Sanatoria giurisprudenziale: anche la Puglia getta la spugna

Sanatoria giurisprudenziale: anche la Puglia getta la spugna

Più volte abbiamo avuto occasione di parlare dei diversi tentativi regionali di “allargare le maglie” dell’accertamento di conformità ai sensi degli artt. 36 e 37 del Testo Unico dell’Edilizia, attraverso la normazione della cd. sanatoria giurisprudenziale. Tentativi, tutti, naufragati.

Ciononostante, anche la Regione Puglia ha cercato di muoversi in questo senso. Vediamo come.

I. La “legge di stabilità regionale 2024”

Come spesso accade a livello statale, anche nelle diverse regioni d’Italia, il momento dell’approvazione della cd. “legge di bilancio” è quello in cui trovano “sfogo” le più variegate richieste politiche: norme che, nel contemperamento delle ben più importanti esigenze quotidiane, non troverebbero mai alcun appoggio, in quella sede vengono spesso approvate a mo’ di “contentino”.

Il che è proprio quanto accaduto anche in Puglia, allorquando il Consiglio Regionale, in seno alla Legge Regionale n. 37 del 29 dicembre 2023, ha approvato (tra gli altri) l’art. 63, emblematicamente rubricato “accertamento di conformità”. Secondo tale norma, in particolare

In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, oppur in assenza di Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, dello stesso, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

Fatti salvi gli effetti civili e penali dell’illecito, il permesso e la SCIA in sanatoria possono essere altresì ottenuti, ai soli fini amministrativi, qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda.

Il permesso e la SCIA in sanatoria possono prevedere la preventiva attuazione degli interventi edilizi, anche strutturali, necessari per la regolarizzazione dell’immobile, entro centottanta giorni dalla presentazione della istanza.

II. La sanatoria giurisprudenziale in salsa pugliese

Il Governo centrale ha immediatamente messo sotto la lente d’ingrandimento la norma, onde vagliarne la legittimità costituzionale, ed ha evidenziato due “punti critici”: da un lato, la possibilità di una “sanatoria condizionata”, subordinata cioè alla realizzazione di “ulteriori opere”; dall’altro, la positivizzazione della cd. “sanatoria giurisprudenziale”.

Tale istituto è stato più volte dichiarato incostituzionale, perché deroga al principio della “doppia conformità”: salvo i casi straordinari del cd. “condono” (ai sensi delle Leggi n. 47/1985, n. 724/1994 e n. 326/2003), un abuso può essere sanato solo se l’intervento edilizio è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Per contro, la giurisprudenza (soprattutto penale) ha talvolta consentito delle sanatorie (ma sarebbe meglio parlare di “tolleranze”) di interventi edilizi conformi alla sola disciplina edilizia vigente; e nel suo solco hanno provato a muoversi diverse regioni, infrangendosi però contro lo scoglio della Corte Costituzionale.

Nello specifico, è stato chiarito che “spetta al legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni” (Corte Costituzionale n. 232 del 8.11.2017), con la conseguenza che il principio della cd. doppia conformità, proprio perché proveniente dal legislatore statale, non può essere in alcun modo derogato dalle regioni.

III. La minaccia di ricorso del Governo ed il “passo indietro” regionale

Proprio perché il citato art. 63 si pone in chiara violazione delle superiori norme nazionali (artt. 36 e 37 DPR 380/2001), il Governo ha immediatamente minacciato la Regione Puglia di impugnare tale norma dinanzi alla Corte Costituzionale (facoltà riconosciuta dall’art. 127 della Costituzione).

Da qui la decisione dell’organo legislativo regionale di fare un passo indietro.

Sfruttando, dunque, la prima occasione utile (ossia un progetto di legge recante modifiche alla LR 26/2020) è stato deciso di abrogare l’intero articolo 63. Nello specifico, all’adunanza del 12 marzo 2024, è stato approvato l’emendamento n. 5 nella cui relazione, brevemente ma in maniera oltremodo esplicita, si legge che “Il presente emendamento è finalizzato ad adempiere all’impegno assunto col Governo nazionale per assicurare l’adeguamento delle disposizioni regionali in oggetto alle vigenti norme di legge nazionale ed evitare un contenzioso innanzi alla Corte Costituzionale”.

IV. Conclusioni

In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Puglia dell’intero corpus normativo, e quindi della definitiva abrogazione dell’art. 63, già è possibile leggere dichiarazioni di alcuni esponenti politici che chiedono a gran voce una re-introduzione della norma: allo stato, però, ogni tentativo in tal senso è destinato a naufragare.

Non resta che sperare in un intervento a monte del legislatore nazionale, che superi definitivamente il concetto di “doppia conformità”; nell’attesa, è meglio “gettare la spugna”.