera“.
“All’esito dell’accertamento della responsabilità professionale del direttore dei lavori per omessa vigilanza sull’attuazione dei lavori appaltati, questi risponde, in solido, con l’appaltatore dei danni subiti dal committente, ove i rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dall’appaltante“.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione offre dunque importanti chiarimenti sull’interpretazione dell’art. 1671 c.c., rafforzando la tutela del committente da comportamenti inadempienti nel contesto dei contratti d’appalto privati.