Gli aspetti procedimentali della valutazione di impatto ambientale: discrezionalità, partecipazione e potere-dovere dell’Amministrazione.

L’istituto della valutazione d’impatto ambientale, che trova il proprio specifico fondamento normativo nel d.lgs. 152/2006 e s.m.i. recante “Norme in materia ambientale”, presenta numerosi aspetti di complessità, alcuni dei quali trattati nella pronuncia in commento: la discrezionalità amministrativa, la partecipazione dei (potenziali) soggetti interessati ed infine il potere – dovere, quale situazione soggettiva riconosciuta alla P.A. nei procedimenti ambientali.

Alcuni aspetti caratteristici della valutazione ambientale sono stati trattati in una precedente news, qui consultabile.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha affrontato la questione relativa alla costruzione/ampliamento di una centrale di produzione di energia elettrica a combustione di rifiuti non pericolosi, cd. termovalorizzatore, ubicato in un comune lombardo.

A fronte della reiezione del ricorso in primo grado, alcuni comuni ed alcuni cittadini hanno impugnato la decisione assunta dal Giudice di primo grado, chiedendone la riforma; il Collegio, tuttavia, ha ritenuto infondati i motivi d’appello.

Il primo aspetto affrontato dal Supremo Consesso amministrativo verte sul concetto di discrezionalità amministrativa, relativamente al provvedimento di VIA: secondo la logica del Giudice amministrativo, “è espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa: con esso, infatti, l’Amministrazione non è chiamata, in via per così dire notarile e “passiva”, a riscontrare la sussistenza di possibili impatti ambientali dell’opera … bensì a ricercare attivamente, nella ponderazione comparativa di istanze potenzialmente confliggenti, un complessivo bilanciamento fra gli interessi perseguiti con la realizzazione dell’opus, da un lato, e le contrapposte esigenze di preservazione (recte, di contenuta o, comunque, non eccessiva e sproporzionata incisione) del contesto ambientale lato sensu inteso, dall’altro.

Il punto esaminato consente al Consiglio di Stato di precisare l’aspetto partecipativo “… il relativo procedimento è aperto alla partecipazione di “chiunque vi abbia interesse” (art. 24 d.lgs. n. 152 del 2006), eventualmente anche mediante una “inchiesta pubblica”: la partecipazione procedimentale è, quindi, estesa oltre gli ordinari confini apprestati dagli articoli 7 e ss. l. n. 241 del 1990, non essendo necessario comprovare, da parte del soggetto che aspira alla partecipazione, che “dal provvedimento possa derivare un pregiudizio”.

Da ciò si ricavano i principi cardini che governano l’istituto “… proprio in considerazione del peculiare oggetto sostanziale, lo statuto procedimentale della VIA è speciale: invero, lo scrutinio discrezionale circa il quomodo (e, prima ancora, circa lo stesso an – cosiddetta “opzione zero”) dell’incisione dell’assetto ambientale recata dal progetto viene svolto coram populo, al fine di rendere quanto più possibile democratica, partecipata e condivisa una scelta che, inevitabilmente, si ripercuote sulla vita quotidiana di tutti gli attori (economici, sociali, collettivi, istituzionali) presenti sul territorio. Trattandosi, dunque, di atto che non veicola un mero accertamento tecnico, ma esprime, in forme procedimentali speciali, una potestà amministrativa sostanziale stricto sensu intesa, il conseguente sindacato giurisdizionale incontra i noti limiti, arrestandosi alla soglia dell’illogicità, della contraddittorietà, dell’irragionevolezza, senza poter accedere alla diretta valutazione del merito delle scelte, ex lege riservata alle valutazioni dell’Amministrazione.

L’ulteriore aspetto che può certamente interessare la questione della compatibilità ambientale concerne la previsione di specifiche prescrizioni e condizioni (certamente legittime) al quale può essere subordinato il rilascio dei titoli autorizzativi.

Il Giudice amministrativo muove le proprie deduzioni sostenendo che “l’Amministrazione non ha il dovere di prendere puntualmente, specificamente ed analiticamente posizione su ciascuno dei singoli rilievi formulati nel corso del procedimento (ciò che potrebbe essere de facto impossibile e che, comunque, potrebbe collidere con il principio di economicità dell’azione amministrativa), ma deve confezionare un provvedimento che, nell’ambito di una valutazione necessariamente di sintesi, affronti con un sufficiente grado di approfondimento tutte le questioni problematiche emerse nel corso del procedimento”.

Esprimendosi n termini generali, il Consiglio di Stato sostiene che “è legittima una VIA che dichiari la compatibilità ambientale di un progetto subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, da verificare all’atto del successivo rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la concreta entrata in funzione dell’opus … Invero, niente osta, in linea di principio, a che l’Amministrazione attesti che, a seguito dell’adozione futura di ben precisi accorgimenti, l’opera possa risultare compatibile con le esigenze di tutela ambientale“.

Detto ragionamento si basa, secondo il Consiglio di Stato, sul seguente assunto, che conduce a definire i ruoli dell’Amministrazione nei procedimenti: “I limiti alla legittimità di tale modus procedendi attengono al grado di dettaglio e di specificità delle prescrizioni, nonché al numero ed alla complessiva incidenza delle stesse sui caratteri dell’opera: invero, la formulazione di prescrizioni eccessivamente generiche, ovvero relative a pressoché tutti i profili di possibile criticità ambientale dell’opus, potrebbe risolversi in una sostanziale pretermissione del giudizio. Una simile evenienza, da accertarsi nel caso concreto, ha carattere patologico e lumeggia l’illegittimità dell’azione amministrativa, che, in casi siffatti, rinviene non dalla presenza di prescrizioni in sé e per sé considerate, ma dal fatto che il carattere abnorme (qualitativamente, tipologicamente o numericamente) di tali prescrizioni disvela, a monte, l’assenza di un’effettiva, concreta ed attuale valutazione di impatto ambientale, ossia il sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur nella formale spendita dello stesso … Non è superfluo, in proposito, ricordare che la situazione soggettiva comunemente nota come potestà, di cui è investita l’Amministrazione nell’esercizio di poteri discrezionali, presenta, oltre all’aspetto del “potere” (ossia della capacità di modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera giuridica degli amministrati), il contestuale e parallelo tratto del “dovere” (da intendersi tanto come dovere dell’esercizio, posto che tale situazione è indisponibile, quanto come dovere della finalizzazione teleologica di tale esercizio, che deve essere volto a conseguire gli scopi indicati dalla legge): tale situazione, del resto, è altresì nota come potere-dovere“.

(Cons. St. Sez. IV, 11.12.2020, n. 7917)