La rilevanza dei settlement nel private enforcement antitrust
La rilevanza dei settlement nel private enforcement antitrust
Le procedure di settlement nel contesto delle violazioni antitrust costituiscono un accordo transattivo tra le imprese coinvolte, al fine di chiudere il procedimento istruttorio in modo rapido, spesso con una riduzione della sanzione pecuniaria.
L’ordinamento italiano ha recepito solo di recente l’istituto del settlement con l’art. 34 della Legge 118/2022, che ha introdotto all’art. 14-quater della Legge Antitrust (L. 287/1990) la c.d. “procedura di transazione”. In base a questa disposizione, le imprese coinvolte in violazioni antitrust possono riconoscere la loro partecipazione all’illecito in cambio di una riduzione della sanzione, applicabile non solo ai cartelli (come accade a livello europeo), ma anche agli abusi di posizione dominante. L’AGCM, con Comunicato del 16 maggio 2023, ha delineato le modalità applicative di questo nuovo strumento, in linea con il modello comunitario.
Una delle questioni legate al settlement riguarda il valore probatorio dei settlement nelle azioni di private enforcement, ossia nei procedimenti civili in cui i privati cercano di ottenere il risarcimento del danno subito a causa della violazione del diritto della concorrenza.
Che tipo di rilevanza hanno i settlement ai fini del private enforcement antitrust?
La questione è stata oggetto di una recente pronuncia del Tribunale di Napoli.
Una società di trasporti, che aveva acquistato un autocarro in leasing nel 2003, ha citato in giudizio il produttore dell’autocarro, facendo riferimento a una decisione della Commissione Europea del 2016 che sanzionava alcune case produttrici per partecipazione a un cartello sui prezzi degli autocarri. La decisione, resa a seguito di una procedura di settlement che dunque includeva l’ammissione di responsabilità da parte delle imprese coinvolte.
L’attrice ha sostenuto che, in base al settlement, poteva presumersi il subito un danno economico causato del sovrapprezzo pagato per l’acquisto dell’autocarro, calcolato come la differenza tra il prezzo effettivo e il prezzo che sarebbe stato applicato in condizioni di libera concorrenza
Richiamandosi al D.lgs. 3/2017, che recepisce la Direttiva 2014/104/UE, ha argomentato che la decisione della Commissione Europea costituisce una prova privilegiata della violazione e che l’esistenza del danno cagionato da una violazione del diritto alla concorrenza, consistente in un cartello, si presume (presunzione juris tantum).
Sulla base di tali premesse, la società ha chiesto la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni in suo favore cagionati dall’intesa anticoncorrenziale con riferimento al cd. sovrapprezzo.
La convenuta ha eccepito la prescrizione dei diritti risarcitori e ha sollevato questioni di diritto europeo e costituzionale. Ha contestato la rilevanza della decisione della Commissione Europea e la sussistenza di un nesso causale tra l’accordo anticoncorrenziale e i presunti danni reclamati. Inoltre, ha sostenuto che la società attrice avrebbe potuto trasferire il sovrapprezzo ai propri clienti finali, riducendo così il danno subito (c.d. passing on defense).
La Corte, pur riconoscendo l’effetto probatorio della decisione della Commissione per dimostrare la violazione antitrust, ha ritenuto infondata la domanda risarcitoria della società attrice.
Il Tribunale, rifacendosi all’orientamento consolidato in giurisprudenza e confermato di recente dalla Cassazione (Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2024, n. 5232), riconosce che gli addebiti mossi nel contesto di un procedimento di settlement e, in particolare, quelli che siano stati espressamente ammessi dall’impresa coinvolta, possiedono valore probatorio di indizio o persino di principio di prova dell’illecito anticoncorrenziale, in conformità all’articolo 101.1 TFUE. Ciò significa che, in un contenzioso civile per il risarcimento dei danni derivanti da pratiche anticoncorrenziali, gli addebiti accettati nell’ambito del settlement possono essere considerati un indizio significativo della violazione.
L’effetto probatorio trova fondamento nel principio di leale cooperazione (art. 4.3 TUE) e nell’obiettivo di garantire un’applicazione uniforme ed efficace del diritto della concorrenza a livello dell’Unione. Pertanto, i giudici nazionali devono tenere conto della valutazione preliminare della Commissione Europea anche quando si tratta di procedimenti civili per risarcimento danni, integrando le risultanze dell’AGCM come prova privilegiata per accertare la violazione.
Tuttavia, il Tribunale chiarisce che tale valenza probatoria si limita alla verifica dell’esistenza di una violazione antitrust e non estende automaticamente il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, che deve comunque essere provato dal danneggiato. In particolare, in linea con l’art. 7 del d.lgs. 3/2017, il giudice civile può considerare il provvedimento dell’AGCM come prova della natura, della portata materiale, personale, temporale e territoriale della violazione, ma non del nesso di causalità o dell’effettivo danno subito.
La normativa italiana, recependo la Direttiva 2014/104/UE, stabilisce inoltre che, nel caso in cui il convenuto contesti che il danno è stato trasferito a terzi (cosiddetto “passing-on defense“), egli ha l’onere di dimostrare l’entità e l’esistenza di tale trasferimento, anche ricorrendo alla richiesta di esibizione di documenti all’attore o a terzi (D.lgs. n. 3/2017, art. 11). Questa disposizione mira a garantire una difesa equilibrata, permettendo al convenuto di opporre il trasferimento del sovrapprezzo al fine di ridurre l’importo del risarcimento richiesto.
Il Tribunale affronta la questione del “passing on” sollevata dalla parte convenuta, secondo cui il sovrapprezzo derivante dall’illecito anticoncorrenziale è stato trasferito dalla società attrice ai propri clienti a valle. In questo contesto, il Tribunale ha ordinato all’attrice di esibire una serie di documenti contabili e fiscali per consentire l’analisi della formazione dei prezzi dei servizi offerti e verificare l’effettiva incidenza del sovrapprezzo. Nonostante l’ordine di esibizione, l’attrice non ha prodotto la documentazione richiesta, né ha fornito una giustificazione valida per l’omissione.
Richiamando l’art. 8, comma 2, della Direttiva 104/UE e l’art. 6 del D.lgs. 3/2017, il Tribunale ha applicato il principio secondo cui, in assenza di collaborazione nella produzione documentale da parte dell’attrice, il giudice può trarre conclusioni negative, ovvero considerare provati i fatti a cui la prova si riferisce.
Nel caso specifico, il Tribunale ha ritenuto che, data la natura dell’attività dell’attrice, fosse plausibile che il sovrapprezzo fosse stato trasferito interamente ai clienti a valle. Di conseguenza, il Tribunale ha concluso che la domanda di risarcimento dell’attrice fosse infondata, poiché non era stata fornita la prova di un danno economico effettivo derivante dal sovrapprezzo, ritenendo pertanto che il risarcimento non potesse essere liquidato in misura superiore al danno effettivamente subito.
La sentenza del Tribunale di Napoli evidenzia la rilevanza dei settlement come strumenti probatori nel private enforcement antitrust, pur con i necessari limiti. Il valore indiziario del settlement consente di accertare l’esistenza di una violazione, ma non esonera il richiedente dall’onere di dimostrare l’effettivo danno subito e il nesso di causalità. Questo equilibrio permette di sfruttare l’efficacia probatoria delle decisioni antitrust, mantenendo però una rigorosa verifica sull’effettivo pregiudizio economico subito dal danneggiato.
Trib. Napoli, Sez. Imprese 26.7.2024, n. 7433
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