Rumori molesti dalla strada? La responsabilità è del Comune.

rumori molestiRumori molesti dalla strada? La responsabilità è del Comune. Con una recentissima sentenza dello scorso 23 maggio, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la responsabilità del Comune per i rumori molesti provenienti dalla strada, prodotti dagli avventori di alcuni esercizi commerciali ubicati nel quartiere oltre l’orario di chiusura.

La vicenda giunta alla Suprema Corte trae origine da una coppia di coniugi che, stanchi dei continui schiamazzi notturni, hanno convenuto in giudizio il Comune, chiedendo che venisse condannato ex art. 844 c.c., “alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilità le immissioni medesime”, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.

In primo grado, il Tribunale adito ha accolto integralmente la domanda dei coniugi ordinando all’amministrazione comunale la predisposizione di un servizio di vigilanza, dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con impiego di agenti comunali che, entro la mezz’ora successiva alla chiusura, dovevano disperdere la folla, oltre al pagamento di 20mila euro ciascuno per il danno non patrimoniale e 9mila euro per il danno patrimoniale.

Avverso la decisione del Tribunale, il Comune ha proposto appello e il giudice di secondo grado, ritenuta errata la statuizione del Tribunale, ha rigettato le domande dei coniugi.

In particolare, la Corte d’appello ha osservato che:
a) la titolarità passiva del rapporto giudizio non spettava al Comune in assenza di norme specifiche che ne imponessero l’obbligo di un puntuale intervento al riguardo.
b) in ogni caso non sussisteva la giurisdizione del Giudice Ordinario a conoscere di cause simili, poiché non era ad esso giudice consentito di disporre l’effettuazione di un pubblico servizio.

I coniugi hanno quindi proposto ricorso innanzi la Corte di Cassazione, la quale, in accoglimento dello stesso, ha chiarito che:

  • la tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale ma anche del diritto alla vita familiare convenzionalmente garantito dall’art. 8 CEDU e della stessa proprietà, che rimane diritto soggettivo pieno – sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento – cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., anzitutto nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi;
  • la P.A. è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere. Ne consegue la titolarità dal lato passivo del convenuto Comune.
  • Infine, ha precisato la Corte, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, “non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato”. Ne consegue, ha concluso la Corte, che la circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune imponendo taluni comportamenti – come l’effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalità operative – “non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati”.

Cass. Civ., Sez. III, 23.5.2023, n. 14209