La durata del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta: 5 mesi sono sufficienti?
Qual è la durata del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta? Può la stazione appaltante procedere all’esclusione di un partecipante ad una gara d’appalto all’esito di un subprocedimento di verifica dell’anomalia durato oltre 5 mesi?
A tale quesiti ha fornito una risposta una recente pronuncia del TAR Campania.
Nei fatti accadeva, in estrema sintesi, che, all’esito di una procedura di gara per l’aggiudicazione del servizio di logistica integrata, un operatore economico, dopo aver ottenuto il massimo punteggio per l’offerta tecnica ed economica, veniva escluso dopo che era stato espletato il procedimento di verifica di anomalia dell’offerta.
In particolare, l’esclusione veniva disposta dall’amministrazione dopo ben 5 mesi dall’avvio del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che era stato caratterizzato da numerosi chiarimenti richiesti dall’amministrazione all’operatore.
Avverso l’esclusione, l’operatore formulava istanza di annullamento in autotutela. A fronte di ciò, l’amministrazione formulava istanza di parere di precontenzioso ex art. 211, d.lgs. 50/2016, in riscontro alla quale l’ANAC invitava l’amministrazione a procedere alla verifica delle singole voci di costo indicate nell’offerta economica.
Esperito tale ulteriore istruttoria, la stazione appaltante, tuttavia, confermava il provvedimento di esclusione.
L’operatore impugnava così il provvedimento di esclusione, lamentando l’illegittimo comportamento tenuto dall’amministrazione. A parere del ricorrente, sarebbe stata ravvisabile un’irregolarità formale del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che si era indebitamente protratto per un periodo di tempo eccessivamente lungo, pari ad oltre 5 mesi.
La censura così formulata non ha trovato accoglimento.
Secondo il Collegio, il fatto che il subprocedimento di verifica dell’anomalia si sia protratto per oltre 5 mesi non è un elemento sintomatico della legittimità o meno del provvedimento conclusivo del procedimento (nel caso di specie, la determina di esclusione).
Sottolinea il TAR, infatti, che le maggiori occasioni di dialogo e confronto tra il ricorrente e la stazione appaltante sull’offerta economica rappresentano potenzialmente un vantaggio per il ricorrente la cui offerta è sottoposta a stringente scrutinio, il quale ha occasione di “provare” l’affidabilità della propria offerta.
In altri termini, è ben possibile – come accaduto nel caso di specie – che la stazione appaltante, ricevute le prime giustificazioni dal concorrente, non sia messa nelle condizioni di superare i dubbi sorti in merito all’attendibilità dell’offerta su cui sta operando la verifica dell’anomalia, motivo per cui è perfettamente legittimo che la stessa richieda ulteriori chiarimenti al partecipante soggetto alla verifica medesima.
La richiesta di plurimi e successivi chiarimenti all’operatore economico rappresenta una condotta che, nelle stesse parole dei giudici viene definita come “doverosa”, attesa la ratio e la finalità propria dell’art. 97 d.lgs. 50/2016.
Come precisato dalla giurisprudenza, richiamata anche nella motivazione dal TAR, sebbene l’ulteriore fase di confronto procedimentale a seguito della presentazione dei primi giustificativi non sia più obbligatoria, la stazione appaltante sarà comunque legittimata “alla richiesta di ulteriori chiarimenti o a una audizione quando le circostanze lo richiedano per l’incompletezza delle giustificazioni” (in questi termini, cfr. TAR Lazio Roma, Sez. I bis, 4.1.2021, n. 11).
Il Collegio ha così rigettato il ricorso, ritenendo che il motivo di impugnazione così articolato si traduceva, nel caso di specie, “in una critica indiscriminata e meramente formalistica dell’operato della stazione appaltante non sorretto da una qualsivoglia (condivisibile) concretezza”, atteso che non era stato dimostrato in che modo la lamentata irregolarità del sub-procedimento di anomalia aveva pregiudicato l’esito del procedimento.