L.R. Lazio 7/2017 sulla rigenerazione urbana: il nodo delle “finalità” viene al pettine.
Come abbiamo segnalato anche nostro recente paper la L.R. Lazio 7/2017 sulla rigenerazione presenta un nodo, quello delle “finalità”, che viene al pettine nel recentissimo parere della Regione Lazio .
I. Il quesito di Roma Capitale.
Il DPAU di Roma ha sottoposto alla Regione “la situazione per cui un intervento da realizzarsi ai sensi dell’art. 6 della legge sia idoneo a perseguire talune finalità della legge ma al contempo confligga con altre. In particolare, l’esempio recato riguarda la possibilità di trasformare edifici esistenti in ambiti produttivi, industriali o artigianali introducendo destinazioni abitative, in rilevante disomogeneità rispetto al contesto insediativo circostante”.
A fronte di tale quadro il DPAU domanda alla Regione “se in una tale situazione residui un margine in capo all’amministrazione comunale per valutare come non ammissibile l’intervento proposto”.
II. Le considerazioni e le conclusioni della Regione: il potere discrezionale dell’Amministrazione comunale.
La Regione ripercorre la disciplina della L.R. 7/2017 rammentando, anche tramite il richiamo ad altri pareri regionali, che
“gli interventi previsti dall’art. 6 della l.r. 7/2017, e anche tutti gli altri interventi della legge stessa, devono necessariamente realizzare una o più delle predette finalità, la cui valutazione discrezionale è di competenza del comune in sede di rilascio del titolo abilitativo o, in caso di presentazione della SCIA, in sede di verifica della sussistenza delle condizioni di legge“
Con specifico riferimento al caso di (ritenuto) contrasto tra la finalità dichiaratamente perseguita ed altre finalità evocate dalla Legge, la Regione sottolinea la sussistenza di un potere (altamente) discrezionale da parte dell’Amministrazione comunale: in particolare “laddove un intervento sia idoneo a realizzarne alcune ma ne vanifichi altre, valutate dall’amministrazione come di valenza superiore” la P.A. potrà ritenere non ammissibile l’intervento.
Il caso sottoposto da Roma Capitale alla Regione attiene (come può ricostruirsi dalla enunciazione della fattispecie recata nel parere) ad un intervento in Città da ristrutturare – tessuti prevalentemente per attività nel quale, in sede di ristrutturazione, veniva proposto un cambio d’uso da produttivo a residenziale (destinazione, questa, astrattamente ammessa, sia pur con limiti, dall’art. 53 NTA PRG).
La Regione, pur non entrando nel merito della valutazione, ipotizza, tuttavia, che un cambio d’uso a residenziale in una “zona D” di PRG possa essere ritenuta in contrasto con l’ordinato assetto del territorio.
III. Il nodo che viene al pettine e la lacuna legislativa.
Il parere regionale – sicuramente coerente con il dato normativo così come modificato dalla L.R. 1/2020 – rende ancor più evidente una lacuna che nei primi commenti alla Legge avemmo modo di segnalare e che l’Arch. Marco Campagna aveva avuto modo di sottolineare ancor prima evidenziando che “Il problema è stabilire chi decide quando un ampliamento raggiunge effettivamente le finalità”.
Alla luce della nuova presa di posizione regionale non può non ribadirsi come affidare, caso per caso, progetto per progetto, alla discrezionalità “pura” dell’Amministrazione comunale il vaglio non solo del perseguimento delle singole finalità ma anche il bilanciamento del perseguimento di una con il ritenuto contrasto con altre rappresenti un fattore di incertezza per gli operatori e per la stessa Amministrazione comunale assolutamente non tollerabile e potenzialmente foriero di un aumento del contenzioso dinanzi al Giudice Amministrativo.
La “colpa”, chiaramente, non è della presa di posizione della Regione né tantomeno dei “dubbi” degli Uffici comunali.
Il punto è che il “combinato disposto” tra l’elencazione e definizione generica delle finalità, l’assenza di graduazione tra le stesse la mancanza di “misuratori” quali-quantitativi circa il perseguimento degli obiettivi indicati dalla Legge, in uno all’assenza del riconoscimento di un potere regolatorio generale ed ex ante in capo all’Amministrazione finisce per produrre una situazione obiettivamente confusa, imprevedibile e che mal si concilia con la natura tendenzialmente vincolata dei controlli in merito alla conformità di un intervento edilizio da realizzarsi in modalità diretta (diverso è, invece, il caso dell’esercizio del potere pianificatorio in senso stretto, chiaramente).
Senza considerare che in caso di interventi realizzabili – e sono non pochi, stante il tenore del vigente art. 3, co. 1, lett. d), TUEd – tramite ristrutturazione edilizia, anche demoricostruttiva, in SCIA edilizia le valutazioni della P.A. potrebbero arrivare, come la prassi insegna, ben oltre i termini di “consolidamento” del “titolo”.
Urge, a nostro avviso, un intervento normativo che, anche alternativamente:
- indichi più chiaramente contenuto e “verificabilità” del perseguimento delle finalità
- imponga ai Comuni l’adozione di direttive a monte che possano guidare sia l’operatore privato sia il singolo Ufficio tecnico nella valutazione di coerenza dell’intervento rispetto alle finalità.
In assenza di ciò, a nostro avviso, la L.R. 7/2017 è destinata a produrre più contenzioso che rigenerazione urbana.