Il ruolo degli enti locali nei procedimenti di compatibilità ambientale di cui al d.lgs. 152/2006 e s.m.i.

In precedenza, con la news consultabile a questo link, è stata affrontata la tematica dei procedimenti di compatibilità ambientale ai fini del rilascio dei titoli propedeutici per la costruzione e gestione di impianti di rifiuti, procedimenti che prevedono forme partecipative speciali dei soggetti interessati.

Il caso che invece si appresta a commentare riguarda, nello specifico, l’aspetto partecipativo delle amministrazioni (due comuni piemontesi nello specifico) nell’ambito di una conferenza di servizi avente ad oggetto la richiesta avanzata da un operatore del settore ambientale privato di rilascio di autorizzazione integrata ambientale per la costruzione e gestione di una discarica di rifiuti speciali (materiali di costruzione contenente amianto).

Trattandosi di impianto complesso, la società istante aveva avanzato una duplice richiesta ovvero di valutazione dell’impatto ambientale (VIA) e, contestualmente, rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA).

La pronuncia merita un commento approfondito in quanto i temi affrontati dal Giudice amministrativo presentano aspetti di indubbia attualità, specie in ambito amministrativo – legale, di portata generale.

Tra i temi rilevanti, infatti, assume particolare rilievo l’aspetto soggettivo – partecipativo al procedimento conferenziale in relazione alle “amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate” di cui all’art. 27bis, co. 7, d.lgs. 152/2006.

Si tratta, come condivisibilmente asserito dal Consiglio di Stato, di una disposizione che mira a favorire la partecipazione procedimentale di tutte le amministrazioni portatrici di un legittimo interesse o anche di quelle soltanto potenzialmente interessate all’opera da realizzare.

Nel caso di specie, il Giudice di secondo grado, nel circoscrivere la portata applicativa della fattispecie, ha sancito che “tale interesse … sussisterebbe in capo ai Comuni appellanti con riferimento alla tutela della falda acquifera destinata al consumo umano che si trova al di sotto dell’area sulla quale è prevista la realizzazione della discarica”: trattasi di un’interpretazione certamente intesa in senso “ampio” e che troverebbe il suo fondamento, secondo la prospettiva delineata dal Giudice, nella direttiva VIA 2014/52/UE (dal cui recepimento è stato introdotto il sistema partecipativo di cui all’art. 27bis) e nella nota Convenzione di Aarhus “che va nella direzione dell’ampliamento della dimensione partecipativa e non della sua compressione”.

Sul piano pratico – operativo, il Consiglio di Stato, tuttavia, ha operato una serie di precisazioni fondamentali che consentono di definire il ruolo dei soggetti istituzionali e territoriali interessati nella conferenza di servizi, precisazioni che rivestono importanza sul piano valutativo e decisionale delle determinazioni da assumere in ambito conferenziale.

Dalla lettura sistematica delle disposizioni sancite per i procedimenti di compatibilità ambientale è agevole desumere, a ragion del Giudice d’appello, che “i Comuni appellanti, in quanto non direttamente interessati con riferimento al loro ambito territoriale rispetto alla realizzazione della discarica  … sono stati legittimamente invitati a partecipare alla conferenza di servizi, e tuttavia la loro partecipazione ha assunto una valenza meramente istruttoria poiché gli stessi non sono titolari di poteri in ordine al rilascio di un particolare titolo abilitativo (pareri, nulla osta permessi o altri atti di assenso o autorizzativi) rispetto all’opera della quale è necessario valutare l’impatto“.

Detta affermazione consente al Consiglio di Stato di precisare, in via ulteriore, che “… poiché la partecipazione del Comuni ha una mera valenza istruttoria, un eventuale parere contrario di tale ente all’intervento oggetto della Conferenza non è idoneo, di per sé, ad impedire la conclusione del procedimento solo perché quel parere è stato acquisito nell’ambito di una conferenza di servizi”.

Sempre sul ruolo partecipativo degli enti territoriali, il Consiglio di Stato ha sottolineato altresì che “A maggior ragione tali considerazioni valgono, nel caso di specie, per i Comuni appellanti, la cui convocazione è avvenuta non già per un obbligo previsto ex lege, ma per una autonoma determinazione della Provincia, assunta in base all’art. 9 della legge regionale sopra citata. In tal caso, è ancora più evidente che una partecipazione discrezionalmente decisa dall’autorità procedente, al solo fine di arricchire il quadro conoscitivo utile alla decisione, non può incidere sulla natura e sulla struttura della Conferenza, quale tipizzata ex lege“.

In quest’ottica, la pronuncia osserva condivisibilmente che anche nelle conferenze cd. “decisorie”, è necessario valutare attentamente (caso per caso) su quali basi un comune “costituisca una amministrazione specificatamente preposta <<alla tutela ambientale, paesaggistico – territoriale, del patrimonio storico – artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità>>”.

Operando un raffronto con le previsioni del TUEL, il Consiglio di Stato sancisce che “a ben vedere è proprio la natura, ad un tempo generale ma territorialmente delimitata, delle competenze comunali, ad escludere che tale ente possa essere tout court annoverato tra le amministrazioni specificamente preposte alla tutela di interessi sensibili, nel senso fatto proprio dall’art. 14 quater della l. n. 241 del 7 agosto 1990 (nel testo anteriore alle modifiche apportata dal d.lgs. n. 127 del 2016). E’ poi evidente che l’interpretazione prospettata dagli appellanti finirebbe per conferire al Comune, in ogni procedimento in cui venga in rilievo uno dei variegati interessi rimessi, in sede locale, alle sue cure (anche considerando che, ai sensi dell’art. 118, comma 1 della Costituzione, è proprio ai Comuni che è attribuita la generalità delle funzioni amministrative, salvo diversa allocazione “sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”), una sorta di potere di veto, laddove invece, nell’ambito della Conferenza decisoria, sia nel previgente che nell’attuale modello, lo scopo del legislatore è stato quello di semplificare il processo decisionale“.

 

(Cons. St. Sez. IV, 9.12.2020, n. 7792)