Rigenerazione urbana: l'art. 6 della L.R. Lazio n. 7 del 2017

Nel video girato con Legislazione Tecnica, vengono affrontate le principali questioni, teoriche ed applicative, in merito all'art. 6 della L.R. 7/2017 sulla rigenerazione urbana nel Lazio.

Come noto, la norma in questione costituisce - nell'attesa degli atti di pianificazione urbana di competenza dei Comuni - l'unico istituto ad applicazione "immediata"attualmente a disposizione. (ossia attivabile con la semplice richiesta dell'idoneo titolo abilitativo).

Sempre con Legislazione Tecnica, è in programma il prossimo 17 aprile un nuovo incontro formativo sulla L.R. 7/2017 

 


Non costituisce subappalto l'affidamento di attività "collaterali" all'oggetto dell'appalto

In una gara avente ad oggetto l'affidamento dei lavori di miglioramento dell’accessibilità e delle condizioni di sicurezza di un'area portuale, l'aggiudicatario, nell'ambito della propria offerta, omette di dichiarare - come subappalto - il sub-affidamento del  trasporto e  dello smaltimento di rifiuti.

La seconda graduata, pertanto, censura il provvedimento di aggiudicazione, rilevando come, peraltro, lo svolgimento di tale attività, richieda l'iscrizione nell'apposito Albo dei gestori ambientali.

Dunque, secondo la ricorrente, non potendo l'aggiudicataria eseguire in proprio tale attività e non avendo dichiarato, in sede di offerta, di volerla subappaltare, l'affidamento sarebbe illegittimo.

Il TAR Abruzzo-Pescara, con la decisione 5.2.2018, n. 43, ha rigettato il ricorso osservando come l'attività di trasporto e smaltimento rifiuti, non costituendo oggetto dell'appalto ma una attività "collaterale" allo stesso, non rientri nella nozione di subappalto.

Ragion per cui, il relativo sub-affidamento non soggiace  né limite del 30% del contratto di appalto né alle prescrizioni di cui al comma 4 dell'art. 105 del Codice (tra le quali l'obbligo di previa individuazione delle attività da subappaltare), essendo soggetto esclusivamente all'onere di comunicazione di cui al co. 2 del medesimo articolo.

 

 


Parcheggi ed esenzione dal contributo di costruzione: in Lombardia il regime di favore si estende anche agli "spazi di manovra"

In Lombardia, la L.R. n. 12/2005 prevede che "i parcheggi, pertinenziali e non pertinenziali, realizzati anche in eccedenza rispetto alla quota minima richiesta per legge, costituiscono opere di urbanizzazione e il relativo titolo abilitativo è gratuito"(art. 69).

Si tratta di una previsione di notevole favore, anche rispetto alla normativa statale sui parcheggi, considerato che la legge Tognoli (n. 122/1989) all'art. 9 prevede la gratuità del titolo abilitativo solo per i posti auto pertinenziali.

In relazione alla normativa regionale appena segnalata, il TAR Lombardia ha affrontato una particolare questione: gli "spazi di manovra" funzionali ai parcheggi beneficiano del medesimo regime di gratuità o no?

La questione, apparentemente marginale, nel caso di specie assumeva una rilevanza economica non indifferente: tali aree, infatti, inserendosi in un intervento edilizio (alcune palazzine) di rilevanti dimensioni, ammontava ad oltre 1.000 mq. con un costo preteso dal Comune di oltre 100.000 euro.

Secondo il Comune, infatti, solo le superfici destinate ad area di sosta potevano beneficiare del regime di gratuità, ma non gli spazi funzionali alle medesime.

Il TAR Lombardia-Brescia, invece, con la sentenza 24.10.2017, n. 1274, ha ritenuto non condivisibile l'interpretazione del Comune.

In particolare,  il Giudice Amministrativo lombardo, valorizzando la logica complessivamente di favore che la L.R. 12/2005 riserva ai parcheggi, è pervenuto alla conclusione per cui non è possibile, né legittimo, distinguere, ai fini dell'esenzione del contributo di costruzione, le superfici di sosta dalle aree a queste funzionali.

Ciò con l'unica precisazione che, ovviamente, trattandosi di norme di favore queste non possono essere oggetto di "abusi", sicché occorrerà svolgere, caso per caso, una verifica di proporzionalità tra superfici "a parcheggio" ed aree a queste funzionali.

Nello specifico, "poiché i corselli e gli altri spazi di manovra, (...) sono funzionali e proporzionati alla distribuzione dei veicoli tra le varie autorimesse, tutta la relativa superficie (1.044,83 mq) deve essere qualificata come accessoria ai parcheggi, con la conseguente esclusione dalla base di calcolo del contributo di costruzione", senza che a tale conclusione osti la circostanza del possibile uso promiscuo di tali aree (precisa il TAR, infatti che, la circostanza che neelle vicinanze delle autorimesse vi siano altri locali  - cantine, ripostigli, depositi, magazzini, centrali termiche - è del tutto ininfluente.


