Il criterio di prossimità per la gestione dei rifiuti e per le soluzioni impiantistiche.
“… emerge in modo inequivoco come, il cd. criterio di prossimità valga anche per la gestione dei rifiuti speciali e non solo per quelli urbani …“.
Questo il principio cardine che, secondo il Consiglio di Stato, regge la materia della gestione dei rifiuti e le scelte localizzative impiantistiche.
Sulle problematiche connesse alla localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti avevamo già analizzato in questa news alcuni dei profili che non di rado ricorrono.
L’occasione del pronunciamento dell’importante principio sopra espresso deriva da una lite insorte tra un operatore privato e l’Amministrazione preposta al rilascio del provvedimento autorizzativo, propedeutico all’esercizio dell’attività industriale per il trattamento termico dei rifiuti, ente che respingeva il progetto per la realizzazione dell’impianto.
Nel primo grado di giudizio, il Giudice ammnistrativo respingeva il ricorso.
Avverso tale pronuncia, la Società ricorrente proponeva appello, lamentando l’erroneità della sentenza in quanto i passaggi motivazionali si ponevano in violazione dei principi fondamentali che regolano la disciplina di settore, e precisamente: a) la parificazione della disciplina dei rifiuti urbani a quella dei rifiuti speciali; b) il disposto dell’articolo 16 della direttiva 2008/98, sui principi di autosufficienza e prossimità; c) l’efficacia della legge provinciale rispetto alla sopravvenuta legge statale sui principi di autosufficienza e prossimità.
Al fine di dirimere la questione, il Consiglio di Stato esamina prioritariamente la disciplina normativa applicabile al caso concreto.
Richiamando la disciplina sovranazionale, il Giudice adito chiarisce la portata applicativa dei principi di autosufficienza e prossimità nell’ambito della pianificazione infrastrutturale degli impianti di rifiuti, visto che l’art. 16 della Direttiva 2008/98/CE individua proprio i limiti applicativi dei principi di autosufficienza e prossimità disponendo, tra l’altro, che: “Gli Stati membri adottano, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti e di impianti per il recupero dei rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, … tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. La rete permette lo smaltimento dei rifiuti o il recupero … in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute pubblica”.
Si parla, dunque, della cd. rete integrata ed adeguata di impianti, indispensabile affinché i rifiuti generati nel mercato economico possano trovare la giusta collocazione in termini di smaltimento e/o recupero: tuttavia, precisa l’ordinamento sovranazionale, tale rete deve essere strutturata affinché lo smaltimento o il recupero avvenga in uno degli impianti appropriati più vicini onde garantire un’adeguata tutela di protezione dell’ambiente.
L’ordinamento giuridico italiano sancisce tale pregevole finalità attraverso due disposizioni contenute nel codice dell’ambiente:
- la prima, ovvero l’art. 178, a mente del quale “la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali”;
- la seconda è rappresentata dall’art. 179, che stabilisce i criteri da seguire nella gestione dei rifiuti: “a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento”. Inoltre, ai sensi del comma 2 del citato art. 179, tali criteri hanno lo scopo di stabilire, in generale, un “ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale”, prescrivendo che “nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica”.
La cornice edittale all’interno della quale si iscrive la problematica, si completa con altre due previsioni: l’art. 182-bis, d.lgs. 152/2006 che, rimarcando i principi europei, proprio sui principi di autosufficienza e prossimità specifica che “Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali; b) permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione e raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti“.
Segue l’art. 199, Codice ambientale, che reca la disciplina relativa all’attività di pianificazione devoluta, per legge, alle Regioni e agli enti locali, i quali sono chiamati a garantire che l’organizzazione della gestione dei rifiuti avvenga “secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza … all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti“.
Sul principio di prossimità non può non richiamarsi un passaggio motivazionale fondamentale espresso dalla Corte Costituzione, sul tema della prossimità la quale, con la sentenza 23 gennaio 2009, n. 10, ha confermato che “nella disciplina statale l’utilizzazione dell’impianto di smaltimento più vicino al luogo di produzione dei rifiuti speciali viene a costituire la prima opzione da adottare, ma ne “permette” anche altre”.
Nel giungere alla conclusione sul caso, il Consiglio di Stato rileva che “emerge in modo inequivoco come, il cd. criterio di prossimità valga anche per la gestione dei rifiuti speciali e non solo per quelli urbani …“.
Richiamando proprio la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il Giudice di secondo ordine ha chiarito che “… l’utilizzazione dell’impianto di smaltimento più vicino al luogo di produzione dei rifiuti speciali viene a costituire la prima opzione da adottare …“, stabilendo espressamente che anche per i rifiuti speciali assume rilievo primario il criterio della specializzazione dell’impianto, in relazione al quale deve essere coordinato il principio di prossimità, con cui si persegue lo scopo di ridurre il più possibile la movimentazione di rifiuti.
Si tratta di una pronuncia che, a ragion di chi scrive, appare significativa nelle scelte gestionali dei rifiuti, urbani e non: ove il criterio della localizzazione impiantistica, infatti, come acclarato, consente certamente una riduzione della movimentazione dei rifiuti e consente un miglioramento complessivo dell’ambiente, è ragionevole ritenere che esso si collochi in una posizione privilegiata nelle scelte amministrative – gestionali di carattere ambientale: per tal ragioni, l’autosufficienza impiantistica diviene davvero una opzione privilegiata nella scelta localizzativa degli impianti.