Il diritto dei singoli all’ambiente salubre: le prospettive di tutela (negate).
Il diritto ad un ambiente salubre rappresenta sempre più un fattore che condiziona le scelte quotidiane su più livelli; non a caso la materia ambientale si pone al centro dell’attenzione dinanzi, sia alle corti di giustizia degli Stati membri, sia alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Si è costantemente affermato che la trasformazione dell’ambiente assume un ruolo decisivo nel modello di sviluppo economico, specie nei processi di globalizzazione.
In tal contesto, il diritto dell’ambiente deve tener conto del diritto internazionale e dei profili del diritto interno poiché l’ambiente, nella sua accezione classica, da luogo a competenze trasversali.
Dinanzi al giudice amministrativo, in particolare, la tutela dell’ambiente ha ricevuto un’attenzione specifica, specie allorquando l’interesse ambientale diviene motivo per agire in giudizio avverso i pregiudizi dovuti alle attività e alle iniziative economiche, come abbiamo precedentemente illustrato in questa news sul tema molto frequente dell’abbandono dei rifiuti. (qui il link).
Qualche giorno fa, sul portale della giustizia amministrativa, è stato pubblicato un autorevole contributo dal titolo eloquente: “Il diritto a respirare aria pulita non supera l’esame dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea”.
Prescindendo dal ruolo chiave che negli ultimi anni ha assunto la Corte di giustizia nel processo di attuazione di una forma di cooperazione giudiziaria diretta a garantire l’interpretazione uniforme delle norme all’interno del territorio dell’Unione, comprese quelle attinenti al diritto dell’ambiente, il contributo pubblicato si sofferma su un tema sempre più attuale poiché relativo ad una vicenda relativa alla risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione del diritto dell’Unione.
Il contributo appare di rilievo laddove, grazie alla problematica ambientale, si affrontano in chiave ricostruttiva le tappe più significative del percorso giurisprudenziale che hanno condotto a delineare i tratti essenziali delle condizioni minime per l’ottenimento del ristoro ove si ravvisino profili di responsabilità a carico dello Stato.
La sentenza esaminata nel contributo in commento è resa dalla Corte di Giustizia (Grande Sezione) in data 22 dicembre 2022 C-61/21 ed affronta un caso di responsabilità dello stato per l’inquinamento dell’aria, all’esito del quale la Corte ha sancito il principio per il quale le direttive europee che stabiliscono norme per la qualità dell’aria ambiente non sono, in quanto tali, preordinate a conferire ai singoli diritti la cui violazione possa dare loro diritto a un risarcimento.
La direttiva in questione è la 2008/50/CE, la quale, secondo la prospettazione della parte ricorrente, era da interpretare nel senso che essa attribuisce ai singoli, in caso di violazione sufficientemente qualificata da parte di uno Stato membro, degli obblighi che derivano da tale atto, un diritto ad ottenere dal medesimo Stato il risarcimento dei danni causati alla loro salute che presentano un nesso di causalità diretto e certo con il deterioramento della qualità dell’aria.
La Corte adita, tuttavia, con condivide l’impianto interpretativo.
Come condivisibilmente osservato dall’autore del contributo, “la questione non rappresenta una novità assoluta. Essa si pone nel solco di una serie di <<liti strategiche>> davanti agli organi giurisdizionali di vari Paesi europei, nelle quali lo Stato è stato chiamato quale responsabile della tutela dell’ambiente, spesso nella prospettiva di pervenire i cambiamenti climatici. In sostanza queste pronunce hanno finito per ribadire l’obbligo dello Stato di adottare le misure necessarie a ridurre il livello di inquinamento, ancorandolo perlopiù al rispetto dei valori-limite fissati per l’emissione di sostanze nocive nelle direttive dell’Unione Europea”.
Da tale presupposto si ricava, confrontando le disposizioni normative, che lo Stato è tenuto innanzitutto a rimuovere le cause dell’accertata lesione attraverso misure generali o individuali; solo secondariamente ed eventualmente, qualora l’accertamento della violazione non sia ritenuto sufficiente, al pagamento di un ristoro equitativamente determinato.
Tale compensazione, prosegue l’autore del contributo, “svolge un ruolo integrativo e sussidiario”; il principio che si ricava dalla pronuncia è il seguente: “la disciplina europea applicabile non è preordinata a conferire diritti ai singoli in relazione ai quali possa riconoscersi un risarcimento a carico dello Stato membro, a titolo di responsabilità per i danni causati da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili”.
La sentenza ed il principio sopra richiamati consentono di svolgere alcune riflessioni relative al diritto interno.
La prima, che certamente permangono dubbi sulla reale portata del diritto all’ambiente, configurabile “d’incerta definizione“, anche in termini di posizione giuridica soggettiva.
La seconda, che per i danni causati ai singoli il ruolo chiave è svolto da ciascuno Stato membro, nei confronti dei quali i soggetti interessati possono ottenere, eventualmente dinanzi alle Autorità giudiziarie competenti, l’adozione delle misure richieste dalle direttive europee, compresa la predisposizione di piani di tutela particolari.