Inefficacia della SCIA per omesso versamento del contributo di costruzione

Il TAR Lazio, con la sentenza 20/12/2017 n. 12542, ha affermato la legittimità del provvedimento di inefficacia di una DIA per omesso versamento del contributo di costruzione ex art. 16 del T.U. Edil.

Secondo il TAR, infatti, considerato che l’art. 23, co. 1, del T.U. Edil. prevede la soggezione della SCIA al contributo in questione, l’omesso versamento dello stesso contestualmente al deposito della SCIA (o  a seguito di richiesta del Comune) renderebbe quest'ultima del tutto inefficace.

La decisione del TAR solleva diverse perplessità.

Il Testo Unico Edilizia, all'art. 42, dispone che, in caso di omesso versamento del contributo di costruzione, " il comune provvede alla riscossione coattiva" dello stesso, senza prevedere (né espressamente né implicitamente) alcuna conseguenza sulla validità del titolo edilizio. Né, in vero, indicazioni in tal senso paiono provenire dall'art. 16 del medesimo DPR 380/2001.

Peraltro, la conclusione del TAR non sembra trovare giustificazione nemmeno nella specifica disciplina dell'art. 23 del DPR 380/2001 che, nel prevedere le ipotesi di SCIA alternativa al permesso di costruire (di cui al comma 01 introdotto dal c.d. Decreto "SCIA 2"), si limita a prescrivere che tali interventi  "sono soggetti al contributo di costruzione".

Inoltre, il medesimo articolo 23 del TUEd, laddove individua gli elementi necessari affinché la SCIA possa essere considerata efficace, non menziona in alcun modo l'effettivo versamento del contributo di costruzione (adempimento che non sembra proprio da ricondurre alle "dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni" o ai pareri e nulla osta la cui carenza impedisce l'efficacia della segnalazione).

D'altra parte, l'art. 23 del TUEd prevede la "soggezione" degli interventi al contributo in questione: si tratta di concetto che appare diverso dalla "subordinazione" del titolo all'adempimento in questione.

Non pare condivisibile, quindi, la posizione del TAR Lazio, che dall'omesso versamento del contributo in questione fa discendere il mancato perfezionamento della DIA.

Ciò nonostante - quantomeno fino a quando la giurisprudenza amministrativa non prenderà nuovamente posizione sulla questione - l'indicazione operativa, "prudenziale", è quella di provvedere alla regolarizzazione del contributo (anche previa rateizzazione, laddove ammessa) prima di avviare l'attività edilizia oggetto di SCIA alternativa al permesso di costruire.


Regione Lazio: adottata la Circolare esplicativa della L.R. 7/17 sulla Rigenerazione Urbana

Con la Deliberazione n. 867 del 19.12.2017 in corso di pubblicazione sul BURL (ma già presente sul sito della Regione), è stata adottata la Circolare recante indirizzi e direttive per l'applicazione delle "Disposizioni per la rigenerazione urbana ed il
recupero edilizio" di cui alla legge regionale 18 luglio 2017, n. 7".

La Circolare, che era molto attesa da tecnici e Comuni del Lazio, si pronuncia su alcune delle questioni che, sin da subito, avevano animato il dibattito.

 

 

 


SCIA e dichiarazione infedele: in quali casi occorre l’accertamento del falso con sentenza passata in giudicato?

Un’Amministrazione inibisce, ad oltre diciotto mesi dalla presentazione, una SCIA depositata da un esercizio commerciale  per l’ampliamento della superficie destinata ad attività di somministrazione, rilevando, tra l’altro, la falsa rappresentazione in ordine alla disponibilità dei relativi spazi (risultati, infatti, di proprietà condominiale).

Tra i motivi del ricorso presentato contro tale provvedimento, è stato eccepito che, decorsi i 18 mesi previsti dall’art. 21-nonies L.241/90, l’autotutela sarebbe possibile, in caso di “false attestazioni”, solo in presenza di accertamento penale passato in giudicato (in base al co. 2-bis del medesimo art. 21-nonies).

Il TAR Lazio ha rigettato tale censura, affermando che occorre distinguere la “infedele rappresentazione di fatti “dalla “falsa dichiarazione sostitutiva”: solo in quest’ultimo caso occorre che l’accertamento della falsità avvenga con sentenza passata in giudicato. Invece, in presenza di “falsa rappresentazione” il termine di 18 mesi decorre dal momento dell’accertamento della stessa.

Il principio enunciato dalla sentenza è di sicuro interesse, anche nel campo dell'edilizia, poiché, di fatto, rende più “elastico” il termine di 18 mesi previsto per l’autotutela, almeno nel caso di “falsa rappresentazione dei fatti”.

(TAR Lazio, Sez. II-ter, 22/9/2017, n. 9880)


Destinazione alberghiera, extra-alberghiera e mutamento di destinazione d'uso

Una società, dopo aver edificato, con regolare permesso di costruire, un ostello, a distanza di anni chiede di poter mutare la destinazione d'uso in hotel (con passaggio, quindi, da struttura extra-alberghiera a struttura alberghiera).

Il Comune ha negato il titolo, rilevando, tra l'altro, che:

- il PdC  era stato assentito previa sottoscrizione di un atto d'obbligo con vincolo di destinazione  a "ostello-attrezzatura di interesse generale";

- la vigente norma di PRG prevede l'insediabilità di attività turistico-ricettive solo se già esistenti nonché di attrezzature pubbliche e di interesse generale.

