Risoluzione contratto di appalto pubblico per grave inadempimento: non opera il CCT

Risoluzione contratto di appalto pubblico per grave inadempimento: non opera il CCT Con una recente sentenza, il Consiglio di Stato si esprime sul rapporto tra risoluzione del contratto di appalto pubblico per grave inadempimento dell’impresa (“risoluzione in danno”) e CCT (collegio consultivo obbligatorio).

Un’impresa, stipulato il contratto, chiede l’anticipazione del prezzo che tuttavia viene negata.

I lavori non procedono e l’Amministrazione adotta la determina di risoluzione per grave inadempimento nei suoi confronti.

Anziché citare in giudizio (ordinario) l’Amministrazione sulla risoluzione in danno disposta, l’impresa procede impugnando la determina di risoluzione del contratto di appalto pubblico per grave inadempimento innanzi al TAR sostenendo che la stessa era da annullarsi in quanto la PA avrebbe dovuto costituire il CCT (mancava, a suo avviso, l’attivazione di un segmento procedimentale che incombeva sulla PA).

Il TAR dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, reputando che le questioni relative alla risoluzione del contratto rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che la disposizione dell’art. 5, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, richiamata dalla società “attiene a casi diversi da quelli in questione, nel quale si discute di grave inadempimento dell’appaltatore” e che “in ogni caso le ragioni e le modalità tramite le quali l’Amministrazione – in applicazione del menzionato art. 5, comma 4 – può pervenire alla risoluzione non modificano la natura giuridica della determinazione assunta, che costituisce esercizio di un diritto soggettivo di genesi contrattuale da parte della stessa Amministrazione e non di potere autoritativo, in quanto assunta nella fase esecutiva del rapporto contrattuale nel quale i soggetti si pongono tra loro in posizione assolutamente paritaria”.

Anche in appello, il ricorso non sortisce l’effetto sperato dall’impresa.

Il Consiglio di Stato infatti ha precisato che:

1. i criteri di riparto della giurisdizione sono quelli richiamati nella sentenza gravata, atteso che, dopo l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto, la natura del rapporto è paritetica e la relativa esecuzione è disciplinata dalle regole contrattuali contenute nella convenzione, con l’attribuzione al giudice ordinario;

2. il CCT è obbligatorio nei contratti di appalto pubblico di lavori sopra soglia comunitaria mentre nel caso in esame si discute di appalto sotto soglia;

3. nell’appalto de quo l’Amministrazione, con il contratto, non ha inteso avvalersi della facoltà di nominare il collegio consultivo tecnico, per come si evince dall’art. 26 del contratto (“Per le eventuali controversie circa l’interpretazione e l’applicazione del presente contratto sarà competente il Foro di Napoli; è esclusa la competenza arbitrale.”);

4. il provvedimento di risoluzione contrattuale non vede modificata la propria natura di esercizio di diritto soggettivo di natura contrattuale e non di potere autoritativo. L’art. 5, comma 4, decreto Semplificazioni 2020 ne disciplina le modalità di esercizio nei casi ivi previsti e l’art. 6 prevede che la controversia tra le parti nella fase esecutiva sia comunque rimessa al “lodo contrattuale” del collegio consultivo tecnico, ma l’eventuale violazione di tali norme andrebbe fatta valere dinanzi al giudice ordinario.

A maggior ragione, ad avviso del Consiglio di Stato, la cognizione del giudice ordinario va affermata nel caso in esame, che, come detto nella sentenza di primo grado, è “paradigmatico di una controversia relativa alla corretta esecuzione del rapporto”.

La risoluzione, infatti, è stata disposta “per grave e perdurante inadempimento contrattuale, per grave negligenza e imperizia, per danno prodotto ai beni immobili oggetto di tutela ai sensi del d.lgs. 42/2004”.

Ribadita l’inapplicabilità dell’art. 6, comma 1, del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, agli appalti sotto soglia, quale il presente, va definitivamente escluso che la presente controversia involga il mancato esercizio da parte dell’amministrazione del potere pubblicistico di preventiva costituzione del collegio consultivo tecnico.

(Cons. St., Sez. V, 7.6.2022, n. 4650)