Subappalto necessario nel settore dei beni culturali: per la Corte Costituzionale è ammissibile.
Le differenze operative tra subappalto necessario e avvalimento nel settore dei beni culturali sussistono, ed è legittimo il solo divieto di avvalimento sancito dall’art. 146, comma 3, del Codice. Così si è espressa di recente la Corte Costituzionale.
I contratti nel settore dei beni culturali sono da sempre oggetto di una specifica disciplina. Già il codice del 2006 ed il Regolamento d.P.R. 207/2010 avevano dettato delle norme particolari in materia di qualificazione delle imprese per l’esecuzione di lavori su beni di interesse culturale. Il regime giuridico dei contratti nel settore dei beni culturali conserva una disciplina autonoma e speciale anche nell’attuale codice, all’intero Capo III.
La ratio di un regime giuridico peculiare è da rivenire nella finalità di assicurare l’interesse pubblico alla conservazione e protezione dei beni culturali. L’art. 145 del d.lgs. 50/2016 specifica che tale disciplina peculiare si applica sia ai contratti relativi a beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, sia all’esecuzione di scavi archeologici e subacquei.
Tra gli aspetti peculiari che connotano la disciplina dei contratti nel settore dei beni culturali, l’art. 146, comma 3, del Codice, impone il divieto di avvalimento di cui all’art. 89.
Con ordinanza n. 195/2020, il TAR Molise aveva rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità degli artt. 105 e 146 del Codice dei contratti pubblici per contrasto con gli artt. 3 e 9 della Costituzione, nella parte in cui prevedono un trattamento differenziato per avvalimento e subappalto, in particolare non essendo sancito per il settore dei beni culturali anche il divieto di subappalto, nella peculiare figura del subappalto necessario.
Il caso
L’occasione trae origine da una procedura aperta per l’affidamento dei lavori di adeguamento degli impianti di videosorveglianza, antiintrusione e controllo degli accessi di taluni istituti afferenti ad un polo museale regionale. Il disciplinare di gara prevedeva come categoria scorporabile a qualificazione obbligatoria, la OG2 (relativa al restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela), pari al 22% dell’importo dell’appalto.
Nell’ambito del giudizio, la ricorrente terza classificata impugna gli atti della procedura sostenendo che non sarebbe stato possibile utilizzare il subappalto necessario nell’appalto in questione poiché era stato attivato in relazione ad una categoria SOA (la OG2) per la quale, in forza dell’art. 146, comma 3, non è ammesso l’istituto dell’avvalimento. La categoria OG2, essendo a qualificazione obbligatoria, avrebbe dovuto essere posseduta dal concorrente in proprio: il mancato possesso non era suscettibile di essere sanato mediante avvalimento, né, dunque, mediante subappalto qualificante, istituto invece adoperato dal concorrente.
Con ordinanza n. 195/2020, i giudici del TAR Molise hanno posto la questione di legittimità costituzionale avuto riguardo all’utilizzo del subappalto necessario nella peculiare categoria di contratti nel settore dei beni culturali e, più precisamente, nella parte in cui gli artt. 105 e 146 del Codice prevedono un trattamento differenziato per avvalimento e per il subappalto necessario.
Richiamando le analogie e le differenze dei due istituti, accomunati entrambi da finalità pro-concorrenziali, i giudici hanno precisato come l’avvalimento offrirebbe maggiori garanzie rispetto al subappalto: in particolare, ove questo è “confinato alla fase esecutiva dell’appalto e sottratto ai controlli amministrativi aventi sede nella procedura di gara: (i) si presta ad una possibile sostanziale elusione dei principi di aggiudicazione mediante gara e di incedibilità del contratto; (ii) costituisce un mezzo di possibile infiltrazione negli pubblici appalti della criminalità organizzata, la quale può sfruttare a suo vantaggio l’assenza di verifiche preliminari sull’identità dei subappaltatori proposti e sui requisiti di qualificazione generale e speciale di cui agli artt. 80 e 83 del d.lgs. n. 50 del 2016; (iii) conosce una prassi applicativa talora problematica, poiché la tendenza dell’appaltatore a ricavare il suo maggior lucro sulla parte del contratto affidata al subappaltatore (tendenzialmente estranea ad ingerenze della stazione appaltante) produce riflessi negativi sulla corretta esecuzione dell’appalto, sulla qualità delle prestazioni rese e sul rispetto della normativa imperativa in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro”.
Nella disciplina dei contratti nel settore dei beni culturali, una limitazione al subappalto sarebbe peraltro giustificata dal peculiare interesse pubblico a cui la disciplina di tali beni fa capo, restando consentita una simile estensione anche dalla stessa normativa europea che ammette meccanismi derogatori al libero mercato nei casi in cui si renda necessario proteggere il patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale.
La decisione della Consulta
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale per le seguenti ragioni.
In primo luogo, il Collegio ritiene che la ratio del divieto di avvalimento per i beni culturali, previsto dall’art. 146, comma 3 del Codice, risiede nell’esigenza di affidare i lavori che riguardano i beni culturali a soggetti particolarmente affidabili e muniti di qualificazione specialistiche, proprio al fine di assicurare adeguata tutela a tali beni.
Ciò in ragione del fatto che l’avvalimento determina “un effetto giuridico, che, a seconda delle risorse offerte, può essere variamente conseguito attraverso il «i) mandato […], ii) […] [l’] appalto di servizi, nonché iii) [la] garanzia atipica» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 4 novembre 2016, n. 23) o altro contratto tipico o atipico”.
