Quale disciplina deve essere applicata nel calcolo degli oneri concessori?
Più volte abbiamo affrontato questioni relative agli oneri concessori; tra le diverse fattispecie sottoposte al Giudice Amministrativo, spesso viene in risalto il tema della disciplina che deve essere applicata, laddove si sia verificata una successione di norme nel corso del tempo.
Tra le prime decisioni adottate nel nuovo anno, di particolare interesse sul tema è la n. 279 del 9 gennaio 2023 del Consiglio di Stato.
I. L’antefatto della decisione.
La vicenda trae origine nel 1995, allorquando la società appellante presentava domanda di concessione in sanatoria straordinaria ai sensi della L. n. 724/1994 (cd. “secondo condono”).
Alcuni anni dopo, il Comune notificava alla predetta società l’invito al pagamento di una somma di denaro a titolo di acconto degli oneri concessori: in particolare, ai sensi dell’art. 39, comma 9, L. n. 724/1994
Alle domande di concessione in sanatoria deve essere altresì allegata una ricevuta comprovante il pagamento al comune, nel cui territorio è ubicata la costruzione, di una somma a titolo di anticipazione degli oneri concessori, se dovuti, calcolata nella misura indicata nella tabella C allegata alla presente legge, rispettivamente per le nuove costruzioni e gli ampliamenti e per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, primo comma, lettera d ), della legge 5 agosto 1978, n. 457, nonchè per le modifiche di destinazione d’uso, ove soggette a sanatoria.
La società, dunque, adiva il TAR Lazio al fine di ottenere l’annullamento dell’invito al pagamento, ritenendolo illegittimo poiché: (i) non specificava sufficientemente quali criteri il Comune avesse adottato nella determinazione del contributo di concessione; (ii) nel caso di specie non avrebbe dovuto essere applicata la tabella C allegata alla L. n. 724/1994.
Il TAR Roma, con sentenza n. 9249/2015, respingeva integralmente il ricorso e, di conseguenza, la società ricorreva in appello davanti al Consiglio di Stato.
II. La tesi dell’appellante.
Secondo la società, poiché le opere oggetto di condono sono state realizzate e concluse nel 1975, e dunque in data antecedente all’entrata in vigore della L. n. 10/1977 (con la quale è stato introdotto il rilascio della concessione a titolo oneroso), il contributo richiesto non poteva essere in misura superiore a quello previsto per le opere di urbanizzazione.
Inoltre, sempre secondo l’appellante, la legge sul secondo condono non prevedeva alcuna disposizione specifica circa i criteri di determinazione del contributo richiesto, con la conseguenza che il relativo calcolo avrebbe dovuto essere effettuato ai sensi dell’art. 37, commi 2 e 3, della L. n. 47/1985, concernente il primo condono.
Ma tali argomentazioni, già disattese dal Giudice di prime cure, sono state respinte anche dal Consiglio di Stato.
III. La decisione del Consiglio di Stato
Innanzitutto, con riferimento al vizio di “motivazione” sollevato dalla società appellante, il Supremo Consesso Amministrativo ha richiamato un orientamento ormai consolidato (Cons. Stato, Sez. VI, 7.1.2021, n. 207; 2.7.2019, n. 4514) in virtù del quale
costituisce ius receptum, dal quale non è ragione di discostarsi, la circostanza che i principi sulla motivazione del procedimento amministrativo sanciti dalla L. n. 241 del 1990 non si applicano ai provvedimenti con cui si richiede il pagamento degli importi dovuti per il rilascio di titoli edilizi, data la natura obbligatoria del rapporto. La richiesta di conguaglio, pertanto, risulta “sufficientemente motivata attraverso il richiamo ai prestabiliti parametri utilizzati” trattandosi di attività vincolata, consistente in operazioni meramente matematiche
Premesso ciò, e passando al vero tema dell’appello, e dunque sull’applicabilità della Tabella C allegata alla L. n. 724/1994, il Consiglio di Stato osserva che
La circostanza che il manufatto abusivo sia stato realizzato nel 1975 non comporta l’applicazione di criteri di calcolo differenti e derogatori rispetto a quelli contemplati dalla l. n. 724/1994, tenuto conto che ai fini del calcolo degli oneri concessori devono essere applicate le tariffe vigenti al momento del rilascio del titolo edilizio in sanatoria.
In questo senso è infatti orientamento consolidato quello secondo cui nella materia del pagamento degli oneri concessori relativi ad un titolo in sanatoria trovi applicazione il canone tempus regit actum, perché è soltanto con l’adozione del provvedimento di sanatoria che il manufatto diviene legittimo e concorre alla formazione del carico urbanistico che costituisce il presupposto sostanziale del pagamento del contributo (Cons. Stato, sez. II, 27 aprile 2020,n. 2680), con la conseguenza che l’importo degli oneri concessori va determinato secondo le tabelle vigenti al momento del rilascio del titolo in sanatoria e non in relazione a quello della presentazione della domanda (Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2021, n. 1485; id. , 27 aprile 2020, n. 2667).
Concludendo, ai fini del calcolo degli oneri concessori non è rilevante il momento in cui l’opera di cui si chiede la sanatoria è stata realizzata, né tantomeno quello in cui è presentata l’istanza di condono: ciò che rileva è il momento “finale”, in cui viene rilasciato il titolo in sanatoria e, dunque, si produce in concreto l’effetto sanante del provvedimento, cui gli oneri stessi sono intrinsecamente legati.