Le riserve su maggiori oneri per aumento costi e la revisione dei prezzi: la Cassazione fa il punto.
Una recente ordinanza della Cassazione offre spunti interessanti in materia di richiesta di maggiori oneri per aumento costi materiali da costruzione, revisione dei prezzi, condizione di procedibilità della risoluzione in via amministrativa e rapporto tra risoluzione del contratto per inadempimento e istituto delle riserve.
In estrema sintesi, questi i fatti che hanno condotto al pronunciamento della Suprema Corte. In un appalto avente ad oggetto il restauro di un immobile di proprietà della committenza, accadeva che l’amministrazione disponeva la sospensione dei lavori già il medesimo giorno della consegna degli stessi –in quanto non era in possesso della concessione edilizia richiesta, l’edificio da restaurare era infatti occupato da materiale da sgomberare.
I lavori seguivano un andamento anomalo – a fronte del quale l’appaltatore iscriveva riserve per un ammontare pari a 600 milioni di lire (cifra pari alla metà del valore complessivo dell’appalto), riserve su cui il direttore dei lavori rimandava ogni decisione al momento del collaudo.
All’ennesima sospensione l’appaltatore rifiutava di riprendere i lavori se la committenza non avesse proceduto alla revisione dei prezzi per le opere ancora da realizzare (ciò in ragione del mutato quadro economico, diverso rispetto a quello esistente al momento della stipula del contratto). In tale circostanza, l’amministrazione si determinava a rivedere i prezzi solo per alcune lavorazioni (dichiarando che per l’esecuzione delle lavorazioni non toccate dalla revisione predetta avrebbe provveduto con distinti contratti).
Sicché, l’esecutore ribadiva la propria intenzione di non riprendere i lavori in assenza di una complessiva revisione dei prezzi (in assenza della quale avrebbe domandato la risoluzione del contratto): in tale circostanza, l’amministrazione disponeva, con proprio ordine di servizio, che venissero ripresi i lavori.
Nonostante la situazione apparisse irrisolvibile, le parti si accordavano per una revisione di tutti i prezzi delle opere ancora da eseguire: l’appaltatore evidenziava, però, l’impossibilità di riprendere i lavori alla data stabilita dall’amministrazione – essendo necessarie una rimodulazione del cantiere e l’approvazione dell’accordo da parte del preposto ente.
Nel quadro così delineato, a fronte del rifiuto dell’impresa a riprendere i lavori, la committenza deliberava la risoluzione del contratto in danno dell’appaltatore e incamerava la relativa cauzione. Avverso tale determinazione e per ottenere le maggiori somme che riteneva gli spettassero in ragione delle riserve iscritte, l’appaltatore agiva in giudizio.
La condizione di procedibilità della risoluzione in via amministrativa.
In Cassazione, la committente ha evidenziato che la domanda avanzata dall’appaltatore (di risoluzione del contratto per inadempimento della committente e di riconoscimento delle domande di cui alle riserve) era improcedibile poiché l’impresa non aveva attivato la procedura di risoluzione amministrativa di cui all’art. 23 del R.D. 350/1895.
Il contratto di appalto di cui si discute era stato sottoscritto nel novembre 1994 e tale dato rileva ai fini della individuazione della legge applicabile.
L’art. 42 del d.P.R. 1063/1962 stabiliva che al sorgere di contestazioni tra DL e appaltatore si dovesse procedere alla risoluzione in via amministrativa e che le domande e reclami dell’impresa dovevano essere iscritti nei documenti contabili nei termini e nelle forme delle riserve.
A norma dell’art. 109, R.D. 350/1895, l’Amministrazione doveva provvedere su tali domande (riserve) contestualmente all’approvazione del collaudo, cosicché, di regola (art. 47, d.P.R. 1063/1962), solo dopo detta approvazione poteva essere proposta l’azione giudiziaria (o l’arbitrato), costituendo detta approvazione e la correlata soluzione in via amministrativa delle contestazioni insorte con l’apposizione delle riserve, una condizione di procedibilità.
In sostanza, condizioni di proponibilità dell’azione, dinanzi agli arbitri o al giudice, erano la previa risoluzione in via amministrativa delle contestazioni tra DL e appaltatore e la previa approvazione del collaudo.
Tale duplice condizione è stata però temperata dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Infatti la giurisprudenza di legittimità ha cercato di temperare l’urgente esigenza di pronta definizione della controversie con i tempi di attesa del collaudo, ritenendo che le deroghe al principio della necessità del preventivo collaudo, non dovessero considerarsi tassative e che la causa di temporanea improcedibilità della domanda non è operativa in presenza di qualunque fatto o circostanza che renda inutile il collaudo o, a più forte ragione, quando il collaudo non possa essere eseguito, come nell’ipotesi in cui entrambe le parti avessero manifestato la volontà di non proseguire il rapporto attraverso contrapposte domande di risoluzione per colpa dell’altra parte, incompatibile con l’esigenza del collaudo, che presuppone l’ultimazione dell’opera (Cass. 4228/1983; Cass. 4726/1995; Cass. 8532/2000) ovvero in cui la P.A. avesse manifestato una volontà di interrompere o risolvere il rapporto nell’ambito del quale le prestazioni sono state o devono essere effettuate (Cass. 659/2000).