L’avvalimento, infatti, permetta temporaneamente di operare un’integrazione dell’aggiudicataria con i mezzi, i beni o le competenze professionali messi a disposizione dall’ausiliario, che sono indispensabili ai fini della partecipazione alla gara: per queste ragioni, il contratto deve indicare con precisione i requisiti prestati e deve essere accompagnato da una dichiarazione dell’impresa ausiliaria, con cui essa attesta, oltre al possesso dei requisiti, anche il suo impegno, nei confronti non soltanto del concorrente, ma della stessa stazione appaltante, a fornire le risorse di cui il primo è carente.
Quanto alla fase esecutiva dell’appalto, invece, l’impresa ausiliaria non è tenuta ad eseguire le prestazioni riferite alle risorse offerte e, dunque a ad eseguire direttamente i lavori, ferma restando la facoltà dell’aggiudicatario di stipulare con l’ausiliaria anche un contratto di subappalto. L’art. 89, comma 8, del Codice dispone, infatti, che l’esecuzione spetta all’aggiudicatario, che deve integrare al proprio interno le risorse dell’ausiliario.
Pertanto, non essendo prevista alcuna garanzia che l’esecuzione dei lavori venga effettuata direttamente dall’ausiliaria, è ragionevole il divieto sancito all’art. 146, comma 3, del d.lgs. 50/2016 per il settore dei beni culturali.
Lo stesso non vale, invece per il subappalto.
Secondo il Collegio, infatti, “il subappalto, pur condividendo con l’avvalimento taluni caratteri e finalità, a partire dal favor partecipationis, si connota per una disciplina, che garantisce la tutela dei beni culturali, ove siano oggetto del contratto”. Due sono gli aspetti che li distinguono.
Il primo, attiene al fatto che il subappalto presuppone che l’impresa abbia i requisiti per partecipare alla gara. Nei contratti di lavori, infatti, opera il c.d. subappalto necessario (vigente ex art. 12, comma 2, l. 80/2014, tuttora vigente) in forza del quale l’impresa che non disponga di tutte le qualificazioni richieste per le singole lavorazioni oggetto dell’appalto, è tenuta a possedere almeno l’attestazione SOA relativa alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori oggetto del contratto. Solo nel caso delle categorie a qualificazione non obbligatoria, infatti, l’aggiudicatario può eseguire anche in proprio le relative lavorazioni, sfruttando l’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente (art. 12, comma 2, lett. a), l. 80/2014). Per le categorie a qualificazione obbligatoria, infatti, l’ordinamento impone che l’esecutore dei lavori abbia tale specifica qualificazione. Di conseguenza, il concorrente, pur se dotato dei requisiti prescritti ai fini della partecipazione alla gara – grazie all’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente -, non può eseguire in proprio le lavorazioni inerenti alle categorie a qualificazione obbligatoria, dovendo necessariamente ricorrere al subappalto. Al contrario, nel caso dell’avvalimento, il concorrente che da solo non dispone delle qualifiche per partecipare alla gara, può integrare le risorse e le competenze necessarie tramite l’avvalimento, eseguendo tuttavia in proprio le relative prestazioni.
Di conseguenza, il secondo aspetto che differenzia subappalto e avvalimento attiene al fatto che il subappalto – quale “subcontratto che si dirama dal modello dell’appalto” – ha ad oggetto un’obbligazione tipica sancita dall’art. 1655 c.c., ossia il compimento “con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio” di un’opera o di un servizio “verso un corrispettivo in denaro”. In sostanza, l’esecuzione dei lavori in proprio ad opera del subappaltatore rientra tra le obbligazioni tipiche del subappalto, cui, viceversa, risulta in toto estranea l’obbligazione a prestare unicamente requisiti.
Il subappalto, dunque, garantisce che l’esecuzione della prestazione sia effettuata in proprio e in via diretta dal subappaltatore.
Nel settore dei beni culturali, peraltro, l’art. 148, comma 4 del Codice – secondo cui “[i] soggetti esecutori dei lavori di cui al comma 1 [riferito ai beni culturali e del paesaggio] devono in ogni caso essere in possesso dei requisiti di qualificazione stabiliti dal presente capo” -, assicura a maggior ragione che il subappaltatore esecutore dei lavori disponga delle necessarie qualificazioni specialistiche, per cui è il subappaltatore a rispondere della sua esecuzione nei confronti del subappaltante, a sua volta responsabile verso il committente.
In tal senso, muove anche l’ultima novella, il c.d. decreto semplificazioni bis (d.l. 77/2021) che ha oramai previsto anche una responsabilità solidale del subappaltatore e dell’appaltatore verso il committente, “segno di una tendenza a potenziare ulteriormente le garanzie offerte con il subappalto”.
In conclusione, dunque, secondo la Corte Costituzionale, è del tutto legittimo il divieto di ricorso all’avvalimento e non del subappalto proprio perché quest’ultimo garantisce che l’operatore che esegue i lavori è dotato in proprio di una qualificazione specialistica, e questo di per sé assicura una effettiva e adeguata tutela ai beni culturali. Al contrario, infatti, chiosa il Collegio, proprio un eventuale divieto di subappalto potrebbe tradursi in una compressione del principio della concorrenza irragionevole, oltre che dell’autonomia privata, non priva di criticità, specie alla luce delle note pronunce della Corte di Giustizia.