Annullamento in autotutela e “colpa” dell’Amministrazione
L’annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi è un istituto particolarmente rilevante per l’intero sistema del diritto amministrativo, soprattutto per gli interessi (pubblici e privati) coinvolti nel complessivo procedimento, nonché per gli effetti a prodursi.
Proprio per questo motivo il Giudice Amministrativo viene spesso e volentieri “sollecitato” a verificare la legittimità dei provvedimenti recanti l’annullamento d’ufficio: tra questi giudizi, oggi segnaliamo una recente sentenza del TAR Ancora, la n. 265 del 22 aprile 2023, in cui è affrontato il tema della “colpa” dell’Amministrazione procedente.
I. La fattispecie concreta
Il caso sottoposto all’attenzione del TAR per le Marche è un classico “caso di scuola”, in cui un Comune ha annullato in autotutela, dopo essere stata a tal uopo sollecitato dai vicini, un Permesso di Costruire e la relativa variante in corso d’opera, cui è conseguita l’adozione dell’ordinanza di demolizione delle opere divenute abusive proprio a causa dell’annullamento d’ufficio.
I privati originari richiedenti il PdC hanno impugnato entrambi i provvedimenti davanti al Giudice Amministrativo, censurandone la legittimità sotto una serie di profili sia “formali”, sia sostanziali: per quel che qui specificamente rileva, di particolare pregnanza risulta la censurata violazione dell’art. 21-nonies L. 241/1990, poiché i ricorrenti ritengono che l’annullamento d’ufficio del titolo edilizio era stato adottato oltre il termine di 12 mesi stabilito dalla norma, e dunque in violazione di uno dei suoi presupposti fondamentali.
II. La normativa violata
Come anticipato, il Legislatore ha previsto la possibilità per la Pubblica Amministrazione di adottare dei cosiddetti provvedimenti di secondo grado, offrendole il potere di “autotutelarsi” ogniqualvolta si renda conto che (i) sia mutata la situazione di fatto (e l’interesse pubblico sotteso) che aveva determinato l’adozione di un determinato provvedimento, oppure (ii) il provvedimento adottato precedentemente sia affetto da vizi di legittimità: nel primo caso si parla di revoca del provvedimento (art. 21-quinquies L. 241/1990), nel secondo di annullamento d’ufficio (art. 21-nonies).
In quest’ultimo caso, il Legislatore ha voluto porre una serie di paletti al possibile utilizzo “spregiudicato” dell’istituto, fissando una disciplina puntuale secondo cui:
Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
Dunque, affinché un provvedimento recante l’annullamento d’ufficio di un precedente atto sia legittimo, devono contemporaneamente sussistere tutti i requisiti fissati dalla norma.
L’unica deroga possibile è quella legata al “termine ragionevole” entro cui agire: ed infatti, il comma 2-bis stabilisce che
I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
III. Le violazioni contestate
Premessa questa breve ricostruzione normativa, nel caso di specie i ricorrenti hanno contestato il provvedimento di annullamento in autotutela del Permesso di Costruire rilasciato in loro favore – oltre che per numerosi aspetti sostanziali, in questa sede non rilevanti – perché il Comune era intervenuto in un momento successivo ai 12 mesi dal rilascio del titolo, e l’Amministrazione non aveva in alcun modo giustificato tale ritardo, neanche richiamando la deroga di cui al comma 2-bis del citato art. 21-nonies L. n. 241/1990.
Orbene il Tribunale, condividendo l’eccezione dei ricorrenti, ha riconosciuto che l’annullamento in autotutela era stato disposto oltre i 12 mesi senza che ricorresse alcuna “falsa rappresentazione dello stato dei luoghi” che avrebbe concesso la possibilità di ovviare al termine, altrimenti perentorio.
Nel caso di specie, secondo il Tribunale non poteva parlarsi di “falsa rappresentazione dello stato dei luoghi”, poiché il progettista aveva, in buona fede, applicato un proprio metodo ricostruttivo dello stato legittimo dei luoghi “fondato anche sull’applicazione di norme civilistiche (ed in particolare dell’art. 880 c.c.) ed ha inoltre ritenuto che una tettoia a suo tempo realizzata dai precedenti proprietari fosse inclusa nella sanatoria del 1995”.
Pertanto, prosegue il Giudice
In casi del genere, e salvo che non sia provata dal Comune la mala fede del proprietario e/o del progettista, si discute dunque di una diversa interpretazione delle norme urbanistiche ed edilizie (ad esempio, come si calcola l’altezza di un edificio costruito su un terreno in pendenza; come si dimostra la consistenza originaria di un edificio diruto; etc.), e non certo di “falsità” della rappresentazione dello stato dei luoghi.
Da qui si è tratta la seguente conclusione:
per potersi parlare nella specie di falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, sarebbe stato necessario che la falsità non fosse evincibile dal progetto presentato al Comune ai fini del rilascio del titolo. In caso contrario si deve parlare quantomeno, per usare un linguaggio penalistico, di “un concorso di colpa” del Comune, concorso di colpa che però assorbe anche la colpa del privato, visto che il titolo viene rilasciato dall’amministrazione dopo aver verificato la sussistenza di tutti i presupposti di legge.
IV. Conclusioni
Il Tribunale marchigiano, proseguendo nel solco di una nutrita giurisprudenza sviluppatasi nel corso degli anni (per citare solo alcune delle più recenti leggasi TAR Napoli, sez. II, 17.3.2023, n. 1709; TAR Latina, sez. I, 21.10.2022, n. 807; TAR Venezia, sez. I, 8.4.2022, n. 539; Consiglio di Stato, sez. V, 12.4.2021, n. 2971), ha dunque riconosciuto che la semplice “falsa rappresentazione dei fatti” non giustifica sempre e comunque l’annullamento in autotutela di un precedente atto amministrativo, essendo necessario un quid pluris, rappresentato se non dalla assoluta mala fede del privato dichiarante, quanto meno dall’assenza di colpa (“neppure a titolo di colpa concorrente”, per citare la giurisprudenza) dell’Amministrazione.
Infatti, come rilevato nella sentenza in commento, “era agevole per il Comune avvedersi dell’errata interpretazione in cui era incorso il progettista di fiducia dei ricorrenti”: insomma, è stata riconosciuta una “colpa” dell’Amministrazione, o meglio dei tecnici comunali cui le pratiche edilizie sono state sottoposte, per non aver tempestivamente rilevato che i calcoli effettuati dal tecnico fossero errati.
Pertanto, anche a fronte della “falsa rappresentazione dei fatti” stabilita dal comma 2-bis dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990, il TAR ha annullato il provvedimento di annullamento in autotutela del Permesso di Costruire (e la pedissequa ordinanza di demolizione) per decorso del termine perentorio di 12 mesi proprio perché l’Amministrazione, colpevolmente, non si è avveduta dei vizi che avrebbero dovuto giustificare il tempestivo annullamento del PdC: in questi casi, dunque, il legittimo affidamento ingeneratosi nel privato per il decorso del tempo è ritenuto maggiormente meritevole di tutela rispetto all’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistico-edilizia violata.