In altri termini, se viene meno la possibilità di definire immediatamente la controversia in via amministrativa, deve essere riconosciuta la possibilità di agire in giudizio. Ciò a maggior ragione se si discuta di risoluzione contrattuale per inadempimento.
Di conseguenza la Corte ritiene questo motivo infondato.
Va naturalmente rilevato che solo nel 1995 con le modifiche apportate alla legge Merloni si è ribaltata la regola generale di rinviare al collaudo la decisione in via amministrativa sulle controversie ed è stata affermata quale condizione di procedibilità la necessità di espletare una fase amministrativa o in mancanza al decorso dei termini previsti.
Art. 32, l. 1094/1994 vigente al 6.3.1994 “Qualora insorgano controversie relative ai lavori pubblici le pari ne danno comunicazione al responsabile del procedimento che propone una conciliazione per l’immediata soluzione della controversia medesima. 2. Qualora le parti non raggiungano un accordo entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, la soluzione è attribuita al giudice competente.”
Con riguardo poi alla specifica questione della tempestiva iscrizione delle riserve e della necessità di un preventivo esperimento delle determinazioni amministrative sulle riserve la Cassazione ha da sempre ritenuto che l’onere di iscrivere tempestiva riserva nel registro di contabilità, previsto dal R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 54, si riferisce in via generale ad ogni pretesa dell’appaltatore insorta nel corso dell’esecuzione dell’opera appaltata, restando escluse quelle pretese attinenti all’esistenza stessa del contratto, cosicché, ogni qualvolta si faccia questione d’invalidità del contratto o dei modi della sua estinzione, quale è appunto la risoluzione per inadempimento, la relativa domanda, arbitrale o giudiziaria, non è soggetta alla decadenza prevista per l’inosservanza dell’onere della riserva.
Nella fattispecie, la Corte d’appello aveva correttamente rilevato, ai fini della ritenuta procedibilità della domanda, che la committente aveva risolto il contratto di appalto, dovendo escludersi una volontà di prosecuzione del rapporto, e che le pretese dell’appaltatore, oggetto di riserve iscritte, esulavano dall’ambito tipico dell’art.42 del Capitolato generale (attinente alle sole contestazioni tra appaltatrice e direttore dei lavori insorte nel corso dell’esecuzione dei lavori), e potevano ben essere definite in sede giudiziale, ben prima dell’approvazione del collaudo e quindi anteriormente alla decisione in via amministrativa sulle riserve iscritte che comunque attengono a un rapporto contrattuale ancora valido e in essere.
L’eccezione di decadenza dalle riserve.
La committente aveva eccepito la decadenza per tardività delle riserve.
La Cassazione, ritenendo il motivo infondato, fa presente che la questione neppure deve porsi poiché come già detto la riserva presuppone un contratto valido ed efficace mentre nel caso di specie discutendosi di risoluzione del contratto le pretese dell’appaltatore (pure iscritte nelle riserve) non vanno valutate in relazione alla disciplina delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c..
La revisione dei prezzi e la richiesta di maggiori oneri per aumento costi.
Come anticipato, l’appaltatore ha chiesto, e ottenuto, il riconoscimento di tutti i maggiori oneri sostenuti per l’aumento dei prezzi.
La committente evidenzia in Cassazione che la revisione dei prezzi è stata abrogata dalla 1. 359/1993 e dalla l. 109/1994, che il prezzo pattuito in contratto era fisso ed inderogabile e che erroneamente la revisione è stata applicata all’intero importo delle opere eseguite sino al momento dello scioglimento unilaterale del rapporto da parte dalla committente, laddove non erano soggetto ad aggiornamento o revisione dei prezzi i lavori eseguiti entro il termine di ultimazione pattuito (540 gg) e nell’anno successivo.
Ad avviso della Cassazione anche tale motivo è da rigettarsi poiché la richiesta di maggiori oneri per aumento costi è la conseguenza dei ritardi imputabili alla committente e pertanto indipendente dal meccanismo di revisione dei prezzi; in sostanza, stante l’esplicita qualificazione della domanda come risarcitoria si deve escludere che l’appaltatrice abbia agito per la revisione dei prezzi.
A questo proposito, si richiama la pronuncia della Cass. SU, n. 5951/2008 secondo cui “in materia di appalto di opere pubbliche, la revisione legale dei prezzi presuppone la mancanza di colpa da parte dell’Amministrazione, mentre se vi è colpa di quest’ultima e, quindi, risultano ad essa addebitabili fatti per effetto dei quali la ritardata esecuzione dei lavori sia venuta a coincidere con un periodo di prezzi crescenti, gli aumenti subiti dall’appaltatore per fatto della committente restano al di fuori della disciplina della revisione anzidetta e dell’applicazione dello speciale procedimento predisposto per i computi revisionali, onde l’appaltatore stesso ha diritto di venire pienamente reintegrato di tutti i maggiori oneri sopportati (e che non avrebbe sopportato mediante un’esecuzione tempestiva), qualunque possa essere stata l’entità dell’aumento, senza alcuna detrazione di alea e senza alcuna pregiudiziale circa l’entità delle ripercussioni di tali maggiori oneri sul complessivo costo dell’opera”.