Il TAR ha confermato la legittimità del diniego, in particolare osservando:

- l'assoluta non omogeneità tra la destinazione alberghiera e quella extra-alberghiera;

-l'rrilevanza del disposto dell'art. 23-ter del DPR 380/2001, in ragione della vigenza dell'atto d'obbligo, espressamente riferito alla funzione di interesse generale (ostello), non realizzabile con il mutamento in albergo (avente natura propriamente imprenditoriale).

(TAR Campania Napoli, Sez. III, 7/9/2017, n. 4301)


L’immediata impugnazione del bando di gara

La vicenda da cui trae origine la decisione TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 24 luglio 2017, n. 1666 vede un’impresa partecipare ad una gara e aggiudicarsi il relativo contratto.

Tuttavia, successivamente all’aggiudicazione, dopo aver avviato, in via anticipata, l’esecuzione delle prestazioni contrattuali, la Stazione Appaltante ha disposto la risoluzione del contratto, poiché l’impresa affidataria aveva opposto il proprio rifiuto alla stipula, in ragione dell’asserita eccessiva onerosità di alcune previsioni, pur espressamente previste dal capitolato.

Tale atto, dall’aggiudicataria qualificato come esercizio dei poteri di autotutela (in particolare avente ad oggetto  il  provvedimento di aggiudicazione), è stato impugnato, deducendo l’illegittimità di quanto previsto dalla lex specialis in ordine agli oneri previsti a carico dell’affidatario del contratto.

Ad avviso del TAR il ricorso è inammissibile sotto due punti di vista.

Continua a leggere qui un approfondimento dell’Avv. Andrea Di Leo sulla rivista ItaliAppalti.


Appalti pubblici: clausola di adesione

La stipula di contratti tramite clausola di adesione va bilanciata con la tutela della concorrenza, per evitare affidamenti sostanzialmente diretti, senza reale confronto competitivo. Infatti, la giurisprudenza ritiene che è possibile avvalersi di tale meccanismo se: - tale clausola sia chiara; - individui precisi limiti quantitativi; - sia prestabilito, ex ante, l'ambito soggettivo delle SA che se ne possano avvalere; - la prestazione contrattuale affidata tramite adesione sia identica a quella della gara "originaria".

Pertanto, il TAR Toscana Firenze, sent. 8/06/2017 n. 783, ribadendo detti principi, ha considerato illegittima una adesione nell'ambito della quale era stata posta in essere una rinegoziazione del contratto "originario", tramite varianti ex art. 311 del previgente Regolamento (oggi art. 106 del Codice). La decisione è in linea con la giurisprudenza sul tema (v. ad es. CdS 4387/16) e con il Comunicato congiunto AGCM-ANAC del 21.12.2016, secondo cui, in fase di adesione postuma, vige il divieto di “rinegoziazione delle condizioni prestazionali ed economiche formulate in sede di offerta dal soggetto aggiudicatario e definite dalla lex specialis della gara originaria”.


Una novità "nascosta" nel nuovo Codice?

Nella vigenza del d.lgs. n. 163/2006 la giurisprudenza si è sempre espressa affermando che, rispetto alle previsioni della lex specialis, “i chiarimenti auto-interpretativi della stazione appaltante non possono né modificarle, né integrarle, né rappresentarne un'inammissibile interpretazione autentica; esse fonti devono essere interpretate e applicate per quello che oggettivamente prescrivono, senza che possano acquisire rilevanza atti interpretativi postumi della stazione appaltante” (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 23.9.2014, n. 4441) .

Principio, quello appena ricordato, dal quale discende l’ulteriore constante insegnamento secondo cui “ove la stazione appaltante intenda innovare o modificare le previsioni di gara, deve operare in autotutela e procedere alla ripubblicazione della lex specialis stessa, che -diversamente- resta immodificabile (…). Solo così operando, invero, si consente al meccanismo concorrenziale un corretto funzionamento, consentendo alle imprese che abbiano già presentato l’offerta di riformularla e a chi vi abbia interesse di valutare l’opportunità di partecipare alla gara sulla scorta delle nuove regole” (TAR Puglia, Bari, 26.6.2014, n. 808 e CGARS n. 271/2016 cit.).

In sintesi: in presenza di una modifica della lex specialis la stazione appaltante è tenuta ad agire in autotutela e ciò diversamente dall’ipotesi del chiarimento puramente interpretativo. Dunque, un mero differimento dei termini per la presentazione dell’offerta, adempimento sufficiente nella seconda ipotesi, seguendo tali principi, non potrebbe essere considerato sufficiente in presenza di una vera e propria rettifica delle regole di gara.

Il quadro, tuttavia, potrebbe, in tutto o in parte, essere rimeditato alla luce di quanto dispone, oggi, l’art. 79 del d.lgs. n. 50/2016, recante la disciplina della “fissazione dei termini”.

Continua a leggere l'approfondimento dell’Avv. Andrea Di Leo sulla rivista ItaliAppalti.