Responsabilità erariale del medico in regime di esclusività: il caso delle visite private
Responsabilità erariale del medico in regime di esclusività: il caso delle visite private
La sezione giurisdizionale d’Appello della Corte dei Conti siciliana ha affermato due importantissimi principi in materia di responsabilità erariale del medico.
Sussiste la responsabilità erariale del medico che, in regime di esclusività, esercita occultamente l’attività di libero professionista all’interno dell’Azienda ospedaliera, rendendo automaticamente sine titulo l’erogazione degli incentivi connessi al rapporto di lavoro.
A parere del Collegio, la stessa responsabilità si verifica anche quando il dirigente medico, autorizzato allo svolgimento di prestazioni intramoenia lo fa in violazione del principio di prevalenza della attività ordinaria su quella svolta in regime di A.L.P.I. (attività libero-professionale intramuraria) ed è quindi tenuto alla restituzione della dell’importo delle prestazioni svolte, in favore dell’Azienda sanitaria a cui appartiene.
La condotta contestata al medico
Dalle indagini svolte, risultava che il medico fosse solito svolgere attività di libero professionista, non solo durante l’orario di lavoro ma anche sfruttando le strutture dell’Azienda ospedaliera, di cui risultava essere dipendente in regime di esclusività.
Risultava, inoltre, che il medico organizzava personalmente la propria attività professionale, indicando ai pazienti di recarsi presso l’ospedale senza passare dalle casse preposte alla riscossione del corrispettivo delle prestazioni, affinché il pagamento fosse versato direttamente in contanti nelle sue mani. Tali circostanze sono state confermate dalle dichiarazioni rese dai pazienti visitati e dai tabulati telefonici delle utenze intestate al medico acquisiti nel corso dell’attività investigativa.
La posizione della Corte d’Appello
Nel caso di specie la Corte dei Conti ha rilevato che le condotte illecite del medico fossero sufficientemente provate insieme al nesso di causalità e ai danni contestati, ravvisando la sussistenza di una responsabilità a titolo di dolo.
La condotta tenuta dal medico, infatti, si poneva in palese contrasto con l’art. 15 – quinquies del d. lgs. 502/1992, che richiede “la totale disponibilità” del medico dirigente nell’esecuzione del suo incarico; al contrario, il medico aveva svolto la sua attività “in palese, consapevole e intenzionale spregio degli obblighi di servizio”.
A giudizio della Corte, la debole difesa del medico, incardinata sull’affermazione che quelle verificatesi erano soltanto sviste e negligenze scusabili, non è bastata a superare quanto già sostenuto e provato ampiamente in primo grado. Si sottolineava, a tal proposito, che gli adempimenti che avrebbe dovuto effettuare il medico erano “oltremodo chiari, risultando da un inequivocabile dettato normativo” che non presentava particolari difficoltà nella sua esecuzione.
Già nel giudizio di primo grado, infatti, secondo la Procura contabile, il professionista si era “volontariamente e reiteratamente sottratto agli obblighi di comunicazione nei confronti della propria azienda ospedaliera”, di fatto prendendo appuntamenti con i pazienti e indicando loro di pagare la prestazione in contanti e direttamente nelle sue mani.
Confermando la pronuncia del giudice di primo grado, la Corte dei Conti d’appello ha confermato la sussistenza di una responsabilità erariale, essendo riconoscibili tutti gli elementi strutturali utili a configurare il particolare tipo di responsabilità. Ed infatti è distinguibile il vincolo funzionale tra il soggetto che ha cagionato il danno e la PA, l’inosservanza degli obblighi di servizio e come provato dalla Procura ci sono anche l’imputabilità a titolo di dolo, il pregiudizio economicamente valutabile nei confronti della PA e chiaramente il nesso di causalità tra il fatto e il danno causato all’erario.
Corte dei Conti, Sez. Appello Sicilia, n. 22_A_2024